Il primo libro si era rivelato uno scoop: per la prima volta si parlava di quella guerra lontana ma vicina anche al pacioso Alto Adige; per la prima volta si affrontava il tema della Legione straniera senza romanticismi, così come per la prima volta il Vietnam non evocava atmosfere à la Oliver Stone. Due anni dopo Luca Fregona si è trovato “costretto” a pubblicare un altro volume in cui si concentra su altre storie di Legionari la cui memoria, altrimenti, sarebbe andata perduta nelle scartoffie di qualche impolverato ufficio francese.
Sette vite, sette personaggi, sette storie impresse nero su bianco su oltre 300 pagine capaci di trasportare il lettore in quell’inferno sconosciuto vissuto da giovani italiani che hanno combattuto in Vietnam nella prima guerra d’Indocina dal 1946 al 1954 con la Legione straniera francese. Racconti d’avventura dal taglio cinematografico, se si vuole, e a tratti anche piuttosto crudi, narrati da quel Luca Fregona – cronista che ha “semplicemente” raccolto le testimonianze di chi quella guerra l’ha vissuta in prima persona, come Legionario o come famigliare. Ed è proprio dai parenti di chi ha indossato il Kèpi bianco che è partita la necessità – come la chiama l’autore – di trovare altre storie, di indagare sul passato di chi dopo la Seconda guerra mondiale si è arruolato in quell’esercito esotico. Il titolo del libro è “Laggiù dove si muore” (Ed. Athesia), e da un certo punto di vista rappresenta un omaggio a chi si è affidato nella mani di Fregona per ritrovare la vita dei propri cari che sono scomparsi nel nulla dall’altra parte del Globo.
Qual è stata la molla che ha fatto scattare l’ispirazione per questo secondo libro?
“Soldati di sventura” è stato per me un successo, e non sto parlando delle vendite; già mentre lo scrivevo mi ero reso conto di aver raccontato una storia ancora non scritta e di aver scovato una notizia del nostro passato che in qualche modo noi italiani avevamo dimenticato. E dopo la pubblicazione ne ho avuto la conferma: mi sono arrivate decine di messaggi e telefonate di famigliari di altri Legionari che avevano fatto il Vietnam. Mi dicevano “finalmente qualcuno che può darci delle risposte, perché dei nostri parenti non sappiamo niente, nemmeno dove sono sepolti”. Li ho contattati, ci siamo incontrati, mi hanno messo a disposizione una mole enorme di materiale: fotografie, lettere, cartoline, ritagli di giornale, frammenti di divise, croci al merito, encomi e libretti militari. E da qui mi sono attivato attraverso quei canali che avevo già rodato con il primo libro.
Non deve essere stato un lavoro facilissimo…
No, infatti, anzi. I morti ufficiali italiani nell’elenco dei caduti sono 525, ma a questi va aggiunta qualche centinaia di dispersi. Per loro c’era poco da fare, le famiglie all’epoca non sapevano a chi rivolgersi, si perdevano nella burocrazia e poi desistevano. Come il caso di una famiglia di Bressanone che ha perso il figlio in Indocina e mi aveva chiesto aiuto: ho scoperto che si era arruolato a 16 anni, l’ultima lettera che aveva mandato a casa era del gennaio del ‘54, poi è stato dato per disperso. Non sono riuscito a scoprire altro, è stato frustrante.
Però con altri dispersi la ricerca ha avuto successo.
