I Lichtenstein: luci e ombre di un casato

Gran parte della storia di Laives del secondo millennio dopo Cristo coincide, nel bene e nel male, con l’ascesa e il declino della nobile stirpe dei von Lichtenstein.
Dal lontano 18 aprile 1189, quando il principe vescovo di Trento Corrado affidò la “wardia et custodia” di Castel Lichtenstein sopra Laives in feudo ereditario ad “Adelheit, figlia del fu Gottschalk von Kastelruth, a suo figlio Heinrich e a suo marito Otto del fu Herkempret von Weineck” e fino alla sua scomparsa nel 1762, il casato acquistò enormi ricchezze e posizioni di potere in Tirolo, nelle terre d’Oltralpe e nella chiesa tridentina.

Sconosciuti rimangono le origini della famiglia e i nomi dei suoi primi esponenti (Calhochus I?), forse giunti a Laives da Coira nei Grigioni all’inizio del nuovo millennio. Abbastanza certo è invece che Adelaide, sposata in seconde nozze a Otto di Weineck e madre di Enrico, doveva essere vedova di un von Lichtenstein, forse quell’Udalschalk menzionato in un documento del 1162. Non si spiega altrimenti il motivo per cui il vescovo avesse affidato proprio a lei, donna originaria di un’altra diocesi, uno dei suoi feudi più importanti.
Comunque sia, all’epoca il castello doveva esistere da oltre 100 anni, dato che i vescovi di Trento avevano ottenuto quel territorio nel 1027 e il presidio dei suoi confini settentrionali era e rimase della massima importanza almeno fino alla metà del XIV secolo, quando venne distrutto una seconda volta e definitivamente abbandonato.
I conti, che mantennero il solo castrum inferius (Pfleg), centro dei loro affari, si erano già spostati a Bolzano in piazza della Mostra e a Cornedo.
La stirpe di ministeriali produsse personaggi illustri e altri noti soprattutto alle cronache giudiziarie. Uno dei suoi più famigerati esponenti fu Bartolomeo IX, considerato la pecora nera della nobiltà tirolese all’epoca di Ferdinando II.
Era noto per la sua dissolutezza e crudeltà nei confronti del popolo e, soprattutto, per la sua impudica convivenza con una “Dirn” (serva o forse prostituta). Morì in povertà nel 1602 dopo aver perso dissipato le sue ricchezze, tra cui anche il castello di Cornedo, “a causa del suo debole per le donne”.

Non meno indegna fu la fine di suo figlio Wilhelm VII, crudele e depravato quanto il padre: fu assassinato nel 1586 nei pressi di Cornedo da Erasmus von Lichtenstein, Pfleger di Caldaro, su istigazione di Konstantin I von Lichtenstein. A quest’ultimo furono quindi tolti i castelli di Arco e Penede. Invitato alla resa, rispose con le parole: “Se i conti di Arco sono stati dei cujoni, io di certo non lo sarò”. Partì per le guerre turche e non fece più ritorno. Da Belgrado scrisse a suo cugino Nicolò di Lodron, invitandolo a vendere l’argenteria per pagare il riscatto dalla prigionia. Costui si guardò bene dall’esaudire il desiderio del parente e lo lasciò morire in esilio nel 1614.

Autore: Reinhard Christanell

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