Illusion, il nuovo album di Manuel Randi

Un nuovo disco di Manuel Randi è sempre una sorpresa gradita, perché il chitarrista bolzanino non è uno a cui piaccia fossilizzarsi su un genere: Randi è un esploratore musicale, un musicista a 360° che ama la musica senza compromessi e quando si chiude in studio – per registrare un disco, che sia un disco di chitarra acustica, che sia un disco elettrico, suonato in solitudine o in compagnia dei fidati amici (questa volta il disco, intitolato Illusion, è accreditato al Manuel Randi Trio che si completa col basso di Marco Stagni e con la batteria di Mario Punzi) – non cede mai alla tentazione di scivolare nel virtuosismo fine a sé stesso, ma offre piuttosto dei paesaggi sonori che potrebbero essere delle micro colonne sonore, o anche un’unica, lunga soundtrack composta da vari temi che pur nella loro diversità suonano a meraviglia uno accanto all’altro.
“Durante il lockdown dell’anno scorso – ci racconta il chitarrista – ho avuto molto tempo per dedicarmi alla composizione, all’inizio avevo pensato di fare addirittura un CD doppio, infilandoci tutto, ma mi sono reso conto che non avrebbe funzionato, così mi sono concentrato su questo: la lavorazione è stata piuttosto lunga, anche se poi a registrarlo son bastati tre giorni, c’erano pochi soldi perché tutti eravamo fermi da mesi quando ci siamo ritrovati nello studio di Nartan Savona, a Merano, ed eravamo felici di riprendere. Siamo tutti professionisti della musica e non potevo chiedere ai miei compagni di venire a suonare gratis, per cui ci siamo venuti incontro reciprocamente. Sono molto contento del risultato finale, perché è come lo volevo, un disco in cui la chitarra è molto melodica, suonata come se fosse una voce e non come in un album di chitarra. E riascoltandolo mi soddisfa, sento di aver centrato l’obiettivo che mi ero prefissato. Avere musicisti come Mario e Marco per me è un onore, oltre al fatto che non serve dir loro cosa devono fare! Sono perfetti, suonare con loro è come stare in paradiso. Ma oltre al loro lavoro sono stati altrettanto fondamentali Nartan con i suoi consigli, Christa Flora che ha curato il concept grafico, Tiberio Sorvillo che ha fatto le foto e Wolfgang Spannberg, responsabile del master”.
Una voce: la Fender Stratocaster di Randi è in effetti proprio come una voce in questo disco, e le composizioni, più che composizioni per chitarra si adattano di più alla definizione di canzoni. Canzoni prevalentemente elettriche, ma nei vari brani la Strato s’interseca talvolta più, talvolta meno con le voci delle varie chitarre acustiche inserite nella struttura delle canzoni. 

Da sinistra: Mario Punzi, Manuel Randi e Marco Stagni


“Le cose che scrivo – prosegue Randi – in realtà sono sempre canzoni, anche nei dischi precedenti. Ma una canzone suonata sulla chitarra classica con tutto l’arrangiamento è più una piccola composizione. Con l’elettrica ci sono altre possibilità, un po’ come un violino,  e in questo senso sì, è proprio come una voce. A me piacciono molti generi, mi piace il flamenco, mi piace il jazz, tutta la musica, però i miei esordi sono stati rock, indubbiamente. Il mio primo modello e maestro è stato Fabio Tenca degli Skanners. E poi mi piace tanto il formato canzone, per rimanere nel nostro ambito ultimamente sono rimasto molto colpito dall’ultimo disco di Gabriele Muscolino”. 
Di canzoni e musica buona, in Illusion ce n’è per tutti i gusti, ma non in maniera furbetta, piuttosto perché Randi, da profondo conoscitore di suoni e stili, ama mescolare: abbiamo così i suoni surf del brano d’apertura intitolato Buenos Aires, le citazioni gipsy di One For Matelot, gli incanti melodici di Per una carezza e La bella addormentata, le atmosfere da fuga bachiana (ma in odor di metal) dell’immensa Passacaglia. E che dire di un brano come Il Carnevale che si libra in suggestioni latine rafforzate dalle percussioni dell’ospite Max Castlunger o dell’omaggio tributato al grande Albert Lee con l’indiavolata Alban’s Bluegrass? Un po’ come se ogni canzone fosse un bandolo differente che si va però a riavvolgere magicamente alla stessa matassa, il CD si chiude con Django Chained (evidente rimando ai suoni cari a Quentin Tarantino), che si riallaccia alle suggestioni surf di quello con cui il disco era cominciato, solamente virate verso un suono più trash e sporco.
“Ma non è tutto – conclude Manuel – sto già ovviamente pensando al nuovo lavoro, che sarà un lavoro acustico, con chitarre ma anche mandolini, con rimandi folk. Comunque ora l’obiettivo è riuscire a portare in giro questo: le cose stanno ripartendo, ci sono concerti in vista nel corso dell’estate, ma mancano le certezze riguardo al futuro. Ora sappiamo che non c’è nulla di scontato”.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

L’amore per la cultura e l’artista “sospeso”

Mi chiamo Rolando Biscuola, abito a Merano. Vivo di musica, sono chitarrista, cantante, compositore. Come tanti miei colleghi artisti, anch’io ho subìto danni economici a causa della pandemia. Vorrei però segnalarvi questa interessante e bellissima iniziativa, che mi ha risollevato il morale dandomi fiducia per il futuro.
Sono stato contattato da un signore di Bolzano, a cui sta a cuore la cultura e l’arte in generale, che mi ha proposto di svolgere per lui un progetto artistico. A seguire ecco in sintesi il suo concetto.

