La mia vita con il cancro al seno

Il 19 ottobre scorso si è celebrata la “Giornata internazionale contro il cancro al seno” con il proposito di sensibilizzare le donne sul tema della prevenzione e dell’accesso alle cure. Per ripercorrere insieme alcuni aspetti, soprattutto pratici, di questa malattia, Giusy Maestretti ha voluto raccontare la sua vicenda personale per essere di esempio a tutte quelle donne che non eseguono l’autopalpazione: “Toccatevi le tette! A me ha salvato la vita”, racconta Giusy.

Giusy Maestretti , come si è accorta del nodulo al seno?
Ero sotto la doccia e come al solito sono abituata a fare l’autopalpazione. Ho notato subito una pallina dura sulla parte superiore del seno destro. 

Cosa ha pensato in quel momento? 
Nella mia famiglia ci sono alcuni casi di tumore al seno, ho pensato subito di chiamare il mio medico di base il quale mi ha prescritto una visita senologica urgente.  

Che cosa succede dopo la visita senologica? 
Sono stata invitata in clinica a Bolzano, dove mi hanno sottoposta ad una serie di esami medici fino alla diagnosi che è arrivata in tempi brevissimi. Il 15 giugno ho fatto la visita senologica, il 18 la mammografia che ha confermato la presenza di una lesione sospetta; il 25 ho fatto anche una biopsia e il 2 luglio mi hanno dato l’esito tanto temuto: tumore al seno. In termini medico il nome è questo: carcinoma duttale infiltrante.

Ricapitolando: arriva la diagnosi e in poco tempo lei è costretta a rivedere i suoi piani: la famiglia, i figli, il lavoro. Cosa accade nella testa di una donna quando sa di avere un tumore? 
Non mi sono lasciata prendere dal panico e da paure eccessive: mi sono completamente affidata ai medici, i quali mi hanno detto che si trattava di un tumore ormonale  trattabile e che ce l’avrei fatta. Quello che mi ha forse spaventato all’inizio è stata la necessaria riorganizzazione della mia quotidianità in casa e soprattutto dover raccontare ai miei figli che la loro mamma “non stava bene”. 

Qual è l’iter che ha seguito dopo la diagnosi? 
Dopo la diagnosi sono stata affidata alle cure dello staff medico della Breast Unit (unità di senologia) dell’ospedale di Bolzano, dove il 5 luglio ho fatto il primo colloquio con l’infermiera e il chirurgo che mi avrebbe operata di lì a breve. Sapevo di essere in buone mani. La Breast Unit è un centro specializzato che offre numerosi servizi per le donne malate di tumore al seno. Presso la  LiLT (lega italiana per la lotta contro i tumori) invece ho trovato altri  servizi utili, dalle diete durante le cure al supporto psicologico.

Dopo l’intervento di rimozione del nodulo al seno, cosa le hanno detto?
Fortunatamente dopo l’intervento, quadrantectomia con asportazione del linfonodo sentinella, il medico mi ha detto che non dovevo fare la chemioterapia, ma 25 sedute di radioterapia. La cosa mi ha reso felice e non poco. L’idea di dover fare la chemioterapia, perdere i capelli e le energie, è stato per me un brutto sogno ricorrente. Non che il post operatorio sia stata una passeggiata: non riuscivo a dormire, la ferita sotto l’ascella tirava, per non parlare delle irritazioni della pelle intorno al capezzolo dopo le sedute di radioterapia.

Come sono oggi le sue giornate? 
Tutti i giorni mi reco a Bolzano per fare le sedute di radioterapia. Le infermiere sono gentili e rispondono a qualsiasi tipo di domanda, poi scambio esperienze con altre donne malate di tumore al seno come me. Con loro è nata una bella frequentazione perché condividiamo più o meno le stesse esperienze e  tutti gli aspetti pratici legati alla malattia. 
A volte mi chiedo: perché proprio a me! La risposta non esiste; ho conosciuto tante donne con storie e trascorsi diversi. Certo: la genetica e l’età incidono, ma il tumore può sorprendere anche donne settantenni in piena salute e senza precedenti in famiglia. Alla fine della giornata si torna a casa un po’ stanche, sono gli effetti della radioterapia. 

Ritornando al “perché proprio a me?”, che chiave di lettura si è data? 
Dopo la biopsia ho pianto tanto. Non ho mai avuto paura della malattia in sé, ma dell’impatto che questa avrebbe avuto sul mio corpo e sulla mia famiglia. Ho pianto da sola, facendo coraggio a chi mi stava intorno. 
Oggi credo di essere diversa, il tumore mi ha imposto uno stop, mi ha fatto capire chiaramente che dovevo occuparmi di me stessa e della mia salute. Ed è quello che faccio, curandomi e seguendo le indicazioni dei medici. Insomma ho fatto la mamma e la paziente oncologica a tempo pieno. 

Perché ha scelto di raccontare apertamente la sua storia? 
Per dire che l’autopalpazione è una pratica importantissima di prevenzione. Noi donne conosciamo bene il nostro corpo Io non avevo sintomi e mi sentivo bene. Solo toccandomi il seno sotto la doccia mi sono accorta che c’era qualcosa di diverso. Molte donne non si toccano il seno  perché hanno paura o si imbarazzano, invece vorrei dire a tutte: “toccatevi le tette! Le prime siamo noi”. 

In questo periodo di grande fragilità emotiva, chi le è stato vicino? 
Mi sono sentita molto coccolata da amici, colleghi e parenti. Ma vorrei approfittare di questo spazio dedicato alla malattia per ringraziare le persone della mia famiglia senza le quali questo percorso verso la guarigione sarebbe stato più difficile. Mio fratello Cosimo, mia cognata Giada che ha saputo ascoltarmi sempre, mio padre Giuseppe – un papà e nonno presente – i miei figli che mi hanno dato la forza di non mollare mai, e la mia mamma, Maria. In quei momenti, anche se adulta e anche se madre, h voluto la mia mamma accanto e lei c’era. Ce l’avrei fatta anche da sola? Per fortuna non ho mai dovuto pormi questa domanda.

Immaginiamo lei voglia fare anche altri ringraziamenti…
Sì, e ci tengo moltissimo. Vorrei fare un ringraziamento speciale agli infermieri e ai medici che si sono presi cura di me. Le infermiere Martina Tetter, Ketty Tollardo, il dottor C. Mayr, chirurgo di oncologia che mi ha operata, tutte le infermiere del reparto di chirurgia di Bolzano, la Lilt di Bolzano per l’assistenza post operatoria, la dottoressa Annalisa Pesavento del reparto di oncologia e la dottoressa radiologa Rosa Michela del reparto di radioterapia insieme a tutto il personale medico e paramedico. 

Autrice: Francesca Morrone

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