“Questa è la Formula Uno del nuoto”

Classe 1987 Oscar Scano è un giovane papà che a Merano rappresenta una categoria sportiva davvero speciale: il nuoto pinnato. La sua passione per questo sport nasce quando aveva 16 anni. Oggi vive e lavora a Merano, anche se la squadra per cui gareggia si trova a Torino. 

Oscar spera, un giorno, di poter allenare una squadra tutta sua e di trovare in città a Merano  uno spazio adeguato per questa disciplina affascinante e spettacolare quanto il volume d’acqua che una monopinna riesce a spostare.

Quando nasce la passione per questo sport? 
Sono nato sportivo e ho sempre praticato sport, a 6 anni facevo parte di un gruppo di nuoto agonistico di Torino, Fiamma Nuoto. A 14-15 anni scopro il nuoto pinnato e da allora non ho mai smesso. Il nuoto ti impone dei limiti; il nuoto pinnato ti permette di andare al doppio della velocità. Io sono sempre stato affascinato dalla velocità ed è per questo motivo che ho scelto questa disciplina e ringrazio ancora il mio vecchio allenatore Stefano Verdiani e la squadra di cui faccio parte, la Alba Sport di Torino.

Che cos’è il nuoto pinnato? 
Il nuoto pinnato è una disciplina acquatica che grazie all’uso di pinne, nel mio caso di monopinne, permette di raggiungere velocità più elevate rispetto al nuoto tradizionale. Questo sport viene definito la Formula Uno del nuoto, ma non è considerato una disciplina olimpica, anche se dal 1981 fa parte dei Giochi Mondiali. Le federazioni italiane di nuoto pinnato sono  la Fipsas  e la  Cmas.

Il nuoto pinnato ha una storia affascinante…
Le pinne nascono in ambito militare e vengono considerate armi segrete. Durante il secondo conflitto mondiale i nuotatori pinnati trasportavano materiale bellico attraversando in notturna il mare aperto. Più tardi nel dopoguerra le pinne vengono utilizzate dai pescatori subacquei e solo nel 1950 viene disputata la prima competizione in Italia sul fiume Po. 
Negli anni Settanta con l’avvento dello stile delfino, si affaccerà per la prima volta  la monopinna che è l’attrezzatura che caratterizza il nuoto pinnato moderno. 

Molti confondono il nuoto pinnato con le movenze sinuose della sirenetta. Quanto è vera questa associazione? 
Il nuoto pinnato è uno sport di velocità e non è affatto semplice. Se i  movimenti dei piedi dentro la scarpa della monopinna  non sono precisi e sincroni, si rischia di compromettere tutta la parte lombare con gravi conseguenze per la salute della schiena. Inoltre l’alloggio del piede nella scarpa della monopinna provoca delle microfratture ai polpastrelli che spesso devono essere protetti con del nastro isolante.

È possibile praticare questa disciplina in Alto Adige? 
In realtà no, qui non esiste alcuna società di nuoto pinnato o monopinne. Io ad esempio mi alleno da solo e mi appoggio ad alcune associazioni che mi mettono a disposizione delle vasche durante gli allenamenti. La pinna è molto ingombrante e sposta un volume d’acqua notevole. Questo rischia di creare disagi agli altri nuotatori. Al momento mi appoggio alle associazioni Merano Club Sommozzatori, Sub Marine Diving Merano e Bolzano Sub. Di solito i sub usano le pinne per le immersioni, ma  non tutti sono a conoscenza della disciplina del nuoto monopinna. 

Come sono fatte le monopinne? E quante ne possiede? 
Le monopinne sono costituite da una pala normalmente in fibra di vetro o carbonio lunga circa 50-70 cm sulla cui parte caudale viene incollata una scarpa in gomma per alloggiare i piedi. Le monopinne possono essere di diversi tipi, dipende dai settaggi; ci sono monopinne da fondista, velocista o da mezzofondista. Le pinne più vecchie che uso per allenarmi, anche se non sono adatte per le competizioni, sono pale fabbricate artigianalmente. Oggi solo pochi paesi come Ungheria, Ucraina e Russia le producono ancora a mano. Ci vogliono quasi 2-3 settimane di lavorazione per realizzare tutte le scalanature che si trovano sul retro della pinna e  che determinano la velocità e la spinta del nuotatore. Ogni pala  realizzata artigianalmente è come un vestito di sartoria, cucito addosso alle caratteristiche di chi le indossa. Esistono poi centinaia di scalanature e la scarpa dove alloggia il piede deve essere molto fedele alla conformazione del piede del nuotatore.

