Quella della cosiddetta “Mummia di Merano” o meglio di Bast-en-Ankh, è una storia ancora incompleta ma comunque piena di fascino. Nel 1915 Fritz Krafft giunse a Merano per un soggiorno di cura portando con sé la preziosa mummia con sarcofago acquistata durante un viaggio in Egitto.
Risiedeva a Castel Verruca dove la mummia era esposta per i suoi ospiti. Rientrato improvvisamente in Germania lasciò la mummia nel deposito di uno spedizioniere e solo nel 1959 i suoi eredi decisero di donarla al Museo Civico.
Qui trascorse altri cinquant’anni nei depositi e, finalmente nel 2016, con l’apertura del nuovo Museo di Palais Mamming, essa ha trovato la sua giusta collocazione nella bacheca al secondo piano.
Nel 2013 il gruppo di esperti del Mummy Project, guidato dalla dottoressa Sabina Malgora, ha condotto una approfondita indagine sul reperto e sul suo sarcofago facendo luce almeno in parte sulla storia e sulla provenienza della “Mummia di Merano”.
Si tratta di una donna che godeva di una posizione sociale elevata poiché probabilmente era la figlia di un sacerdote. Forse Irethorrou, sacerdote del tempio dedicato al dio della fertilità Min, nella città di Ipou, oggi Akhmin, nell’Alto Egitto. Si chiamava Bast-en-Ankh che significa “La dea Bastet è vivente”. Dalla posizione del corpo, con le mani incrociate sul petto e con il braccio destro sopra al sinistro, tipica delle mummie reali, gli esperti datano il periodo in cui visse fra il 261 a.C e il 387 a.C. ossia a cavallo tra la fine della XXIX Dinastia e l’inizio del periodo Tolemaico. Doveva essere deceduta intorno ai sessant’anni ed era stata deposta nella necropoli nota come “Tombe dei Nobili” nei pressi di Assuan. Sulle bende i sacerdoti avevano posizionato le tradizionali placche in “cartonnage” (carta pesta).
Secondo gli scienziati che le hanno esaminate, esse risalgono al Primo Periodo Tolemaico e cioè al III secolo a.C. mentre lo stile della decorazione è proprio quella tipica del territorio dal quale proviene la mummia. Generalmente le placche erano 4 e venivano a coprire la zona del busto, degli arti inferiori e dei piedi.
Qui però un frammento della placca che di solito sta sui piedi, si trovava sul petto; la placca che di solito copre le gambe era invece posizionata sul ventre. Manca anche la maschera che però doveva avere di sicuro come testimonia il diverso colore delle bende. Anche il tipico sudario rosso che tradizionalmente avvolgeva la salma per intero è sparito.
Ma piccoli frammenti di tessuto rosso sono stati trovati sotto il cartonnage durante le fasi del restauro compiuto nel 2000. Anche il sarcofago proviene dal territorio di Akhmim, ha forma antropoide, ossia che presenta un volto umano ma non è il suo. E’ troppo grande ed è datato all’VIII o VII secolo a.C. al III Periodo Intermedio.
La maschera rappresenta un bel volto dai grandi occhi truccati di nero e dalle labbra sono rosee, incorniciato da una tipica parrucca che ricade sul petto e prosegue sulla schiena. Il petto mostra una tipica ampia collana conosciuta come collana “usekh”. Una collana cioè fatta di tantissime piccole perline disposte in numerosi fili.
Rosanna Pruccoli