Se la letteratura sudtirolese del Novecento è in gran parte legata alle vicende storiche che hanno segnato un territorio conteso, a una comunità rurale che ha subito traumatiche lacerazioni e a una convivenza forzata, una delle sue voci più originali e controverse ha saputo dare alla propria opera un più ampio respiro e farle pertanto acquisire notorietà anche al di là dei ristretti confini della Heimat. Forse per essere stata il riflesso di un’esistenza errabonda e inquieta, in perenne transizione e intersezione tra due lingue e culture, la multiforme ancorché scarna produzione letteraria della meranese Anita Pichler (1948-1997) si è sempre sottratta a un’immediata collocazione di genere o a etichette di mercato, suscitando nei lettori reazioni del tutto contrastanti. I suoi libri – racconti, saghe rivisitate, romanzi ibridi, collage di impressioni e meditazioni – sono infatti un invito ad addentrarsi nella contraddittorietà dei sentimenti umani, nello spaventoso e affascinante mistero che è l’esistenza. Davanti a una lingua capace di sovvertire le tradizionali tecniche narrative e sempre aperta a una lettura a più piani, anche la critica letteraria si è divisa tra entusiastiche ricezioni e sferzanti, talvolta feroci giudizi, sin dal romanzo d’esordio, oggi finalmente disponibile in versione italiana per i tipi di Edizioni alphabeta Verlag e grazie alla pregevolissima traduzione di Donatella Trevisan.
Haga Zussa – pubblicato in edizione originale nel 1986 dalle prestigiose edizioni Suhrkamp – ha come protagonista una donna alla ricerca di sé, la cui vita è punteggiata di relazioni evanescenti e di lavoretti saltuari. Distribuendo questionari porta a porta, un giorno si accorge di aver smarrito le chiavi di casa, e così torna in uno dei tanti appartamenti che ha visitato, dove riconosce, nella donna invalida che l’ha già accolta in precedenza, una persona che mai avrebbe voluto rivedere in vita sua. L’ombra che riappare improvvisamente dal passato la costringe a un confronto serrato con situazioni e figure a lungo represse e negate, e la cui riaffiorante memoria, nutrita di presente, genera ulteriore turbamento, ma anche nuovi percorsi da intraprendere, dove però la trappola del caso è sempre pronta a scattare.
Insieme alla sua protagonista, Anita Pichler sembra interrogarsi appunto sulle “coincidenze”, ossia su quegli eventi casuali “senza i quali nessuna sopravvivenza è possibile”, modellando una raffinatissima prosa poetica – quasi un brano musicale – e componendo uno scenario polifonico dove, tra atmosfere perennemente sospese, mondi interiori vengono smembrati e ricombinati per cerchi concentrici.
Haga Zussa, insieme ai precedenti Le donne di Fanis (2020), Di entrambi gli occhi lo sguardo (2018) e Come i mesi l’anno (2016) – edizioni oggi disponibili anche in unico cofanetto acquistabile online sul sito dell’editore – è il coronamento di un progetto editoriale che vuole offrire al lettore italiano un percorso letterario, quello di Anita Pichler, di straordinaria originalità e ricchezza stilistica.
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