Quali sono le categorie del nuoto pinnato? 
Esiste il nuoto pinnato di velocità molto spettacolare perché riesce a spostare enormi quantità d’acqua e l’apnea. 

E gli allenamenti sono faticosi? 
Sì, certo. Io dovrei allenarmi tutti i giorni, ma al momento riesco ad entrare in vasca solo 3 volte alla settimana. Il lavoro e gli impegni familiari non mi permettono di fare di più. 

Quali caratteristiche deve avere un bravo nuotatore di nuoto pinnato? 
Bisogna saper nuotare bene a stile libero e a delfino, avere una buona capacità polmonare, possedere una buona forza sulla schiena e sull’addome e avere una buona mobilità di spalle e caviglie. 

Quali sono i suoi successi personali nell’ambito del nuoto pinnato? 
Nel 2020 ho vinto i campionati italiani master a Lignano Sabbiadoro; sono arrivato primo nei 100 mt. in superficie, secondo nei 50 mt. in apnea, e ancora  primo nei 50 mt. in superficie. È stato bello salire sul gradino più alto del podio accanto ai nuotatori che fanno parte della squadra di nuoto pinnato del corpo della Polizia e della Guardia di Finanza.

Nel 2010 succede qualcosa di particolare…
Sì, purtroppo ho un incidente gravissimo in moto che mi ha provocato delle lesioni importanti alla gamba. Nei 10 anni successivi fino alla partecipazione al master di nuoto del 2020 mi sono dedicato alla mia riabilitazione: non sono riuscito ad entrare in vasca, ero scosso e demotivato, non mi sentivo all’altezza. La palestra e i duri allenamenti mi hanno permesso di irrobustire il busto e le gambe. Nel 2019 e in soli sette mesi riesco ad entrare in vasca con dei risultati incredibili che poco dopo mi avrebbero dato ragione. 

Autore: Francesca Morrone

La città viaggia su due ruote

Ai meranesi la bici piace, non è certo un segreto; tanto che anche quest’anno la città è stata insignita di un’altra onorificenza: nell’ambito della quarta Edizione di ComuniCiclabili – il concorso di Fiab (Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta) riconosciuto in Italia dai Ministeri delle Infrastrutture e Trasporti e da quello dell’Ambiente e in Europa dal Ecf (European Cyclist’s Federation), la città in riva al Passirio si conferma in pole position fra le città italiane a misura di ciclisti.

Certo, c’è ancora da lavorare, altre soluzioni da studiare, ma questo progetto (che valuta il grado di ciclabilità e sostenibilità dei territori abitati e guida le amministrazioni locali che si impegnano a promuovere il cambiamento della viabilità attraverso la promozione dell’uso della bicicletta), ha visto nuovamente Merano riaffermarsi dunque come città “bike friendly”. 

Grazie all’impegno e alla realizzazione dei programmi portati avanti negli anni 2019 e 2020, il risultato è di grande prestigio poiché gli è stata assegnata nuovamente la bandiera con 4 smile su un totale di 5 possibili. Un traguardo tutt’altro che scontato, considerando gli obiettivi di crescita richiesti in un clima di Covid e di Dpcm. Ma addirittura si è andati oltre: sono state migliorate alcune sottocategorie all’interno delle varie aree di valutazione.  Un balzo eloquente dunque come si legge nel giudizio tecnico della Commissione giudicatrice: manca davvero poco per il raggiungimento della quinta “smile” che è l’apice della valutazione. Questo traguardo è molto ambìto in Italia e al momento è stato assegnato solo a 5 Comuni su 141. Fra questi anche Bolzano. Questa qualifica deve essere ritenuta di grande soddisfazione per i cittadini meranesi. L’impegno e il rispetto dell’ambiente sono stati, infatti, ampiamente riconosciuti nelle categorie più complesse. Bisognerà insistere ancora un poco su questa strada per ottenere il massimo riconoscimento, che poi è la stessa che verrà perseguita dallo stesso Governo Draghi con il suo nuovo Ministero della transizione ecologica affidato al neo ministro Roberto Cingolani.

La “Pagella” 
Entrata lo scorso anno, Merano si conferma ComuneCiclabile con punteggio 4 “bike smile” alto. Continua lentamente l’espansione della rete ciclabile, necessaria per la promozione a 5 “bike smile”. Bene la Governance con l’istituzione del Mobility Manager e con l’aumento del numero di linee pedibus (8 totali, +3 rispetto lo scorso anno). Un grande plauso va al lavoro svolto per la Comunicazione e Promozione, con l’ampliamento dei servizi, i 15 “mobility points” e il progetto “bike to work” con e-bike.

