Una rockstar nell’Ottocento

Ludwig Van Beethoven: un nome noto a chiunque, anche a chi non capisce niente di musica classica;  quel “ta da da daaaan” è entrato nella coscienza popolare, due note che rappresentano anche nel linguaggio parlato il simbolo della suspance. 

Già, la famosa Quinta di Beethoven. La Quinta, non la Nona: la Nona è – per intenderci – una composizione più “gentile”: è quella scelta (dopo essere stata reinterpretata da Herbert Von Karajan) come Inno Europeo, e si ricorda chiaramente anche come colonna sonora nelle scene in cui Alex DeLarge, capo dei Drughi, viene “rieducato”  in carcere nell’”Arancia Meccanica” di Kubrick.

La Quinta sinfonia è quella che venne usata come sigla delle trasmissioni in italiano di Radio Londra durante la Seconda guerra mondiale, in quanto in codice Morse tre punti e una linea formano l’iniziale V di Victory. Ed è anche probabilmente lo stesso motivo per cui venne utilizzata per la graphic novel ed il film “V per Vendetta”. 

Una composizione che negli anni, in tempi moderni, è stata riadattata e modernizzata, operazione che ha aiutato chiunque a memorizzarla: fu riarrangiata anche in versione disco da Walter Murphy per il film “La febbre del sabato sera”, brano ripreso come cover dagli Elio e le Storie Tese che l’hanno riadattata ne “Il quinto ripensamento”. 

Se Bach è jazz (basta ascoltarsi le reinterpretazioni di Jacques Loussier o di Glenn Gould per rendersene conto), Beethoven è rock: a dare forza a questa teoria ci aveva pensato Steve Vai, guru della chitarra distorta e degli “shredder”, i virtuosi delle sei corde, che verso la fine degli anni 90 l’aveva registrata in chiave neometal. Una versione che fa parte (seppur modificata a suo piacimento) del repertorio del sex symbol del violino, David Garret.

Il nome del grande compositore appare anche altri contesti musicali; nel 1956 Chuck Berry compose “Roll over Beethoven”, grande classico del rock’n’roll. Pare che Berry scrisse la canzone in risposta a sua sorella Lucy che occupava sempre il pianoforte di famiglia per suonare la classica mentre lui voleva scrivere i suoi pezzi. 

Anche gli Eurythmics nel 1987 pubblicarono un pezzo intitolato “Beethoven (I love to listen to)”, un brano particolare, molto elettronico e parlato, che raccoglie sonorità tutte anni Ottanta, ma decisamente innovativo per l’epoca.

Ma Beethoven è celebre al grande pubblico anche per altre composizioni, come “Al chiaro di luna”, per esempio: romantica, delicata, arpeggiata, colonna sonora di innumerevoli pellicole fra cui “Il pianista”, “Misery non deve morire”, “Confessioni di una mente pericolosa”, “Psycho II” e “L’uomo che non c’era”. Un’opera che dedicò alla sua alunna prediletta, la giovane contessa Giulietta Guicciardi, di cui lui era tanto innamorato.

A proposito di amore, come non citare “Per Elisa”, forse il primo spartito vero che incrocia la strada di ogni aspirante pianista? A chi era dedicata? Non si sa, ma esistono diverse affascinanti teorie a riguardo. Quasi quarant’anni dopo la morte del compositore, il musicologo tedesco Ludwig Nohl scoprì in una collezione privata una copia di un manoscritto del brano, con su scritto “Für Therese”; ma Nohl, che lo copiò a sua volta, si sbagliò a trascrivere il nome e la intitolò “Für Elise”. La musa in questione sarebbe la baronessa Therese Malfatti, di cui il maestro era profondamente innamorato.

C’è chi invece sostiene che questa breve bagatella sia dedicata a una giovane e bella soprano, tale Elisabeth Roeckel, che alla fine sposò un amico del compositore tedesco. Anche Theresie Malfatti non ricambiò l’amore di Ludwig, né Giulietta Guicciardi né nessun’altra: Ludwig van Beethoven morì giovane e single, corroso dalla cirrosi epatica, e al suo funerale venne salutato da un corteo di oltre 20 mila persone: come ogni rockstar che si rispetti.

Autore: Luca Masiello