C’era da aspettarselo, qualunque fosse il suo contenuto, una fiction ambientata in Alto Adige, soprattutto nel capoluogo, non poteva che destare critiche: critiche per i contenuti, per le gli svarioni della sceneggiatura, per l’immagine che ne esce di Bolzano. L’importante è che tutti possano dire la loro a proposito, a costo di uscirsene con svarioni ancor più grossolani di quelli inseriti nei dialoghi dello sceneggiato “Brennero”, trasmesso in queste settimane da Raiuno.
Inutile dire che i protagonisti di questi commenti provengono quasi tutti dal mondo politico, sembra che nessun cronista si sia preso la briga di andare ad ascoltare – badate bene, ascoltare, non sentire – cosa ne pensa la gente comune, chi si guarda una fiction per il puro piacere di guardarla, di apprezzarne le qualità o disprezzarne i difetti, ma dal punto di vista dell’esserne fuitore/fruitrice e non per cercarne ad ogni costo i punti deboli o le castronerie.
Beninteso, le castronerie non mancano, e sono anche gravi: a partire da quell’inspiegabile (e ripetuta) convinzione che in Alto Adige sia vietato l’uso della lingua tedesca, come se fossimo ancora nel triste ventennio fascista, fino all’incomprensibile capo dei pompieri di origine cosentina che di cognome fa Pedrotti!
Certo, si sa, gli sceneggiatori di fiction vengono pagati un tanto al chilo, ma un po’ di umiltà non guasterebbe, perché non fare rileggere i testi a qualcuno del luogo, giusto per evitare scivoloni del genere.
Del resto, come possiamo pensare di voler insegnare agli altri abitanti della penisola come funziona la nostra regione se siamo noi altoatesini a non sapere ancora bene chi siamo, ad avere la memoria corta sulla storia, recente o meno. La memoria è un cliente scomodo, ma non per questo va trascurato: i bolzanini di lingua tedesca tendevano a dar colpa ai fascisti (e agli italiani in generale) per il fatto di essere stati soggetti all’occupazione nazista tra il 1943 ed il 1945, dimenticando che se fossero rimasti austriaci nel 1918, sarebbero stati nazisti già nel 1938. Per non dire di un recente vicesindaco del capoluogo che dichiarò di preferir festeggiare l’8 settembre (più o meno la data in cui arrivarono i nazisti) piuttosto che il 25 aprile! Per altro non si può non notare come alcuni personaggi di lingua tedesca della fiction abbiano un aspetto da nazisti, tipo la poliziotta Lena Pilcher e il procuratore capo in pensione Gerhard Kofler (ahimè, omonimo del grande poeta bolzanino).
Tornando alla nostra fiction, è apprezzabile come si lasci guardare senza far venire sonno (un bel risultato vista la presenza di un attore sonnolento e dalle scarse doti come Matteo Martari). A chi si lamenta del fatto che l’immagine che ne esce sia di una Bolzano oscura e cupa diremo che così sono un po’ tutte le città del nord che diventano teatro di fiction televisiva (la Milano de “Il clandestino”, la Trieste de “La porta rossa” e Aosta nelle indagini di Rocco Schiavone, ma lì ci sono un attore superlativo e un autore notevole ad elevarne la qualità). Certo le fiction ambientate al Sud quanto a solarità hanno altre chance, anche quando sono tratte da romanzi meno di cassetta rispetto a quelli di Camilleri. A chi ravvisa similitudini tra il killer che uccide solo persone di lingua tedesca e il Florian Gamper faremo solo notare che la perizia psichiatrica sul mostro di Merano diceva che le sue vittime erano persone a cui lui invidiava la felicità, senza implicazioni etniche.
Se comunque qualcuno deve essere additato per le cose che non vanno nella fiction, questo qualcuno è la Film Commission altoatesina che concede allegramente i soldi pubblici senza verificare effettivamente cosa sta sovvenzionando. Non basta difendersi dicendo che il copione lo aveva letto anche la commissione della ripartizione culturale italiana della provincia, troppo comodo. Biasimo comunque anche alla commissione cultura se così fosse.
D’altra parte, proprio quella Film Commission, nel 2013 aveva finanziato “La migliore offerta”, pluripremiata pellicola diretta da Tornatore: ma tutto il film era girato in un magazzino della Bassa Atesina, l’unica ripresa esterna, l’ultima, era stata fatta in Veneto. Il ritorno d’immagine dov’era allora?
La risposta è una sola, ci hanno preso, e continueranno a prenderci per il beep(*).
(*) l’autore lascia ai singoli lettori l’onere di sostituire il beep con la parola che più ritengono calzante.
Autore: Paolo Crazy Carnevale