Lo spirito della scout

Nata e cresciuta a Merano, Astrid Mancini lavora in uno studio tributario. Impegna gran parte del suo tempo libero nella comunità capi del  gruppo Scout Merano1 che ha sede a Santo Spirito. Di recente ha prestato servizio con i lupetti ed un anno con i ragazzi più grandi, lavorando assieme ai capi seguendo un percorso educativo che aiuta i ragazzi a crescere. È sposata e madre di due figli.

La cosa che mi piace di me.
Che sono una persona coerente.

Il mio principale difetto.
Sono molto testarda ed a volte dovrei contare fino a 100 prima di parlare.

La volta che sono stata più felice.
Il giorno in cui sono nati i miei figli.

La persona che ammiro.
Tutte le persone che affrontano la malattia con dignità ed il sorriso sulle labbra.

Un libro da portare sull’isola deserta.
La storia infinta di Michael Ende. Letto da ragazzina mi ha fatto sognare. Lo rileggerei volentieri.

L’occupazione preferita.
Chiacchierare con le amiche.

Il paese dove vorrei vivere.
A Merano ho le mie radici. Amo viaggiare, ma quando torno  qui mi sento davvero a casa. 

Il mio piatto preferito.
Gnocchi fatti in casa con il pesto.

Non sopporto…
Le persone arroganti e maleducate.

Per un giorno vorrei essere…
Una diva di Hollywood.

Le mie maggiori paure.
La malattia ed il buio.

Nel mio frigo non manca…
Yogurth alla frutta e latte.

Se fossi un animale sarei.
Un cane. Da quando abbiamo il nostro Leòn ho scoperto che sono creature meravigliose, leali e fedeli.

Mi sono sentita orgogliosa…
Ogni volta che i miei figli mi abbracciano e mi dicono che mi vogliono bene. Vuol dire che come mamma forse funziono.

Il mio motto.
Forza e coraggio: domani è un nuovo giorno.

Il giocattolo che ho amato di più.
Una bambola di nome Gioia.

I miei artisti preferiti. 
Vasco Rossi, Marco Mengoni, Jovanotti,  i Negramaro, Elisa, U2, amo la musica… Van Gogh, Camilla Laeckberg.

Il dono di natura che vorrei avere.
Gli occhi verdi.

La qualità che preferisco in una donna…
La solidarietà nei confronti delle altre donne.

…e in un uomo.
La solidità. Deve esserci e sostenermi quando ne ho bisogno.

Dico bugie solo…
Per proteggere le persone a cui voglio bene.

Dove mi vedo fra dieci anni.
Insieme alla mia famiglia, magari in viaggio per una bella vacanza.

Il colore che preferisco.
Il blu in tutte le sue sfumature.

L’ultima volta che ho perso la calma.
Un paio di giorni fa, con mio figlio che non si staccava dalla play station.

Da bambina sognavo…
Di avere un camper e fare l’infermiera.

Autore: Francesca Morrone

Il vaccino fra le antiche mura del Kurhaus

Saranno nientemeno che le antiche mura del Kurhaus ad accogliere la cittadinanza quando ci sarà la possibilità di vaccinarsi contro il Covid – 19. La settimana scorsa, infatti, il Commissario per la gestione provvisoria del Comune di Merano, Anna Aida Bruzzese, e la direttrice del Comprensorio sanitario di Merano, Irene Pechlaner, hanno effettuato dei sopralluoghi per verificare l’idoneità di alcuni immobili di proprietà del Comune a ospitare il centro vaccinale unico che occorrerà a breve allestire in città.

Il Commissario Bruzzese e la direttrice Pechlaner

Nel corso delle verifiche, alle quali hanno preso parte anche funzionari comunali e dirigenti del Comprensorio sanitario, sono state visitate la Sala civica e la Sala esposizioni presso l’ex Istituto fisioterapico di via Huber nonché – alla presenza anche della presidente dell’Ente gestione Teatro e Kurhaus, Jutta Franziska Telser – l’ala ovest del Kurhaus. 

La scelta è ricaduta proprio su quest’ultimo sito, che è stato ritenuto idoneo a garantire l’attivazione di almeno quattro linee vaccinali nonché, per il suo alto valore simbolico e identitario per l’intera comunità meranese, anche il più indicato a conferire la giusta valenza alla campagna vaccinale che prenderà il via pure nella città del Passirio.

