“Senza consenso è violenza”

“Ma hai visto com’era vestita? E poi era anche ubriaca: se l’è andata a cercare”: non è difficile (soprattutto in questo periodo in cui sui social fioccano giuristi laureati all’università della vita) sentire frasi del genere quando si parla di violenza sulle donne. Come il recente caso della giornalista sportiva molestata  in diretta: un fatto che se da una parte ha visto gli italiani sostenere la professionista, ha lasciato anche spazio a quell’infimo ed intimo pensiero che vede “una palpatina” come nulla di serio. 
Ma non è così. 
Ed è anche per questo che la Rete contro la violenza sulle donne ha voluto lanciare una nuova campagna di sensibilizzazione: “La violenza sulle donne non ha tempo né confini, è endemica e non risparmia alcuna nazione o paese, industrializzato o in via di sviluppo che sia. Non conosce nemmeno differenze socio-culturali, vittime ed aggressori appartengono a tutte le classi sociali. Secondo le statistiche il rischio maggiore sono i familiari, mariti e padri, seguiti dagli amici, vicini di casa, conoscenti stretti e colleghi di lavoro. Secondo l’Oms una donna su cinque ha subìto, nella sua vita, abusi fisici o sessuali da parte di un uomo”, ha spiegato la vicesindaca di Merano e assessora alle pari opportunità Katharina Zeller.
La campagna “Senza il Tuo consenso è violenza” si focalizza sulla violenza sessuale. La necessità di agire riguardo a tale problema è emersa in seguito all’allarme lanciato dalle rappresentanti degli Streetworker all’interno della Rete. Chi infatti lavora a stretto contatto con le ragazze e i ragazzi ha rilevato che le varie forme di violenza sessualizzata spesso sono oggetto di malintesi e confusione e accompagnate da un senso di colpa… da parte della vittima/donna.
Poco chiari sono spesso anche i concetti di limite, di consenso, di rispetto. Inoltre i sensi di colpa e la mancanza di informazioni da parte delle ragazze inibiscono la ricerca di aiuto e sostegno da parte dei servizi presenti sul territorio ma anche da parte di amiche o altre persone di fiducia.

Manifesti e adesivi
La campagna è molto articolata ed è concepita per mantenere la sua validità nel tempo. La Rete ha deciso di puntare molto sulla parte grafica e sull’efficacia linguistica del messaggio che si è voluto giovane e moderno. 
A tale scopo è stato realizzato un concorso di idee rivolto a grafiche ed artiste, di cui è risultata vincitrice Júlia Ventura Bruguera. Lunghi mesi di confronto tra l’illustratrice e un gruppo di lavoro interno alla Rete hanno prodotto una campagna di manifesti e adesivi. Gli adesivi – 16 diversi – sono il “pezzo forte” della campagna e hanno il compito di veicolare ciascuno un diverso messaggio attinente al tema della violenza sessuale. Contestualmente sono stati e verranno affissi in città grandi manifesti (due metri per due), che attireranno l’attenzione sull’avvio della campagna. Tutti i prodotti riporteranno un QR Code, che rimanda ad una pagina dedicata del sito del Comune di Merano, in cui sono stati predisposti approfondimenti sul tema nonché riassunti tutti i consigli e le informazioni necessari per reagire in caso di violenza. La campagna si svilupperà anche sui social con l’hashtag #ViolenzaSessualeParliamociChiaro.

Mostra itinerante sulla violenza sessuale “Com’eri vestita?”
L’associazione “Donne contro la violenza – Frauen gegen Gewalt”, in collaborazione con il Museo della donna e il patrocinio della Rete antiviolenza del Comune, porta a Merano la mostra itinerante “Com’eri vestita?”.
L’esposizione sarà allestita al piano terra dell’ingresso del Museo della donna, in via Mainardo 2, e rimarrà accessibile – gratuitamente – dal 4 al 12 dicembre, da lunedì a venerdì dalle ore 7.30 alle ore 19, il sabato e la domenica dalle ore 10 alle ore 19.
“Com’eri vestita? – Rispondono le sopravvissute alla violenza sessuale” è un’installazione creata da Cerchi d’Acqua in cui i vestiti esposti rappresentano simbolicamente quelli indossati durante la violenza subita e sono accompagnati da brevi suggestioni che le donne hanno voluto condividere, raccontando alcuni elementi della loro esperienza.
L’obiettivo della mostra è quello di decostruire alcuni stereotipi relativi alla violenza sessuale, primo tra tutti l’idea che l’abbigliamento possa esserne la causa e che l’atteggiamento e il comportamento della donna possano averla provocata. 
“Attraverso un indumento si raccontano violenze, molestie, stupri e abusi subiti da parte di estranei o partner occasionali, ma più frequentemente dal compagno di una vita che non accetta un NO, oppure da una fidata figura familiare, nelle sicure e insospettabili mura domestiche”, ha spiegato Sigrid Pisanu della Casa delle Donne. È in questo contesto che va inquadrato il fenomeno della violenza alle donne, che spesso trova nell’opinione pubblica le più diverse giustificazioni. Così, se gli aggressori sono sconosciuti, ci si chiede perché la donna non sia stata prudente; se sono conoscenti, ci si chiede se abbia provocato e in che modo lo abbia fatto; se sono mariti o partner si imputa la violenza all’eccesivo amore, alla gelosia o a un raptus di follia.

Decostruire gli stereotipi
La mostra vuol essere quindi un momento di riflessione e una risposta tangibile a uno dei pregiudizi più pervasivi nella nostra società, a partire dalle parole delle donne accolte da Cerchi d’Acqua e dai centri antiviolenza della rete D.i.Re. La mostra trae ispirazione dalla poesia “What I was Wearing” di Mary Simmerling ed è stata sviluppata nel 2013 in un’istallazione artistica, dal titolo “What were you wearing?”.

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