Anche Laives aveva il suo Don Camillo


Laives divenne curazia nel 1711, precisamente il 3 agosto. Il primo curato fu Zacharias Hochleitner, che rimase in carica fino al 1718. Prima di allora i sacerdoti scendevano da Bolzano a Laives nel fine settimana o in occasione di ricorrenze particolari. Alloggiavano nella vecchia canonica accanto alla chiesa poi demolita.

Molti dei curati succedutisi nel corso dei decenni lasciarono un segno profondo nella comunità. Alcuni entrarono nella leggenda paesana: qualcuno per le sue virtù, altri per ragioni meno nobili. Tale Josef Grafer, per esempio, curato dal 1832 al 1856, era un omone gigantesco, tanto che dovettero fabbricargli un confessionale su misura. Anton Guggenberger, suo successore, rimase in carica fino al 1862 e si impegnò la costruzione della nuova chiesa. Leggendario anche il curato Thaddaeus von Elzenbaum, nato a Termeno nel 1849 e in servizio a Laives dal 1877 al 1905. Il più importante di tutti fu probabilmente Bartlme Clementi, attivo dal 1919 al 1947: dovette gestire i disastri della prima guerra mondiale, il passaggio del Sudtirolo dall’Austria all’Italia e, soprattutto, le infinite angherie del faascismo che a Laives era ben radicato. I funerali solenni di Clementi entrarono nella storia della città. A Clementi succedette un altro parroco leggendario, Alois Pfoestl, a Laives fino al 1973.

Il protagonista della nostra storia non è nessuno di costoro bensì il sacerdote che ereditò la carica da von Elezenbaum agli albori del XX secolo, ossia Benjamin Vescoli. Nativo di Redagno, arrivò a Laives poco più che trentenne da Luserna e vi rimase fino allo scoppio della grande guerra nel 1914. Era un uomo controverso, legati a valori d’altri tempi e, soprattutto, noto per la sua intolleranza nei riguardi dei “costumi” liberali del genere femminile. Questo Don Camillo locale fu spesso preso di mira dai liberali e anticlericali dell’epoca, tra cui spiccava il giornale socialdemocratico “Volkszeitung”.

Il 12 febbraio 1909 il periodico “dei lavoratori” pubblicò un articoletto di poche righe che forse sfuggì a molti lettori. Il titolo del pezzo suonava “Pfäffischer Größenwahn”, megalomania pretesca. “Del parroco di Laives ci siamo già occupati in diverse occasioni”, scrisse il giornale, “e di recente è avvenuto un altro fatto rimarchevole. Una maestra dell’asilo ha organizzato una festa per i suoi bambini e quando “Sua Eccellenza” l’ha saputo ha preteso che tutti i bambini peccaminosi che avevano partecipato all’innocente festa si scusassero con lui. In ginocchio”.

La storia poteva finire qui ma ovviamente il curato reagì alla sua maniera. “Se l’autore di queste righe è in grado di provare le sue affermazioni, può ritirare presso il sottoscritto la somma di 50 corone; in caso contrario è un vile mentitore”. Il giornale rispose a sua volta con un lungo pezzo che apparve il 12 marzo: “Caro amico Vescoli, l’appetito viene mangiando e perciò ti serviamo un’altra porzione che forse ti convincerà ad aumentare il premio a 100 corone. Dica il curato se corrisponde a verità che le 15 bambine che avevano partecipato alla festicciola dell’asilo siano state costrette a chiedere perdono in ginocchio; non solo, dica anche se corrisponde a verità che a tutte le partecipanti alla festicciola il curato pretese che venisse messo il voto tre in condotta (“Sitten” si chiamava la materia, ovvero “costumi”, più o meno come nell’odierno Iran, dove esiste la polizia morale)”.

Il giornale rimproverò anche al Vescoli di aver spostato il funerale di un bambino per poter partecipare a una festa sul Montelargo, dove rimase, in “gentile compagnia”, fino a mezzanotte. Come sia finita la vicenda non si sa. Fatto sta che dopo qualche anno il curato levò le tende e si spostò a Monte San Pietro. Concluse la sua carriera a Castelvecchio presso Caldaro, dove morì nel 1936 all’età di 62 anni.

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