Il Kurhaus, infatti, non è solo un centro di vita culturale, ma è stato già in passato un punto di riferimento per la popolazione locale in periodi di emergenza, ospitando ad esempio, durante la Prima Guerra mondiale, un ospedale da campo e una cucina nella quale venivano preparati pasti per i civili. 

In questo senso – è l’auspicio espresso dalle tre rappresentanti delle istituzioni locali coinvolte nel progetto di allestimento del Centro vaccinale – ci si augura che il Kurhaus, ora al servizio della collettività per contrastare la pandemia in corso, possa presto tornare a ospitare manifestazioni pubbliche.  L’ala ovest del Kurhaus soddisfa ovviamente anche tutti i necessari requisiti pure sotto il profilo tecnico-funzionale: oltreché priva di barriere architettoniche, è infatti dotata di ampi spazi che rendono possibile la predisposizione delle tre distinte aree prescritte dal protocollo vaccinale (accettazione, vaccinazione, osservazione). La presenza di più accessi consente inoltre di gestire l’afflusso e il deflusso del pubblico lungo percorsi separati e nel pieno rispetto delle norme di sicurezza. Con apposita convenzione per l’uso, valevole fino al 31 ottobre prossimo venturo, gli spazi verranno messi a disposizione delle autorità sanitarie preposte.

Da quell’ala nacque il tutto

foto: IDM Alto Adige/Frieder Blickle

Progettato nel 1873 dall’architetto Josef Czerny, il Kurhaus venne inaugurato il 14 novembre 1874 con la luce di oltre 120 lampade a gas. La costruzione comprendeva inizialmente solo l’attuale ala ovest.

Ulteriori modifiche si verificarono nel corso degli anni: nel 1897 fu allestita l’illuminazione elettrica e vennero create nuove sale di lettura. Presto il Kurhaus si rivelò comunque inadatto ad accogliere i sempre più numerosi ospiti, tanto che si decise di sottoporlo ad un radicale rinnovamento, che prevedeva anche l’ampliamento degli spazi disponibili. Il nuovo Kurhaus, espressione di eleganza e modernità, avrebbe dovuto essere costruito in parte al posto della struttura del 1874, in parte occupando nuovi spazi tra il centro storico e il fiume Passirio. Nel 1911 la proposta dell’architetto viennese Friedrich Ohmann venne approvata dalle autorità locali, e l’anno seguente si dette inizio alla costruzione. 

Ohmann, architetto Jugendstil, progettò la rotonda e la grande sala detta Kursaal, dal soffitto decorato da pitture di Rudolf Jettmar, Orazio Gaigher e Alexander Rothaug. Ohmann, in pieno spirito Jugendstil, concepiva la sua creatura come un’opera d’arte totale (Gesamtkunstwerk), tanto che progettò personalmente anche le decorazioni interne e perfino gli accessori, come l’argenteria in dotazione alla struttura. 

Lo scoppio della prima guerra mondiale impedì l’esecuzione del grandioso progetto nella sua totalità. Il rinnovato complesso di Kurhaus e Kursaal fu quindi inaugurato il 31 dicembre 1914. 

All’interno del Kursaal si tenne, il 23 novembre 1969, lo storico congresso della Südtiroler Volkspartei durante il quale venne approvato, a stretta maggioranza, il cosiddetto pacchetto per l’Alto Adige, storica tappa dell’autonomia altoatesina. 

Tra 1985 e 1989 l’edificio fu sottoposto ad un radicale restauro.

Rudy Giovannini, il Caruso delle Alpi

Rudy Giovannini ha le sue radici in Alto Adige e per questo motivo viene soprannominato il Caruso delle Alpi. Già da bambino scopre la passione per il canto e canta nel coro parrocchiale, in un gruppo rock giovanile per poi scoprire la musica lirica; frequenta i conservatori di Bolzano e Verona e si perfeziona a Modena dal Maestro Arrigo Pola, già Maestro di Luciano Pavarotti. Comincia con il musical, dove riscuote notevole successo, continuando poi con il Grand Prix der Volksmusik. Oggi, Rudy Giovannini possiede una sua personalissima linea musicale che lo rende unico nel suo repertorio. 

La cosa che mi piace di più di me.
La mia capacità di rendere felici le persone con la mia voce e la mia musica. 

Il mio principale difetto.
Cerco di non dare ai miei difetti molte chance di sopravvivere, ho persone sincere al mio fianco che mi aiutano a farlo.

