La vera disgrazia? Non avere obiettivi

Francesca Bassani ha trascorso gli anni dopo la laurea in medicina e chirurgia presso l’Università degli studi di Bologna all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma per specializzarsi in chirurgia pediatrica. Da pochi anni è tornata nella sua città per prendersi cura dei bambini del reparto di Pediatria dell’Ospedale di Bolzano. Francesca ha 40 anni, è sposata e ha tre splendidi figli.

La cosa che mi piace più di me stessa.
La coerenza.


Il mio principale difetto.
Sono poco diplomatica.


La volta che sono stata più felice.
Il giorno in cui ho incontrato mio marito.


La volta che sono stata più infelice.
Il giorno in cui è morto un amico.


Da bambina sognavo di diventare.
Veterinario.


La disgrazia più grande.
Non avere obiettivi.


L’errore che non rifarei più.
Rifarei tutto, errori compresi. Solo sbagliando si impara.


Il capriccio che non mi sono mai tolta.
Comprare un camper e girare l’Italia con i miei figli.


Un libro da portare su un’isola deserta.
Cent’anni di solitudine (Gabriel Garcìa Màrquez).


L’ultima volta che ho pianto.
Mi sono commossa recentemente vedendo le immagini del trasporto dei vaccini anticovid che varcava il confine del Brennero.


Non sopporto.
Le ingiustizie.


La sofferenza dei miei figli.
Mi sono sentita più orgogliosa di me stessa quando.


Mi sono laureata in medicina.
Il mio primo ricordo.


La “casa dei giochi”, l’appartamento in cui ho vissuto da 1 a 4 anni.
Il Paese dove vorrei vivere.


Il Brasile.
La qualità che preferisco in un uomo.


Il coraggio.
La qualità che preferisco in una donna.
La simpatia.


Il fiore che amo…
iris.


Se fossi un animale sarei…
una giraffa.


Nel mio frigo non manca mai…
latte e Nutella.


Dove mi vedo tra 10 anni.
Al lavoro, come sempre.

Autore: EL

Via Bari: in arrivo la scuola “del futuro”

Nel quartiere Don Bosco nel giro di qualche anno sorgerà una scuola che si candida per divenire un luogo di vera avanguardia per tutto l’Alto Adige. In un edificio modernissimo troveranno spazio due sezioni di elementari e medie rispettivamente di lingua italiana e tedesca, che per la prima volta avranno davvero la possibilità di entrare in relazione. Ne abbiamo parlato con l’ex dirigente del Schulsprengel Bozen Europa Heidi NIederkofler, che è stata una delle principali promotrici del progetto. 

Heidi Niederkofler, com’è nato il progetto della scuola di Via Bari? 

Quando alle Pestalozzi hanno cominciato a mancare le aule perché la popolazione scolastica stava crescendo, l’intendenza italiana ci ha proposto di inserire una sezione di lingua tedesca nell’edificio della scuola Langer nel rione Firmian. La scuola Langer era già stato costruita, ma abbiamo cercato di fare in modo che non si trattasse solo di “buon vicinato” tra la sezione italiana e quella tedesca. La scuola dunque è stata impostata sulla base di un’idea di collaborazione e cooperazione. Non è stato semplice, i concetti erano diversi così come gli orari. Ma sono state fatte tante cose insieme, impossibili in altre scuole. Ci sono stati ad esempio collegi docenti e corsi di aggiornamento comuni due volte all’anno. 

In realtà come diceva lei alle Langer c’erano diversi limiti, infatti a un certo punto si sono dovuti impegnare anche i genitori, per cercare di promuovere reali momenti comuni di condivisione tra i ragazzi, specie nelle attività ludiche.

Ci sono voluti anni perché all’inizio c’era una sorta di corazza, ma abbiamo comunque avuto diverse sane contaminazioni. Poi però si è cominciato a parlare di un possibile progetto in via Bari. 