Già, come nel caso del bolzanino Alfredo Decarli, di cui la famiglia non sapeva più nulla da settant’anni. È stata la sorella di questo soldato a contattarmi tramite la parlamentare Biancofiore, che aveva svolto senza successo delle indagini per conto suo presso l’ambasciata francese. Era partito a 18 anni da Bolzano per amore. Lui era di estrazione umile, si era innamorato follemente di una ragazza che lo corrispondeva; solo che lei apparteneva ad un livello sociale leggermente superiore, così i famigliari erano contrari al loro matrimonio. Allora lui si arruola nella Legione straniera senza dire niente a nessuno, con l’illusione di mettere da parte, in quei cinque anni di servizio, i soldi necessari per ottenere l’assenso dei futuri suoceri. Appena arrivato all’addestramento in Algeria, però, capisce subito di aver commesso un errore madornale, anche perché lei non condivide questa scelta e lo lascia con una lettera. Lui arriva in Indocina nel marzo del ’54. Il 13 aprile si offre volontario per essere paracadutato a Dien Bien Phu pur non avendo mai fatto un lancio in vita sua. Il 18, giorno di Pasqua, viene lanciato sulla conca e il 19 muore per le ferite riportate in combattimento. La sorella di Decarli mi aveva chiesto aiuto perché a lei non avevano detto nulla di tutto ciò. La sua famiglia era stata convocata in questura, e qui avevano detto loro che il loro caro era morto, ma non dove, come e quando. Invece grazie ai miei preziosi canali sono arrivato ad ottenere un fascicolo grazie al quale ho scoperto la vicenda e che il ragazzo era stato addirittura decorato con stella d’argento.
Fra le sette c’è anche la storia di un meranese.
Ildo della Torre di Valsassina, nonno dell’ex segretario del Pd Alessando Huber. Sono andato a trovare la moglie e uno dei figli che vivono in provincia di Trieste, dove si era trasferito dopo la guerra in Indocina. Mentre gli altri Legionari di cui parlo erano migranti economici, o comunque disperati che entravano in Francia da clandestini e poi convinti o costretti ad arruolarsi per evitare la prigione, lui ci era andato perché era un fascista convinto, seppur giovanissimo. Ancora minorenne si arruola volontario nei Battaglioni Giovani Fascisti, combatte in Libia, viene ferito, fatto prigioniero; finita la guerra, a 24 anni, si sente dalla parte degli sconfitti, si nasconde e poi si arruola nella Legione straniera. Viene impiegato nel Terzo Reggimento di fanteria in una delle zone più sanguinose, dove c’è una guarnigione perennemente sotto attacco. L’Indocina lo cambia, rientra in Italia e si ricostruisce una vita contraddistinta da un grande impegno civile. Una volta a Bolzano, poi, si rivolge al giornale Alto Adige per raccontare la sua storia in forma anonima, indicando solo il numero di matricola.
E poi c’è quella in “presa diretta”, narrata da Giorgio Cargioli di La Spezia.
Una persona meravigliosa, un uomo onesto con cui è stato facilissimo legare, tanto che siamo diventati amici. Ha 88 anni, la memoria e la grinta di un ventenne; sono stato a casa sua tre giorni e mi ha anche mostrato un memoriale che aveva scritto qualche anno fa. Grazie ai nomi che ricordava dei suoi commilitoni che gli erano morti sotto gli occhi sono riuscito a risalire al ruolino di marcia del suo battaglione, e quindi ad ogni dettaglio delle battaglie. Lui è un caso molto particolare: a 18 anni si arruola per evitare la prigione dopo essere entrato clandestinamente in Francia; durante l’addestramento tenta di disertare, ma gli va malissimo. Lo mettono subito in prima linea in Indocina, e dopo l’armistizio del ‘54 gli restano tre anni da fare in Algeria, dove stava esplodendo un’altra guerra. Stanco dei massacri diserta e passa con i Viet, che lo rinchiudono in un campo di prigionia per otto mesi; poi gli offrono due possibilità: restare in Vietnam per sempre a costruire il socialismo o tornare nelle mani dei francesi. Lui voleva tornare in Italia, quindi sceglie la seconda opzione. Ma la corte marziale di Saigon lo condanna a due anni di carcere, a cui si aggiungono i tre anni di Legione che rimanevano. Poi però, sulla nave prigione che lo sta riportan do in Algeria, 104 disertori si ammutinano e riescono per una mezzora a sopraffare i gendarmi, lui riesce a buttarsi a buttarsi in mare nel Canale di Suez e salvarsi. Una fuga così clamorosa che finì sui giornali di tutto il mondo.
Autore: Luca Masiello