Le due acropoli di Laives

Gli scavi effettuati in varie parti del territorio a partire dagli anni ’70 del secolo scorso ci hanno restituito un quadro abbastanza circostanziato – anche se certamente non esaustivo – della Laives protostorica. Del mesolitico, a dire il vero, conosciamo ancora pochi dettagli – tranne per quel che riguarda l’importante sito di San Giacomo, frequentato fin dall’era dei cacciatori e raccoglitori da nomadi in transito lungo la valle dell’Adige. Ovviamente la situazione non deve essere stata molto diversa anche a Laives, dove, all’imbocco della Vallarsa, si trovano luoghi simili, che ben si prestano a soggiorni temporanei. Evidentemente per essere documentate andrebbero effettuati sondaggi più approfonditi.
Al contrario, l’età del ferro, e in particolar modo la cultura di Fritzens-Sanzeno (o retica), hanno dato molte soddisfazioni ai ricercatori: in particolare gli archeologi Lorenzo Dal Ri e Alberto Alberti hanno portato alla luce e documentato in modo mirabile i resti di antichi villaggi retici con case semi interrate di pietra e legno, grandi focolari con lastre di porfido e macine per cereali, tracce di ampie bonifiche del terreno sassoso con rudimentali vigneti e, soprattutto, luoghi di culto. Di questi siti, sparsi un po’ su tutto il conoide, abbiamo già parlato e sappiamo che essi rappresentano la testimonianza che “c’era vita”, a Laives, anche tre millenni fa. Lo stesso nome del paese, che rientra nel novero di quelli indecifrabili, è quasi certamente un “fossile” linguistico di quell’epoca e di quella cultura e prima o poi andremo a fondo anche di questo argomento.
Se dunque i siti tra Reif e Jauch raccontano la storia di un paese cresciuto in prossimità dalla confluenza tra Adige e Isarco (e Isarci erano probabilmente gli abitanti dell’epoca, con “infiltrazioni” di Anauni e Tridentini), rimane da chiarire il ruolo dei due colli morenici che dominano – e in parte insidiano – l’abitato sottostante: la Gampnerknott (crozet) e il Peterköfele.
È molto improbabile che fossero utilizzati per insediamenti stabili in un periodo in cui l’agricoltura la faceva da padrona. Per cui è ipotizzabile che essi fossero, oltre che luogo di rifugio in caso di pericolo, centri sacri e, soprattutto, di culto, dedicati ai riti funerari e ad alcune divinità. In effetti sulla Gampnerknott sono stati ritrovati degli accumuli di pietre, alcune delle quali semifuse dal calore. Sul Peterköfele mancano queste evidenze o sono molto rare: ma, anche in considerazione dell’utilizzo “sacrale” successivo, è assai probabile che la destinazione fosse la stessa. Di queste due “acropoli” o Brandopferplätze (luoghi di roghi votivi), legati in particolare al culto di una divinità, parleremo la prossima volta.

Autore: Reinhard Christanell

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