Nelle mensili “Fremdenlisten” di Merano comparivano sempre più numerosi i cognomi russi di liberi professionisti ed industriali che, in forza dell’ingente sviluppo economico che la Russia stava vivendo, amavano trascorrere all’estero le proprie vacanze. Coglievano così anche l’opportunità di incontrare nei parchi, ai caffè o nelle sale da gioco i finanzieri e gli imprenditori di tutta Europa e stringere nuove ed importanti relazioni o alleanze economiche.
Frattanto a Merano vi era stato un rapido sviluppo delle ferrovie che, in capo a pochi anni dopo l’apertura della linea Bolzano-Merano, avvenuta nel 1881, permise un collegamento diretto fra Merano e San Pietroburgo.
Ciò aveva determinato un afflusso ancor più cospicuo di turisti ed ospiti di cura russi. Anche l’alta aristocrazia frequentava la nostra città, giungendo numerosa con il proprio entourage e con la propria servitù al seguito.
Era generalmente l’inverno la stagione che spingeva i nobili russi a varcare i confini della propria patria per cercare condizioni climatiche favorevoli nei luoghi di villeggiatura più alla moda.
A partire dal 1884 su interessamento anche dell’Azienda di cura e soggiorno, le funzioni di rito ortodosso ebbero luogo a Villa Stefanie, anche se l’esigenza di una chiesa aveva spinto il “Comitato” a raccogliere fondi per la sua costruzione fin dal 1880.
Ai membri del Comitato spettò anche il difficile compito di cercare un sacerdote disposto a trasferirsi in città anche solo per una parte dell’anno. Scelsero padre Feofil Kardasevic di Irom nei pressi di Budapest. Egli dotò la chiesa provvisoria di Villa Stefanie degli arredi sacri, la consacrò e ne redasse lo statuto che fu presentato all’assemblea della Comunità nel gennaio 1885.
La chiesa si manteneva con le offerte e la beneficenza di tutti gli ortodossi che vivevano o soggiornavano a Merano. Nel luglio successivo il Santo Sinodo ortodosso accordò con un editto alla chiesa di Irom di celebrare messe nella nostra città.
Determinante per l’allestimento delle strutture della Comunità russo-ortodossa e per la costruzione della “Casa Russa”, fu il lascito di centomila rubli di una giovane donna morta di tubercolosi: Nadezda Ivanovna Borodina. Nadezda, figlia di un funzionario di corte dello zar Nicola I, era giunta in città nel tentativo di alleviare i propri dolori ma, aggravatasi, morì a trentasette anni nel 1889.
Nel suo testamento indicò con precisione che la somma doveva essere impiegata per costruire un pensionato per correligionari non abbienti e malati di tubercolosi e per la costruzione di una chiesa ortodossa dedicata a San Nicola Taumaturgo.
Redattrice: Rosanna Pruccoli