VALORI
La nostra “storia di copertina” dello scorso numero, dedicata all’esclusività o meno delle radici cristiane dell’Europa, ha sollecitato alcuni lettori a contattarci, con messaggi e telefonate, per esprimere la loro opinione. Tra queste reazioni vi è quella di Teresa Finetto, che abbiamo deciso di pubblicare anche perché ci consente di aggiungere tutta una serie di elementi che ci era stato impossibile evidenziare con il prof. Sarri, soprattutto per motivi di spazio. Ringraziamo la nostra lettrice, un’insegnante in pensione, per aver segnalato diversi aspetti positivi del contributo dato dal Cristianesimo nel tentativo di “creare comunità” nel continente europeo, attraverso i secoli. Richiamando in questo modo lo spirito di fratellanza e accoglienza che però, ahinoi, oggi come oggi, molti cattolici praticanti sembrano poi dimenticare quando si accostano alle urne elettorali.
Luca Sticcotti
Egregio Direttore, ho letto sullo scorso numero della rivista l’articolo dal titolo “Radici cristiane?” scritto [assieme al] professor Andrea Sarri, che conosco e stimo. Tuttavia non posso fare a meno di dissentire su alcuni aspetti della sua interpretazione, soprattutto sulla definizione di “mito delle radici cristiane” dell’Europa. Se per “mito” si intende una visione del passato idealizzata a nostalgica, non posso che concordare con lui. “Guerra, peste, carestia” sono i flagelli, conditi da un bel po’ di ingiustizia, da cui, da sempre, si è pregato di essere preservati. E il nostro tempo non ne è immune, anzi!
Ma riconoscere questo non significa negare, di conseguenza, che il cristianesimo abbia portato nella società una nuova antropologia, una nuova mentalità, un nuovo modo di associarsi e risolvere i problemi. Paolo VI ha proclamato san Benedetto patrono d’Europa perchè, alla luce dei fatti, il monachesimo è il movimento che pazientemente, in tempi durissimi, ha creato una comunità di popoli animati dallo stesso ideale, con una fede, una liturgia, una lingua, una mentalità comune, pur nelle specificità locali, dalla Spagna alla Polonia, dalla Gran Bretagna alla penisola italica.
I monasteri per secoli sono stati centri propulsori di vita spirituale, ma anche materiale a tutti i livelli: la lavorazione del formaggio (compreso il grana padano), della birra, del vino, dell’olio, le bonifiche, i terrazzamenti nei paesi mediterranaei, le dighe per difendersi dal mare nei paesi del Nord e molto altro sono nati dallo sperimentalismo dei monaci. Senza dimenticare gli orti botanici e la farmacologia naturale ora così di moda. Sorprende scoprire che persino le note musicali siano state inventate da un monaco, Guido d’Arezzo, utilizzando un inno dedicato a san Giovanni.
Tutto ciò è documentato nella bellissima mostra Il gusto del quotidiano recentemente esposta nella chiesa parrocchiale di Don Bosco.
Certamente non vanno dimenticate le altre radici, felicemente accolte nella cultura cristiana, in particolare quella latina, letteralmente salvata e trasmessa dai monasteri, e quella germanica, convertita, umanizzata e indirizzata a finalità nobili dall’istituzione della cavalleria. Un tentativo, naturalmente, non sempre riuscito ma affascinante, tanto che ha generato un nuovo genere letterario.
Mi preme, per interesse personale che mi ha spinto a studiarlo in modo particolare, accennare al fenomeno delle vie di pellegrinaggio che hanno unificato la cristianità sia nello spirito penitenziale, anche qui un tentativo ben riuscito di convertire il male, personale e collettivo, sia nello spirito di accoglienza che ha generato gli hospitales, da cui sono scaturiti gli ospedali o ospizi medioevali gestiti da confraternite laiche o congregazioni religiose e attivi fino almeno al XIX secolo. La Chiesa, intesa come popolo cristiano, nei secoli ha coltivato, con caratteristiche adeguate all’epoca, le opere di misericordia: gli studenti dovrebbero esserne informati, ci sarebbe così tanto da scoprire e, soprattutto, riprendere! Come già accade per molti gruppi di laici impegnati nel sociale.
Concludo questo inevitabilmente limitato excursus con una osservazione: a mio parere Paolo VI ha proclamato san Benedetto patrono d’Europa non per anticomunismo, ma per ricordare una eredità che, almeno fino alla Rivoluzione francese, non era necessario ricordare in quanto patrimonio comune riconosciuto universalmente. Se i papi recenti, compreso Francesco, hanno richiamato l’Europa a ritrovere la sua anima è perché, non inserendo il richiamo alle radici cristiane nella propria Costituzione, l’Unione Europea ha consapevolmente rimosso la propria storia, tradendo lo spirito dei suoi padri fondatori, Adenauer, De Gasperi e Schumann, gli ultimi due già proclamati “servi di Dio”. Si è aperta così la strada ad una rimozione che è sfociata nel relativismo, nel nichilismo, nell’individualismo e nel materialismo che caratterizzano, purtroppo, la cultura europea. Penso sia questo il vero problema dell’Europa. E penso che, se si vorrà portare avanti il sogno di un’Europa unita (già presente nell’ideale della Res publica christiana) non si potrà prescindere da un serio ripensamento su ciò che davvero può unirci. Un’Europa pragmatica, astrattamente ideologica ma senz’anima potrà procurare molti vantaggi materiali alle generazioni future, ma non potrà generare quello spirito di fratellanza e di accoglienza di cui tutti abbiamo bisogno.
Autrice: Teresa Finetto