I frammenti di Giancarlo Lamonaca

“Frammenti. Mosche, lattine, guerra e vette immaginarie”: sono elementi piuttosto disparati quelli che compongono il titolo della personale di Giancarlo Lamonaca al Kunstforum di Egna (visibile fino al 6 novembre). 
Nato a Cortina nel 1973, Lamonaca ha studiato arte e pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna e all’HDK di Berlino e attualmente vive a Varna, presso cui ha il suo studio. Lamonaca si potrebbe definire un illusionista della visione: nelle sue opere, immagini purissime volteggiano, si sovrappongono, si specchiano una nell’altra, a volte sembrano sbriciolarsi in frammenti per ricomporsi in nuovi significati. 
Quando crediamo di aver colto, “letto” una forma e un significato, pochi centimetri dopo la nostra certezza è contraddetta. Una danza tra illusione e disillusione che può irritare o  da cui farsi trascinare, stando al “gioco dello sguardo”. Nella mostra a Egna l’artista presenta nove opere fotografiche inedite, spesso di grande formato, nate da immagini frammentate, tagliate in pezzi e ricomposte. Gli abbiamo chiesto di raccontercela.

Partiamo dal titolo della mostra: cosa hanno in comune le mosche, le lattine, la guerra e le vette immaginarie? 
Sono frammenti tratti dalla vita quotidiana, che, in maniera diversa, rispecchiano i contenuti del mio lavoro; i rifiuti, la guerra, le mosche (intese non come gli insetti a cui state pensando) e una parte di un ciclo che ho iniziato nel 2010 intitolato “Der Analog” (ital. “Il Monte Analogo”). Quest’ultimo è ispirato all’omonimo romanzo, non concluso, dello scrittore francese René Daumal, in cui un gruppo di esploratori decide di trovare e scalare il Monte Analogo, montagna la cui vetta è più alta di tutte quelle conosciute, per ritrovarsi in un mondo utopico. In questo senso, il mio è un lavoro sul tema della montagna come allegoria dell’ascesa, in cui il viaggio è la vera meta. 

Nel comunicato della mostra è scritto “c’è sempre un po’ di follia nel voler superare i limiti del fotografabile”. I limiti di ciò che possiamo fotografare sono anche i limiti di ciò che possiamo vedere?
Intendo un andare oltre; la realtà è il punto di partenza per spingere al massimo, quindi al limite, le possibilità del mezzo fotografico e dell’elaborazione. La sovrapposizione di tante immagini insieme crea una densità di materiale altissima e sposta chi guarda dalla realtà in una dimensione effimera.

È una ricerca che riguarda solo la sfera del visibile e della percezione? 
Non solo: mi piace dissimulare, nascondere i fatti, ma poi dare appigli nel titolo Ad esempio, dietro l’opera intitolata “Oppela” si cela l”immagine della città di Aleppo distrutta dalla guerra. Le mosche di cui parlo non sono vere mosche, ma quelle usate per la pesca. Come dicevo, mi piace “addensare” il contenuto delle immagini fino a renderlo quasi un’altra cosa. E’ un po’ come succede nella vita quotidiana: siamo talmente esposti alle immagini e alle informazioni, che nella densità si distorcono. I miei lavori ricalcano questo, sono così sovraccarichi da astrarre la tematica – qualsiasi essa sia, dalla montagna alla guerra, e renderla lontana e invisibile, estetica.

Parliamo della tecnica: quindi lavori molto con l’elaborazione digitale?
In realtà non modifico la foto in sé, non la filtro. E’ il lavoro di sovrapposizione che porta al risultato finale. Quando  ho un’idea in mente ci lavoro, lascio che maturi, finché non scatta l'”Aha-Erlebnis”, l’illuminazione, la sensazione di essere arrivato al punto giusto. Ma non tutti i lavori portano a una conclusione: in una fotografia cerchiamo una certezza visiva, che poi però non sempre “funziona” come pensiamo e a volte svanisce.

Giancarlo Lamonaca, Fragmente. Mosche, lattine, guerra e vette immaginarie.
Egna, Kunstforum Unterland. Da martedì a sabato, 10-12 e 16-18. Fino al 6 novembre 2021. 
Ingresso libero.

Autrice: Caterina Longo

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