Fin dai tempi antichi, l’odierno Alto Adige – o terra in montanis – è stato scarsamente popolato. In altura la vita era possibile ma faticosa, in gran parte delle vallate impossibile a causa delle vaste paludi che le occupavano. Sarà anche per questo motivo che gli intraprendenti Romani, nei 500 anni di loro dominio, non vi hanno mai fondato nessuna città degna di questo nome.
Lungo l’Adige le paludi iniziavano nella zona di Cermes e arrivavano fino a Missiano; in Bassa Atesina, dal Lago di Caldaro fino a Magrè si estendeva un’unica grande palude. Più a sud, da Roverè della Luna fino a Deutschmetz (Mezzocorona) e tra Welschmetz (Mezzolombardo) e Zambana si trovava un’altra palude. Anche sulla riva sinistra del fiume la situazione non era migliore: da Gargazzone fino a Settequerce e poi tra l’Agruzzo e Laives, tra Bronzolo e Vadena e a Ora, Egna e Salorno il territorio era estremamente paludoso e quindi poco ospitale.
Queste paludi “storiche”, hanno lasciato traccia anche in vari documenti più o meno antichi. Nella famosa lettera di San Vigilio, “ricomposta” nel 1191, la palude di Caldaro compare con il vecchio nome di Maszauco, quella di Termeno viene denominata Sangonario. Evidentemente questi toponimi risalgono perlomeno all’epoca romana o forse addirittura preromana. In queste paludi millenarie, formate dal deflusso “spontaneo” e dal ristagno delle acque dell’Adige, non sono mai esistiti veri e propri insediamenti umani che invece sorgono sui declivi alluvionali pedemontani.
Le paludi, molto temute per le febbri malariche, venivano utilizzate prevalentemente come pascoli, dato che i pochi terreni asciutti lungo la valle erano adibite alla coltivazione dei vigneti e dei cereali. Perciò erano spesso contese tra i comuni di Caldaro, Termeno, Cortaccia e Egna e frequentemente scoppiavano delle liti anche in sede giudiziaria.
Oltre a questi comuni, anche la Magnifica Comunità di Fiemme possedeva ampi diritti di pascolo sulle paludi della Val d’Adige. Inoltre, i pastori della Val Senales, della Val Passiria, della Val Sarentina , della Val di Fassa e della Val di Cembra li sfruttavano in certi periodi dell’anno.
La palude di Maszauco compare per la prima volta nella lettera di San Vigilio del IV secolo (poi trascritta una prima volta nel 1022 dal diacono Ermagora) come una delle località facenti parte della parrocchia di “Caldare” insieme a “Bugnane / Penon, Corone / Corona, Curtasze / Cortaccia, Trominum / Termeno, Castello / Castelvecchio, Amurasca / Pianizza di Sopra, Ad lacum / San Giuseppe al lago.
Nei documenti notarili del XIV secolo il nome Maszauco viene indicato spesso come Mazoch, forma tedeschizzata dell’antico toponimo. Si ipotizza che il nome derivi dal latino medievale mansacium (fienile, grande stalla), ma la cosa è tutt’altro che certa. La palude di Maszauco arrivava dal Lago di Caldaro fino a Magrè ed apparteneva ai comuni di Caldaro, Termeno e Cortaccia.
La situazione migliorò verso il 1242, quando venne realizzata un canale di scolo dal lago verso l’Adige. All’epoca di Heinrich von Rottenburg, nel 1320, il comune di Caldaro fece costruire un ulteriore fossato che questa volta arrivò fino a Villa di Egna. In secoli successivi e almeno fino al 1785, questo grande canale arrivò fino a San Floriano.
La palude Sangonario, molto insidiosa, era attraversata da uno stretto sentiero pietroso denominato “Steinweg” che arrivava fino a Gmund / Monte e poi all’Urfahrhof, maso sull’argine dove in assenza di un ponte era possibile farsi traghettare sull’altra riva. I terreni alluvionali lungo gli argini dell’Adige erano chiamati “Haertneren”, i più rigidi, e venivano sfruttati per realizzare piccoli vigneti che puntualmente venivano spazzati via dalle piene del fiume. La grande piena del 1757 alzò le acque del fiume di quasi due metri. Dopo la realizzazione della Fossa grande di Caldaro, che dal lago portava a Mezzocorona, e la costruzione di numerosi canali laterali e minori, il livello del lago scese di mezzo metro. La fossa grande fu realizzata su progetto dell’ing. Joseph von Zallinger di Bolzano, che nel suo maso di Vadena aveva già eseguito con successo numerose opere di bonifica e messa in sicurezza degli argini dell’Adige. La fossa era larga 5 metri e profonda 1,80. Con l’inizio della bonifica della palude di Maszauco e la parcellizzazione della stessa all’epoca dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria si arrivò finalmente a realizzare quell’enorme distesa di vigneti e frutteti che ancora oggi si possono osservare in Bassa Atesina.
Reinhard Christanell