Fra i numerosi ebrei che giunsero a Merano a partire dal 1832 diverse erano le provenienze geografiche, la posizione sociale, il senso di appartenenza, l’attitudine alla frequenza della sinagoga o l’attenersi alle rigide regole. Del pari numerosi erano gli ebrei assimilati e non pochi coloro che avevano percorso molto prima delle leggi razziali la strada della conversione alla fede evangelica o cattolica. Quando nazismo e fascismo strinsero d’assedio l’Europa ogni persona anche solo di lontana origine ebraica fu irrimediabilmente in trappola.
Fu un problema di salute, un disturbo alla laringe, a condurre a Merano nel 1911, la trentottenne fotografa ungherese Ilka Révai. Allieva del fotografo ebreo Aladár Székely, al secolo Aladár Bleier (1870 – 1940), il primo rappresentante del realismo fotografico ungherese, se ne emancipò presto dando vita ad un atelier autonomo. Artista matura e già affermata in patria, sicura di sé, e dotata di spirito imprenditoriale, pensò di sfruttare le potenzialità del luogo aprendo un atelier fotografico proprio. Città di cura, frequentata da una società colta e assai agiata, Merano prometteva molti clienti sia per le sue fotografie artistiche che per altri manufatti.
Estremamente accorta, Ilka non lasciava nulla al caso e nel settembre 1913 si rivolse alla Camera di Commercio e Industria di Bolzano richiedendo un certificato di competenza che confermasse che le sue fotografie erano da considerarsi “prodotti di libera arte”.
Creò la sua rete di conoscenze iscrivendosi al Meraner Künstlerbund e partecipando alle esposizioni con le proprie opere fotografiche. Per il suo atelier e laboratorio fotografico scelse non a caso vicolo Fossato Molino 4, proprio accanto all’hotel e ristorante casher Starkenhof.
L’hotel di proprietà della famiglia Bermann, aperto sin dal 1874, fu polo assai frequentato sia dalla popolazione ebraica locale che da quella, ampia e variegata per provenienza, dei turisti di cura. Possiamo evincere la sua particolare tecnica fotografica leggendo il resoconto che ne fece un visitatore del suo atelier sulla rivista Meraner Kurzeitung. Egli spiegava che sulle fotografie l’artista non interveniva con dei ritocchi.
Solo l’intensità della luce trovava una giusta equalizzazione elaborandone le lastre. In questo modo ad ogni fotografia veniva conferita una sua unicità, una sua individualità e un effetto artistico quasi pittorico.
Ilka Révai decise di farsi conoscere anche attraverso una inserzione sulla stampa locale e in particolare sulla Meraner Kurzeitung, rivista che poteva essere facilmente rintracciata dai turisti di cura anche nella Sala di lettura del Kurhaus. Espose più e più volte nelle collettive organizzate dal Meraner Künstlerbund. Ebbe quindi modo di condividere la sala espositiva con Maria Radio von Radiis, Ellen Tornquist e Ada von der Planitz. Presentò le sue fotografie artistiche anche nella Gewerbehalle. Stando ai giornali del tempo, alle sue mostre Ilka Revai esponeva teste di uomini e donne assai realistiche, “nelle quali si potevano osservare tanto la morbidezza delle carni che i pori della pelle. Insomma ritratti assai lontani dall’essere paragonati a mere teste di porcellana prive di un’anima”.
Oltre alle fotografie proprie, Ilka esponeva prezioso artigianato ungherese che pubblicizzava invitando gli amanti del bello a visitare il suo atelier e a prendere visione dei pezzi unici esposti.
Nel 1913, ad esempio, fu in grado di far conoscere una serie di arazzi prodotti dalla Scuola Nazionale Ungherese di Gobelin.
Le fotografie qui esposte mostrano il ritratto per cui nel 1917 Ilka Révai divenne famosa in patria e cioè il ritratto di Lajos Kassak (1887 – 1967). Scrittore, artista e giornalista ungherese, rappresentante del Futurismo che conobbe in Italia e di cui introdusse i programmi in patria tentando di conciliarli con le sue convinzioni socialiste, Kassak aveva dato vita anche alla rivista d’avanguardia MA, dove formulò il programma teorico del Costruttivismo ungherese e alla quale contribuiva pure Ilka Révai. Lo scrittore è colto di fronte, ma il volto e lo sguardo sono rivolti verso il basso come se fosse intento a scrivere o a leggere.
La luce evidenzia solamente il viso, mentre si intravede il rever della giacca e il maglioncino, lo sfondo è indistinto ad arte proprio per dare maggior risalto ai tratti somatici e alla carica psicologica che da esso traspare.
Autrice: Rosanna Pruccoli