Le mani sporche di terra e le unghie nere, i calli, la spalle anchilosate, la fronte madida, un fazzoletto sul capo e una sensazione di breve felicità. Per le genti uscite dalla guerra, sopravvissute alle devastazioni, alle privazioni, al grande silenzio della morte la terra era l’unica via. Curarla, coltivarla e mangiare dei suoi frutti una lezione di economia frugale. Ultimati i solchi per i trapianti con degli attrezzi di fortuna, quelle genti si crogiolavano all’ombra frondosa di grandi alberi, assaporando pane secco ammorbidito con aceto e un pizzico di sale. Il fruscio delle foglie innescato dalle brezze marine sovrastava ogni respiro, ogni pensiero. Lo sguardo veniva rapito dal volo radente di una farfalla. E, in quella conduzione dell’orto familiare, in un angolo fresco fra i gelsi e gli ulivi, spuntava un bancale rudimentale (la prima compostiera si direbbe), che conteneva un terriccio scuro, dal profumo di terra di bosco. Una sorta di restituzione al terreno degli scarti lasciati macerare. In quell’ammasso corvino aria, microrganismi, batteri, lieviti, attinomiceti e funghi hanno generato il compost. Questo spaccato rurale si contrappone con forza ai sistemi agricoli odierni, in cui i brevetti, la chimica e i pesticidi (con le loro pericolose derive) hanno campo libero, impoveriscono l’ambiente e minano la salute pubblica. Oggi anche noi possiamo “consegnare all’ambiente una goccia di splendore”: questo terriccio compostato ricco di biodiversità e molto equilibrato. In un grande contenitore coperto, assicurato ai venti, alle percolazioni e alla traspirazione, uniamo piccole quantità di terricci esausti, avanzi di cucina, di verdure, bucce di banane bio, fondi di caffè, di tè, gusci di uova di quaglia (quelle di gallina solo se tritate fini), scarti di giardino, rametti, sfalcio di prati, foglie secche, materiali degradabili, cartone, segatura e trucioli di legno non trattato. Ogni decina di giorni giriamone il contenuto e innaffiamo con parsimonia. Aggiungiamo una dozzina di lombrichi per velocizzare il processo. Evitiamo carne e pesce, cenere di sigaretta, gherigli di noci, agrumi e frutta troppo acquosa. Tempi: 60/90 giorni.
Ezio fai un concerto per l’ambiente?
“Sono andato a ripassare cos’è l’ambiente. Ambiente in Italiano è l’unico aggettivo che in realtà è un verbo, è il participio presente del verbo ambire, cioè arrivare intorno. Quando è nato era l’essere intorno, i latini lo chiamavano “ambiens”, perché era l’aria, perché l’aria ci è intorno, ci circonda e poi era il Tutto e poi era la Terra. Era quello che abbiamo e anche noi siamo intorno.”
Autore: Donatello Vallotta