La volta che sono stato più felice.
Quando ho vinto il Grand Prix der Volksmusik. 

La volta che sono stato più infelice.
Ogni volta che perdo per sempre una persona cara.

L’errore che non rifarei.
Che meraviglia, non so rispondere, forse non l’ho ancora fatto.

La persona che ammiro di più.
Ammiro tutte le persone solari, in loro sta il segreto della felicità.

Un libro da portare su un’isola deserta. 
Ne porterei molti, ma i primi 3 sarebbero il “Don Chisciotte”, “L’isola di Arturo” e “Madame Bovary”.

L’ultima volta che ho perso la calma…
…l’ho ritrovata subito dopo, non era andata molto lontana.

La mia occupazione preferita. 
Cantare e scrivere canzoni.

Il Paese dove vorrei vivere.
La Namibia. 

L’ultima volta che ho pianto.
Lo scorso 7 dicembre, quando ho visto e sentito in tv, dal Teatro alla Scala di Milano, il finale dell’opera Guglielmo Tell.

Il mio musicista preferito.
Tanti, tanti, tanti. Ma soprattutto Giuseppe Verdi.

Non sopporto…
Le persone intolleranti. Non ho detto che non le tollero!

La mia paura più grande.
La raucedine.

Dico bugie solo…
Quando non dico la verità, e cerco di dire la verità il più spesso possibile.

Il giocattolo che ho amato di più.
La fisarmonica ricevuta a Natale da bambino.

Per un giorno vorrei essere…
Un uomo nei primi anni del Novecento per poter sentire dal vivo la voce del grande Enrico Caruso.

Il mio primo ricordo.
Una maestra che mi disinfetta il ginocchio.

Il mio più grande rimpianto.
Che mio padre non possa condividere il mio successo attuale, lui che tanto ha fatto affinché lo raggiungessi.

Il tennis nel cuore

Classe 2001, Matteo Rizzi è un giovane sportivo molto conosciuto in zona per i suoi successi sportivi nel campo del tennis, uno sport che gli ha insegnato la disciplina, la serietà e la responsabilità. Fino ad oggi ha collezionato una lunga serie di vittorie, partecipando a diversi tornei a livello locale, ma anche internazionale. Oggi studia Scienze motorie e spera in futuro di poter diventare allenatore di tennis.

La cosa che mi piace di me. 
La mia caparbietà.

Il mio principale difetto.
La mia impulsività.

La volta in cui sono stato più felice.
La felicità non esiste, mi sento sereno con quello che ho.

La persona che ammiro.
Mio nonno Carlo.

Un libro da portare sull’isola deserta.
La Divina Commedia.

La mia occupazione preferita.
Giocare a tennis.

Il paese dove vorrei vivere.
A Lugano. 

Il mio piatto preferito.
Risotto radicchio e salsiccia.

Non sopporto…
L’ipocrisia di certe persone.

Per un giorno vorrei essere…
Ricco sfondato. 

La mia paura maggiore.
Morire.

Nel mio frigo non manca…
Il tè alla pesca.

Se fossi un animale sarei.
Un lupo. 

Mi sono sentito orgoglioso quando…
Mi sono diplomato.

Il mio motto.
Se insisti e resisti, raggiungi econquisti (Trilussa).

Il capriccio che non mi sono mai tolto.
Frequentare l’accademia di tennis.

Il giocattolo che ho amato di più.
Il castello della Playmobil.

I miei artisti preferiti.
Gue Pequeno e Salvdor Dalì.

Il dono di natura che vorrei avere.
Essere più alto.

La qualità che preferisco in una donna.
La sincerità.

…e in un uomo.
La lealtà.

Dico bugie solo…
Solo se strettamente necessario.

Dove mi vedo fra dieci anni.
Qui a Merano, con la mia nuovafamiglia.

Il colore che preferisco.
Il nero. 

L’ultima volta che ho perso la calma.
A Capodanno.

Da bambino sognavo…
Di diventare un tennista di sucesso, come Federer.

Un sogno nel cassetto ancora da realizzare…
Avere un’attività in proprio di articoli sportivi.

Autore: Francesca Morrone

Matite e tenacia

Nato e cresciuto in una splendida famiglia nel varesotto e molto portato per il disegno, Alberto Ciro Taddei ha frequentato il Liceo Artistico e poi una scuola di grafica pubblicitaria. Dal 1999 abita in Alto Adige con la sua famiglia. Da allora, la sua passione è anche il suo lavoro. Nel suo atelier a Bolzano disegna e insegna il disegno a matita, sia a mano libera che in stile iperrealistico, occupandosi anche di materiale artistico e cornici.

