Lo sapevate che nel centro di Bolzano, in via della Mostra 2, c’è un bellissimo palazzo nel quale è possibile ammirare affreschi settecenteschi di rara bellezza? Si tratta di Palazzo Menz, per lunghi anni sede della Banca Commerciale italiana e gli affreschi sono quelli di Carl Henrici, realizzati nel 1776 per i Menz, ricca famiglia bolzanina di mercanti. Nello stabile oggi si trova un negozio, ma gli affreschi, considerati dai suoi contemporanei il capolavoro di questo artista, restano visitabili.
Balli in maschera, scene d’amore e paesaggi orientali affrescano le due bellissime sale, una delle quali veniva usata come sala da ballo. Un tripudio di colori che richiama lo stile veneziano del quale Henrici si fa interprete dopo il suo soggiorno nella Serenissima Repubblica di Venezia.
Henrici, artista nato nel 1737 a Schweidnitz nella Slesia e morto a Bolzano nel 1823, offre un magnifico esempio della pittura del XVIII secolo con la sua visione così perfetta di un mondo sognante e leggiadro, molto “laico”, specie se contrapposto alle opere più richieste al tempo a Bolzano, tutte a forte connotazione religiosa.
Qualche anno fa il critico d’arte Vittorio Sgarbi era venuto a Bolzano e fu fatto l’impossibile per consentirgli la visita agli affreschi. Un articolo del quotidiano Alto Adige ci porta alla mezzanotte di un giorno di marzo del 2017: telefonate, richieste, un custode ad accendere le luci. E Sgarbi rimase senza parole per qualche minuto, per poi confessare “Non li avevo mai visti e sono magnifici. Li conoscevo solo sui libri, quelli di Rasmo…”
Già, Nicolò Rasmo: un nome ancora oggi importantissimo per chiunque si occupi di storia dell’arte a livello locale, grande storico dell’arte e soprintendente della Provincia di Bolzano e di Trento. A Rasmo, cui il Comune ha dedicato una via nel rione Casanova, si riconoscono meriti nel campo della tutela del patrimonio artistico, alle problematiche della conservazione. Tra i tanti suoi scritti ve ne è uno dedicato a Palazzo Menz ed edito nel 1972 dalla Banca Commerciale Italiana, che finanziò anche il restauro dell’edificio danneggiato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale.
La storia del palazzo affonda le sue radici nella fine del 1200. Apprendiamo che – dopo che il duca Mainardo II, nel corso della lotta coi principi vescovi di Trento, cui la città apparteneva, distrusse le mura e il castello del vescovo – sorse una contrada che oltre alla sede dell’amministrazione vescovile (l’attuale hotel Città) comprendeva le residenze di alcune delle più aristocratiche famiglie del paese: i Botsch (Palazzo Campofranco), i Liechtenstein (Palazzo Pock/Kaiserkrone), i conti Trapp e gli Starkenberg. Questi ultimi occupavano le due case adiacenti al palazzo vescovile sulle quali sorse poi il palazzo Menz. All’estinzione della famiglia, le case vennero assegnate ad altri, fino al 1666, anno in cui i Wettin se ne assicurarono il possesso per poi demolirle ed erigere al loro posto un palazzo particolarmente rappresentativo da abbinare al nome Rafenstein, ottenuto con l’acquisto dell’omonimo castello al solo scopo di assumerne lo stemma e il titolo nobiliare (e rivenderlo subito dopo).
Solo nel 1753 il palazzo fu acquisito dai Menz. In occasione dell’ingresso nella casa di Giorgio Paolo Menz, che nel 1776 sposava Elisabetta Clara Amorth, il palazzo fu radicalmente restaurato, è a quell’epoca che risalgono anche gli affreschi.
Le opere sono sotto strettissima tutela storico-artistica, ma essendo “private”, non sono mai state valorizzate.
Autore: Till Antonio Mola