I giovani tra fede e speranza

// Di Niccolò Dametto

Michele Dalla Serra è da non molto il nuovo referente del settore della Pastorale Giovanile della Diocesi di Bolzano Bressanone. Questo compito è sempre stato affidato a un sacerdote, ma ora per la prima volta l’ambito viene coperto da un teologo laico per tutti i tre gruppi linguistici. Attirare i giovani al mondo della chiesa risulta sempre più difficile oggigiorno, una vera sfida che Michele, classe ’93, ha preso a cuore. Con lui oggi andremo a scoprire cosa è cambiato rispetto alle generazioni passate e come i giovani vedono la chiesa cattolica.

Come ti sei avvicinato alla religione fino poi ad arrivare a fare questo lavoro?

Sono cresciuto a Bolzano in un ambiente parrocchiale. I miei genitori mi portavano nella chiesa della Visitazione, ho frequentato lì la catechesi e i campi scuola estivi. È sempre stato il mio ambiente. Poi quando ho iniziato le superiori mi sono aggregato ad un gruppo di miei coetanei che si trovava alla Parrocchia dei Tre Santi e sono cresciuto assieme a loro, con esperienze, gite in montagna e viaggi organizzati dalla Pastorale Giovanile. Facendo queste esperienze con il tempo mi sono offerto nel dare una mano nell’organizzazione; una cosa tira l’altra e finite le superiori ho iniziato a dare una mano più sostanziosa sempre su base volontaria, fino a quando non mi è stato offerto un lavoro part-time dall’azione cattolica.

Poi ad ottobre nel 2022 la Pastorale Giovanile stava cercando qualcuno che si impegnasse nel coordinamento delle attività del gruppo linguistico italiano e del gruppo linguistico tedesco, allora mi sono candidato ed eccomi qua.

La tua fede come ti ha influenzato in questo percorso?

Sicuramente è stato un percorso di crescita. Quando le cose vanno bene, viene facile avere fede, quando invece le cose non vanno mi chiedo sempre perché lo faccio. Sicuramente non lo faccio per me: lo faccio sempre nell’ottica del servizio. Fede e servizio sono due parole che vedo molto legate tra di loro.

Che rapporto hanno i giovani con la chiesa rispetto alle generazioni passate?

In passato c’erano meno proposte e i giovani erano meno ribelli, avevano meno voglia di autodeterminarsi e fare di testa loro. Quindi era più facile per le famiglie trasmettere ai propri figli il loro spirito religioso.

I miei genitori sono cresciuti frequentando l’oratorio, come molti dei loro coetanei. Oggi non tutti i genitori d’oggi hanno avuto un passato parrocchiale, e quindi la chiesa viene vista solo come una istituzione e non si propone più ai ragazzi di andare in parrocchia. Molti genitori delle generazioni passate raccontavano le loro esperienze positivi ai loro figli e questo sicuramente aiutava: i figli si fidavano di più.

Come li vedi i giovani d’oggi?

Quello che vedo adesso è che c’è più un senso di ribellione, di fare di testa propria. Non ho ancora capito se è per mancanza di voglia, per i troppi impegni o per il troppo stress.

Insegnando religione in un liceo mi sono reso conto che i ragazzi d’oggi sono stressati in generale. Alcuni arrivano a scuola già spremuti: tra compiti, sport e lezioni se gli si fa una proposta ulteriore diventa facile che ti dicano di no.

Da un lato c’è questo abbondare di proposte, impegni e stress, dall’altro (in modo implicito/silente) c’è un fortissimo desiderio di approfondire alcune tematiche. Anche sulla scia del post-Covid a lezione si fanno un sacco di domande, non solo sul futuro ma anche sul presente. E, secondo me, rispetto a queste domande manca spesso l’occasione per metterle in comune e discuterle assieme.

Perché si parla poco di religione tra i giovani?

L’estate scorsa abbiamo fatto un campo estivo con la parrocchia e una delle difficoltà che emergeva dai ragazzi (che erano quasi tutti delle superiori) è che oggi se dicono in classe che vanno a messa o fanno parte di un gruppo parrocchiale, a loro viene attribuito lo stigma dello sfigato e quindi magari tanti si vergognano di raccontare questa loro esperienza. è stato interessante: quando ne abbiamo parlato alla fine si sono trovati ad essere ben in sei in una classe di venti alunni che stavano facendo questa esperienza, ma non ne avevano parlato tra di loro.

Secondo me, è perché si ha paura di venire etichettati anche perché ultimamente la chiesa istituzione viene criticata molto. Ma essere chiesa in realtà è una cosa diversa da quello che normalmente si pensa. Si ha paura di porsi delle domande per la paura delle risposte. Il tema della fede presuppone di farsi domande tutti i giorni per crescere, per mettersi in discussione.

Come si fa ad attirare i giovani affinché prendano parte alle iniziative religiose?

Secondo me la strategia della testimonianza e dell’esempio è senz’altro quella più efficace. Se esprimo ai giovani le mie emozioni e faccio capire loro che quella cosa lì muove anche me, la testimonianza senz’altro ha effetto. Magari non viene recepita subito ma viene presa messa lì da qualche parte e poi magari dopo qualche anno viene tirata fuori, perché qualcuno capisce cosa ha voluto dire fare quell’esperienza. In ogni caso che vengano tre ragazzi oppure cento per me tutti sono importanti ed è importante che tutti riescano a vivere bene quell’esperienza.

Ai giovani che messaggio vuoi lanciare?

Dico loro: se per un periodo le cose vanno male devi pensare che poi passa, e allora intanto prova a vedere il bello che ti dà il ritmo per andare avanti. Comunicare questo ai giovani è determinante. Perché poi iniziano a fidarsi di più e a capire che con la fede la vita non è un sogno dove va tutto alla perfezione ma che ognuno ha le proprie difficoltà ma anche le sue gioie. Per me avere fede è un valore aggiunto, mi dà ha una marcia in più per ripartire: è una speranza a lungo termine.

Che cosa deve assolutamente avere un buon cristiano?

La speranza. Se non abbiamo la speranza non possiamo ritenerci cristiani. Però non deve essere una speranza del “che vadano bene le cose”, ma un “io credo che le cose vadano bene”, “spero di capire come farle andare bene”, e “spero che succeda nei tempi giusti”. Occorre essere sicuri che prima o poi ci sarà una svolta e credere in quella sicurezza vuol dire appunto aver fede.

Come si fa poi a mantenere la fede?

Da bambino hai una fede giovane e acerba. Hai le tue scarpette piccoline. Se quando cresci ti allontani dalla fede, ti ritrovi poi ad essere adulto e avere ancora le scarpe da bambino. Ti senti ridicolo, non le vuoi più mettere quelle scarpe. Ma come cresce il piede, devi anche cambiare la scarpa. Ciascuno deve crescere nella fede facendosi delle domande, confrontandosi con gli altri, capendo se anche loro si fanno le stesse domande e come si possono trovare dei punti in comune. La dimensione tanto sottolineata dal Papa della fraternità è questa: stare insieme, confrontarsi insieme per cercare di trovare una soluzione ai problemi di tutti.

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