La cosa che mi piace di più di me stesso.
Il coraggio e la tenacia.

I miei principali difetti.
La paura e il dubbio.

La volta in cui sono stato più felice.
Ogni  giorno cerco di avere delle piccole felicità.

Da bambino sognavo di diventare…
Una persona da ricordare.

L’errore che non rifarei.
Non fidarmi di me stesso.

La persona che invidio di più.
Chi ha scoperto subito il suo ruolo nella vita.

La persona che ammiro di più…
L’ostinato, il coraggioso, l’eroe.

Un libro da portare sull’isola deserta. 
La Bibbia.

L’ultima volta che ho perso la calma.
Sicuramente ieri con un mio famigliare.

L’ultima volta che ho pianto. 
Nell’ottobre 2020, quando è morta mia mamma.

Il paese dove vorrei vivere.
Vivrei volentieri negli Stati uniti ma sicuramente seguirò i miei figli e la mia famiglia indipendentemente dal paese che sceglieranno.

Il colore che preferisco.
Il verde.

Il mio piatto preferito.
Le polpette al ragù.

Il mio pittore preferito.
Dipende dal periodo… in questo momento Basquiat.

Del mio aspetto non mi piacciono…
Gli occhi.

Non sopporto…
La falsità, le bugie, l’ingiustizia, l’avarizia, l’ignoranza.

Dico bugie solo…
Non dico più bugie.

Le mie maggiori paure.
Il dolore, la morte e il dubbio.

Il giocattolo che ho amato di più…
Il Lego.

Mi sento orgoglioso di me stesso quando…
Ogni volta che mi rendo conto di quello che sono e di cosa ho fatto e raggiunto.

Il mio motto.
Vivi il tuo sogno nonostante tutto.

Il mio primo ricordo…
Da bambino passeggio in giardino con mia mamma di notte, per calmare le mie voci interiori.

Il mio più grande rimpianto.
Non aver imparato tutte le lingue possibili.

Per un giorno vorrei essere…
Il Presidente della Repubblica.

Nel mio frigo non manca mai…
La marmellata di fragole.

Insalata di Bosco, un ricettario condiviso

“Come si può superare l’isolamento? Cosa ci unisce come esseri umani? Come possiamo creare esperienze condivise? Non c’è modo migliore per connettere le persone quanto il cibo o, meglio ancora, un pasto condiviso”. è così che viene spiegato il nuovo progetto “Insalata di Bosco”, realizzato dagli studenti di Eco-Social Design della Libera Università di Bolzano Darlene Sullivan, Eric Whyte e Lena Daur, e portato avanti grazie alla collaborazione con le Officine Vispa e il Comune di Bolzano. “Insalata di Bosco” è un ricettario condiviso del quartiere Don Bosco che cerca di connettere le persone attraverso la raccolta di ricette e di ricordi legati ai sapori, agli odori e ai momenti legati alla preparazione dei piatti provenienti dalle tradizioni culinarie delle famiglie del quartiere. 

Gli stessi ideatori di questo progetto di condivisione si sono visti protagonisti di video in cui raccontano aneddoti legati alle loro ricette preferite. Darlene, che viene da New York, in un video racconta ad esempio di come i suoi parenti italiani le preparassero ogni anno a Natale i calamari ripieni e di come questa ricetta sia per lei diventata un sinonimo di casa. Questo è esattamente ciò che il progetto cerca, ovvero condividere e mettere in contatto le persone e gli abitanti del quartiere Don Bosco, in modo da conoscersi meglio e stringere dei legami, sempre più difficili da tenere saldi nella società odierna in generale, ma soprattutto in un periodo di distanziamento sociale come quello che stiamo vivendo. 

