Piero Messina #2: l’arrivo alla corte dei Van Der Graaf Generator

Nello scorso numero abbiamo lasciato il ventenne Piero Messina negli studi milanesi della Numero Uno in qualità di chitarrista dei veronesi Alpha Centauri: “Il gruppo era una meraviglia – ci racconta il musicista – l’etichetta lo voleva assolutamente, ma aveva imposto che avessero un chitarrista e che se non ci avessero pensato loro gliene avrebbero imposto uno d’ufficio. Io ero giunto a Verona da poco e fui invitato per un provino: secondo me erano già perfetti senza chitarra, ma tant’è, fui presto a bordo e per un po’ quella è stata la mia vita”.
Lavorare per la casa discografica di Battisti e Mogol, voleva dire avere a che fare con gente come Bruno Lauzi, Sandro Colombini, lo stesso Battisti, nomi che parlano da sé; gli Alpha Centauri (il nome era stato imposto dall’etichetta) divennero, con la Formula Tre, il nome di punta dell’etichetta per la sezione complessi, e si dice che se non si fossero sciolti sarebbero stati anche meglio dei loro compari di scuderia.
“Ci fecero registrare due brani per un singolo – prosegue Messina –: la versione di un brano dei Fruitgum Company, che avevano da poco sfondato in classifica con Simon Says, e una ben più consistente versione in italiano di un brano di Cliff Richard e Hank Marvin (voce e chitarra degli Shadows, n.d.r.). Registrammo tutto in appena tre ore, perché lo studio pur essendo di proprietà dell’etichetta per mantenersi aveva bisogno di lavorare anche per altri e quindi agli artisti di casa rimanevano delle tempistiche molto ridotte. Lavoravamo molto sugli impasti vocali, il tastierista era un fenomeno e per un anno abbiamo suonato nello stesso giro della Formula Tre”.
Narra la leggenda che nel singolo del gruppo, Dai treno dai / Immagine bianca, abbia suonato la chitarra acustica lo stesso Battisti, ma se così è il suo strumento è parecchio sepolto nella registrazione. Il disco è divenuto oggi oggetto da collezione, venduto in certi casi a quasi duecento euro. La fine del gruppo fu decretata dalla decisione del tastierista di mollare per frequentare il quarto anno di composizione al conservatorio. Nel frattempo Piero Messina aveva continuato a frequentare alcuni amici bolzanini, in primis Giancarlo Bertoni, colui che gli ha fatto conoscere dischi bellissimi e lo ha introdotto, tra l’altro, alla musica dei Van Der Graaf Generator, formazione di prog rock assai in auge all’epoca, con particolare seguito in Italia pari se non maggiore di quello dei coevi Genesis.
“I Van Der Graaf – ricorda Messina – vennero a suonare al Lem di Verona, un locale col palco basso che permetteva di stare a poca distanza da chi suonava: a fine concerto presi il coraggio di andare dietro le quinte per parlare con loro. È stato così che ho fatto amicizia col sassofonista David Jackson, cominciammo a scambiarci per posta cassette su cui entrambi registravamo le cose che stavamo facendo. Pochi mesi dopo tornarono al Lem e coinvolsi anche Giancarlo, che mi aveva introdotto alla loro musica, così dopo il concerto trascorremmo la nottata con alcuni di loro in giro per la città”.
I Van Der Graaf erano allora allo scadere del loro contratto con la Charisma e venne fuori l’idea di fare qualcosa insieme, in un primo tempo addirittura il brano di Piero Fairhazel Gardens avrebbe dovuto essere cantato da Peter Hammill, ma questi decise a breve di fare il solista così la collaborazione fu tra Messina e gli altri componenti del gruppo. “I Van Der Graaf e la loro musica – prosegue a raccontare – sfuggivano ogni possibile etichettatura, erano musicisti fenomenali; ci siamo ritrovati in una fattoria sperduta nel Galles in cui fu allestito lo studio mobile della Polydor. Il banco era in cucina, in una stanza suonava il batterista Guy Evans, in un’altra suonava Jackson, io al piano di sopra, tutti con lunghissimi cavi per le cuffie suonando tutto in diretta. Le finestre e le porte erano coperte di materassi per attutire i rumori esterni… Una cosa che non è mai stata detta è che Giancarlo è stato determinante in senso assoluto per la realizzazione del disco (uscito su United Artits col titolo di The Long Hello, e con disegno del bolzanino Paolo Paglia in copertina n.d.r.) visto che si è occupato della produzione esecutiva e del budget lasciando a noi la parte artistica. Ricordo che la moglie di David cucinava per noi nello chalet di fianco alla fattoria e per tarare i volumi e fare un po’ di riscaldamento il primo giorno abbiamo suonato brani degli Shadows. Sono stati anni bellissimi ed esperienze molto importanti, quello che rimane sono i bei ricordi. L’anno prossimo saranno cinquant’anni giusti, giusti…”.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

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