Da più di 50 anni Salvatore Falcomatà, bolzanino, classe 1954, ha messo le sue energie a servizio degli altri. Che si trattasse di diritto dei lavoratori, dell’assistenza agli immigrati, o del sostegno agli sportivi, egli ha sempre messo in campo tutte le sue competenze umane e relazionali.
Tralasciando la tua ultima esperienza come vicepresidente della circoscrizione Centro-Piani-Rencio e vedendo di ripercorrere il tuo impegno, possiamo farlo per settori, primo tra i quali il sindacale…
La mia prima esperienza risale al 1974, come delegato sindacale alla FLC, Federazione Lavoratori delle Costruzioni, all’interno della quale ho cominciato a rappresentare la CISL, di cui dal 1979 al 1990 sono stato segretario della sezione edilizia. In tutto ho passato 25 anni alla CISL, seguiti da quattro in CGIL, fino al 2004, anno in cui sono passato alla UIL.
Quindi, l’esperienza al sindacato resta un po’ sullo sfondo di tutta la tua vita. Parliamo ora degli anni ’80: erano anni in cui sei stato in prima linea con i molti immigrati che arrivavano a Bolzano…
Nel 1988 sono stato tra i fondatori dell’Associazione Nelson Mandela e dal 1990 con l’apertura dell’Ufficio Immigrati, gestito dall’associazione per conto del Comune, mi sono trovato a contatto con questa nuova realtà. Un lavoro in cui si operava in concerto con l’Ufficio stranieri e la questura di Bolzano. Abbiamo rinnovato qualcosa come 6000 permessi di soggiorno. In quel periodo siamo arrivati a redigere un libricino che spiegava tutti i passaggi per avviare le pratiche.
Successivamente alla associazione abbiamo affiancato una cooperativa, che aveva il compito di avviare gli immigrati ad una esperienza lavorativa sul territorio. Era il tempo in cui la Nelson Mandela gestiva la struttura di accoglienza dell’ex Saetta, con oltre 100 posti letto, in via Roma. Eravamo molto conosciuti in città e contavamo 6-700 soci.
Grazie ai contatti con il mondo dell’edilizia e la allora forte carenza di mano d’opera, abbiamo trovato un lavoro a migliaia di ragazzi, sfruttando la formula della foresteria. A quasi tutti – gente semplice, venuta in Italia in cerca di lavoro – è stato trovato un lavoro dignitoso, per esempio come guardiani, con la possibilità di avere vitto ed alloggio.
Successivamente, con il forte aumento degli arrivi, abbiamo cominciato a dividerli per etnie, sia all’ex Saetta che nella struttura che gestivamo all’incrocio tra Via Resia e Viale Druso, dove ora c’è lo stadio del football americano.
Indirizzavamo questi ragazzi verso dei percorsi di formazione e lavoro, ma chi non aderiva, oppure creava problemi, veniva mandato via.
È stato il periodo in cui più di qualcuno è finito in quella che successivamente sarebbe divenuta la baraccopoli di Bolzano (sul greto del fiume Isarco, all’altezza di via Galilei), terra di nessuno, in cui non entrava nemmeno la polizia.
Che fine hanno fatto i vostri progetti e come giudichi il sistema dell’accoglienza oggi?
La gestione del sistema è molto complessa. L’ex Saetta oggi viene gestita dalla Caritas, che insieme alla Volontarius ormai hanno in carico tutti gli aspetti dell’accoglienza. Sono realtà divenute troppo grosse, e che, secondo me, avrebbero bisogno di qualche idea innovativa.
Dopo il sindacato e l’impegno di supporto all’accoglienza ti sei speso anche nello sport…
Ho fondato la sezione basket della UISP e l’ho seguita, anche da allenatore, fino al 1994, ma la mia ultima grande passione è il ciclismo. A dicembre termina il mio mandato come presidente dell’associazione Centro pista. Dal 1996 mi piace sostenere il settore, e, in 25 anni ho visto passare una cinquantina di campioni italiani nelle varie discipline.
Autore: Till Antonio Mola