L’aspettativa degli ideatori di questo ricettario in divenire è chiaramente quello di riuscire a implementare il ricettario anche provando a raccogliere le ricette in maniera “analogica”, somministrando questionari, momenti e spazi di incontro nelle vie del quartiere per poter permettere a chiunque, anche a chi non vuole realizzare testi o video, di partecipare o condividere. Ogni persona ha delle storie interessanti sul cibo e ogni persona può far conoscere sé stesso e il luogo in cui vive attraverso i piatti che mangia. Il cibo è un comune denominatore nei ricordi e nel vissuto di ognuno di noi: le tradizioni culinarie del quartiere sono più che varie, legate alle radici regionali e internazionali di chi vive a Don Bosco. La visione dei ragazzi di “Insalata di Bosco” è quella di poter ritrovare questo tipo di storie ma anche di offrire una narrazione diversa a un quartiere che ha oramai una sua storia e una composizione culturale e anagrafica estremamente varia. Durante l’intervista, infatti, Eric ci ha detto: “Noi siamo molto contenti di sentire quali cibi le persone si cucinano da sole, cosa preparano con gli altri – cose che ricordino loro della loro famiglia, della loro eredità culturale (se sono cresciuti a Don Bosco, oppure fuori dall’Alto Adige o dall’Italia) e sì, siamo molto interessati nel sapere qual è il background di Don Bosco.”  

Al momento è possibile partecipare a questo progetto di condivisione semplicemente visitando la pagina Facebook o Instagram “Insalata di Bosco” e cliccando sul link presente nella descrizione delle pagine. è possibile inviare disegni o foto dei piatti, video in cui si prepara e racconta oppure anche dei testi scritti, ogni forma è accettata e apprezzata soprattutto perché per i tre ragazzi dell’università di Bolzano ciò che conta è lo scambio e il contatto tra persone che sono magari culturalmente  distanti, ma che possono senza dubbio mettere in comune la passione per il cibo e, perché no, scoprire anche di essere molto simili. 

Autore: Daniel Valentini – COOLtour

A 22 anni presidente di Circoscrizione

Diego Laratta, classe 1998, da novembre è il nuovo presidente della Circoscrizione Gries e il più giovane fra i presidenti di circoscrizione. In un’intervista gli chiediamo come sono stati questi primi mesi nel suo ruolo.

In cosa consiste esattamente il tuo ruolo? 
Il mio ruolo consiste sia nel fare da tramite tra le amministrazioni comunali e i consiglieri, sia nell’essere un punto di riferimento per Gries poiché rappresento il Consiglio di Quartiere. Fra i vari compiti sovraintendo ai servizi offerti dal Quartiere e dal Centro Civico, convoco il Consiglio di Quartiere, dispongo l’ordine del giorno e devo dare esecuzione alle delibere approvate. Quando richiesto posso partecipare alle riunioni della Giunta Comunale o della Commissione consiliare al Decentramento. Al di là del ruolo istituzionale, ciò che credo sia importante e che mi impegno a fare è coinvolgere la cittadinanza e renderla attiva, svolgere riunioni e assemblee affinché i cittadini possano essere informati sulle questioni che li riguardano. Molti problemi vengono spesso dibattuti superficialmente, mentre ci sono regole e fatti che bisogna conoscere. Credo che questo sia un ruolo importante che il Quartiere deve assumere per fare chiarezza in alcuni passaggi e dare strumenti ai cittadini per formarsi un’opinione consapevole. Io nel mio piccolo cerco di farlo organizzando eventi e, ultimamente, online attraverso i social  network. Anche questo credo sia un passo utile per la digitalizzazione della P.A.: dare la possibilità ai cittadini di informarsi su canali che già utilizzano normalmente e non obbligarli ad andare a cercare le informazioni sul sito del Comune, poiché spesso non si sa neanche cosa si cerca. 

Sicuramente una grande responsabilità a 22 anni. Come ti senti a ricoprire questo ruolo essendo così giovane?
È una bella sfida, le dinamiche sono tante e complesse, bisogna essere attenti e avere la sensibilità per capirle tutte. È un impegno che credo e spero di portare avanti con massima serietà e attenzione, è sicuramente faticoso ma lo faccio davvero con felicità. Mi interessa molto sentire i problemi dei miei concittadini e spesso scopro aspetti che prima non conoscevo o davo per scontati. I problemi sono tanti e ci sono anche a Gries, questo fa parte delle città. L’importante è esserci per ascoltarli e impegnarsi al massimo per risolverli. 

Quali sono in questo momento i temi più dibattuti in Consiglio?
Nei quartieri io sono un convinto sostenitore che maggioranza e minoranza continuo poco, conta di più l’idea di quartiere in sé. Al di là dei partiti politici, la circoscrizione è una realtà piccola e quindi non ci dividiamo su questioni di politica nazionale, perché sarebbe sciocco. Stiamo cercando come gruppo di lavorare su molti temi: il Parco di Via della Vigna e la questione cancello sono i più discussi sui giornali, ma ce ne sono tanti altri. Ciascun problema per noi è importante e non esistono problemi piccoli o grandi, l’attenzione deve essere uguale per tutti.