Lì c’era una matassa burocratica da sbrogliare…

Sì, tra Ipes e Comune. Il terreno era dell’Ipes ma era indicato come “area scolastica”. L’Ipes dunque non poteva costruirvi e finché il Comune non acquisiva il terreno non era possibile nemmeno l’edificazione della scuola. Quando la situazione si è risolta i due intendenti e l’allora assessore alla scuola mi hanno chiesto di vedere cosa si poteva fare. L’idea di fondo era quella di trasferire in via Bari i bambini tedeschi della Langer. Io li ho sconsigliati in merito: le nuove linee guida dell’edilizia scolastica dicono infatti oggi che là dove c’è una popolazione con diverse lingue non si fa più una scuola per i tedeschi e una per gli italiani, ma si fa invece una scuola unica per la popolazione.

Si tratta di un bel cambiamento, non c’è che dire.

Sì. Ai promotori ho detto che se avessimo fatto di nuovo scuole divise per lingua, sarebbe anche andata a cadere l’esperienza maturata alla Langer. E inoltre spostando bambini dalle Langer a via Bari ci sarebbe stata anche troppa distanza per alcuni di loro dalla loro abitazione. Ho quindi proposto una scuola per la popolazione del rione con otto classi di lingua tedesca e otto di lingua italiana, dalla prima elementare alla terza media. Ho anche suggerito che il progetto venisse impostato sulla base del concetto dei “tre incontri”. Innanzitutto “tra le generazioni”, con protagonisti ragazzi e bambini, in un contesto architettonicamente predisposto. La seconda categoria di incontro era ovviamente quella delle lingue, considerando non solo italiani e tedeschi ma anche stranieri. Il terzo livello era quello, moderno, dell’incontro tra scuola e natura. 

Per incontro tra generazioni si intendono anche gli insegnanti?

Sì, ma nel senso del far incontrare e lavorare insieme insegnanti delle elementari e delle medie, soprattutto nel momento del passaggio tra la quinta elementare e la prima media. L’idea in ogni caso era quella che ogni classe avesse una sua partner naturale, potendo lavorare (grazie all’architettura ad hoc) anche attraverso “gruppi aperti”. Ad esempio in diverse materie come inglese, scienze, musica, ecc.  

Si tratta di un concetto di scuola molto diverso rispetto a quello a cui siamo abituati…

Sì, e in cui non esiste un corridoio con le porte che vi si affacciano, ma piuttosto atrii con intorno le classi messe in comunicazione visivamente attraverso delle vetrate. Il progetto è stato approvato all’unanimità dalle tre intendenze, il Comune e la Provincia. 

Per quanto riguarda la contaminazione tra uomo e natura cosa ci può dire?

Tanto verde nella scuola e possibilità di lavorare fino al fiume. La scuola poi è vicina al Parco Semirurali che ha anche una valenza storica, oltre che naturalistica. A fianco ci sono anche gli orti delle donne Nissà, molto significativi. Su questa scia dunque è stato lanciato un bando di concorso per gli architetti. 36 di loro hanno inoltrato un progetto e in due giornate piene abbiamo scelto il migliore. La decisione è stata presa all’unanimità due anni fa. Il bando è stato vinto da un progetto presentato da due architetti di Padova. Nel progetto la mensa è all’ultimo piano e sul tetto ci sono sia orti che spazi ricreativi, separati tra elementari e medie. Siamo stati anche criticati: ci hanno detto che sembra un Hotel Riz. E noi abbiamo detto che questa era propria la nostra intenzione: offrire una cosa davvero preziosa ai ragazzi e al quartiere Don Bosco.

Sono progetti che traggono ispirazione da esperienze all’estero?

Sì, soprattutto in Olanda. 

La scuola quando verrà costruita?

I lavori dovevano iniziare nel 2021, ma per via del Covid e dei finanziamenti necessari i tempi saranno un po’ più lunghi. Ma sono già in corso di realizzazione i sondaggi geologici nel terreno.