I consiglieri della Circoscrizione Gries San Quirino

Quali sono le prossime iniziative che avete intenzione di proporre?
Sicuramente il cinema all’aperto è un’attività a cui cercheremo di partecipare, compatibilmente con il bilancio del Quartiere che ha visto entrate ridotte a causa della pandemia. Vorremmo anche ripetere la festa in Piazza Vittoria, organizzata gli scorsi anni dal Quartiere con l’aiuto delle associazioni. Purtroppo però è ovvio che in questo momento attività del genere restano in dubbio. Speriamo di poterle riproporre perché tenere attivo il quartiere è anche il nostro modo per creare convivialità, combattere l’insicurezza che può insorgere in alcune piazze e strade e non lasciare spazio a situazioni spiacevoli di microcriminalità.

Autore: Greta Sofia Lampis

“Ci sono cose da non dimenticare mai”

 Il progetto “Promemoria_Auschwitz.eu” – proposto nella nostra provincia ormai da 10 anni e realizzato grazie alla collaborazione tra Arciragazzi, Deina e AGJD – prenderà vita, seppur in una modalità diversa e innovativa – anche quest’anno, grazie ad una serie di incontri formativi a distanza. 

Esattamente un anno fa, quasi 300 ragazze e ragazzi dell’Alto Adige tornavano nelle proprie case dopo il viaggio della memoria. Un percorso, questo, che ha portato i partecipanti e gli accompagnatori a vedere con i propri occhi i campi di sterminio di Auschwitz. Il progetto “Promemoria_Auschwitz.eu”, proposto nella nostra Provincia ormai da 10 anni e realizzato grazie alla collaborazione tra Arciragazzi, Deina e AGJD, prenderà vita – seppur in una modalità diversa e innovativa – anche quest’anno. Verranno proposti, da qui a giugno 2021, una serie di incontri formativi a distanza e delle proiezioni di filmati immersivi, a 360˚, del Ghetto di Cracovia, della Fabbrica di Schindler, dei campi di Auschwitz e Birkenau con visite realizzate appositamente per i partecipanti.

Abbiamo parlato con Lucia Di Michele e Sofia Mazzoleni, entrambe in passato partecipanti e, da un anno, tutor di due diversi gruppi di iscritti. “La scelta di diventare tutor è maturata alla fine dell’esperienza – racconta Lucia – durante diverse situazioni vissute grazie a Promemoria mi sono accorta del valore del rapporto e della vicinanza tra le persone”.

Sofia Mazzoleni

La stessa vicinanza è però difficile da riprodurre virtualmente ed è per questo che l’iscrizione è aperta anche alle intere classi, facendo sì che i partecipanti si conoscano già tra loro. “È un aspetto importante che renderà possibile il coinvolgimento e l’interazione tra staff e ragazzi – spiega Sofia – inoltre, credo che il progetto sarà un vero e proprio esperimento, diverso dal solito, anche per noi.”

In una società stravolta dalla pandemia non ci si può dimenticare dell’importanza della memoria. “Anche a causa della didattica a distanza, gli studenti sono indietro con il programma di storia – prosegue Sofia – le nostre proposte possono integrare le conoscenze dei ragazzi riguardo alla storia del Novecento, che spesso a scuola viene trascurata”. La storia va avanti, è vero, ma come sottolinea Lucia Di Michele: “Ci sono cose che non vanno dimenticate per rendere possibile una società migliore, anche quando si sta attraversando un momento di grande crisi”. Promemoria Auschwitz diventerà così un nuovo modo di fare memoria, dando la  possibilità agli studenti di quarta e quinta superiore di approfondire la storia europea, ma anche quella locale. “Quest’anno, infatti, si percorrerà la storia territoriale con i suoi protagonisti e i suoi luoghi – una storia fatta di tracce del passato, di nomi di vie e di luoghi – una realtà complicata che va necessariamente affrontata se si desidera sfatare i pregiudizi e gli stereotipi che la affliggono”, conclude Lucia.

Lucia di Michele

Il progetto porrà l’attenzione sugli uomini e le donne che hanno scelto di resistere, valorizzando la loro memoria e le loro scelte. Ci si concentrerà sulle figure di Lidia Menapace, Franz Thaler, Josef Mayr Nusser e Franz Innerhofer. Anche in questo 2021 si è deciso di partire, virtualmente, per un viaggio; senza muoversi, ma “scegliendo di avere coraggio di cambiare”.

Autore: Andrea Dalla Serra