“Pensando alla situazione di stallo in cui versa la cultura a causa della pandemia,  considerando anche il fatto che è da più di un anno che non spendo denaro per cinema,  teatro o concerti (che comunque avrei frequentato), ho pensato di incaricare un artista locale (musicista, attore, scrittore) a realizzare per me un progetto artistico o culturale in forma privata. Per questo progetto ho un mio budget personale di 1.000 Euro, che pagherò anticipatamente, visto che la mia intenzione è contribuire concretamente a risollevare la cultura, prefinanziando da subito  un artista in difficoltà economica a causa della pandemia. La realizzazione avverrà in località da definire, probabilmente quest’estate, o comunque appena possibile, a seconda delle normative anticovid che entreranno in vigore e nel pieno rispetto di quest’ultime. Nello spirito della mia iniziativa, l’artista dovrebbe svolgere un lavoro (anche piccolo, ad esempio se si tratta di un musicista, almeno un brano composto per l’occasione, non un intero concerto…) ad hoc per questa occasione. In pratica vorrei avere il privilegio della prima rappresentazione di questo prodotto artistico, del quale ovviamente l’autore rimane in ogni caso il proprietario e di cui disporrà in futuro come meglio crede.”

Spero che la situazione migliori e che questo atto di generosità e amore per l’arte possa innescare un meccanismo virtuoso, in modo che altri “Mecenati” locali, persone sensibili e generose, aiutino  persone artisti che oggi si trovano in difficoltà. Credo che questo significherebbe promuovere concretamente l’arte, in quanto convinto che la cultura sia un elemento essenziale e vitale per la nostra società.

Bolzano Scomparsa: prosegue il racconto

In queste ultime settimane è uscito per Curcu Genovese l’ultimo volume della fortunata serie di cronache della città di Bolzano, compilate con grande dedizione dal giornalista, disegnatore e – appunto – divulgatore storico Ettore Frangipane. 
Il grande merito di questi volumi – tutti facilmente reperibili nelle biblioteche del capoluogo e della provincia – è quello di basarsi su quanto è apparso sulla stampa locale dal 1850 al 1950. Con tutti i suoi limiti i giornali altoatesini, in lingua italiana, ma soprattutto tedesca fino al primo dopoguerra, hanno riverberato i fatti più importanti della vita politica, sociale, culturale e della cronaca. E appunto il recupero di tali cronache – altrimenti sepolte sotto la polvere del tempo, specie per quando riguarda gli “eventi minori” – è il primo pregio del grande lavoro svolto da Frangipane. Il secondo aspetto di tale riscoperta attiene all’interpretazione e alla contestualizzazione di tali cronache, un prezioso processo tutt’altro che desueto anche nei giorni nostri caratterizzati dalla persistente difficoltà di distinguere le notizie vere da quelle false e – non ultimo – i fatti dalle opinioni. 

Il dodicesimo volume delle cronache di una Bolzano – lo possiamo oggi dire con certezza – davvero un po’ meno “scomparsa” rispetto a prima – prende le mosse da un tema di stretta attualità come quello della pandemia, ricordando l’impatto che ebbe la febbre spagnola quando arrivò a Bolzano nel corso della “grande guerra”. 
Nel volume non manca l’eterno tema etnico, con un capitolo dedicato al nome “Alto Adige” che – viene ricordato – venne coniato niente meno che da Napoleone. 
Molte poi sono le sorprese inaspettate, come sempre è accaduto nei diversi volumi della collana. 
Come la presenza a Bolzano nel ‘600 di una famiglia di liutai davvero importanti, come gli Albani. Non mancano le tristi storie di guerra, così come le notizie di “colore” che non guastano e furono onnipresenti nelle cronache. Anche Bolzano Scomparsa è un volume davvero gustoso per chi ha a cuore la storia del capoluogo, tutt’altro che noiosa e scontata. Provare per credere. 

Autore: Lu.S.

Quando il fantasy scorre nell’inchiostro

“Nel mondo nulla di grande è stato fatto senza passione”, sancì Hegel; una frase che sembra calzare a pennello con la vita di Andrea Zanotti, un giovane – ha da poco passato la quarantina – scrittore di Bolzano che con una produzione letteraria decisamente prolifica sta diventando un nome nel mondo del fantasy. È uscita da poco la sua ultima fatica, “Voodoo” (edito dalla Dark Zone di Roma), ma nei prossimi mesi usciranno altri due suoi libri. E il fatto curioso è che in questo scrittore vivono due anime: quella dell’artista e quella dell’economista.

Come nasce Andrea Zanotti?
Ho una formazione scientifico-economica. Ho frequentato il liceo scientifico, ho una laurea in economia e commercio, ho lavorato tre anni presso alcuni commercialisti, in azienda elettrica e oggi mi occupo di investimenti in borsa, in particolare della compravendita di certificati finanziari. E ho sempre avuto la passione per la mitologia, per le religioni antiche collegate anche alla letteratura fantastica, quindi il fantasy e la fantascienza.

Come riesce a conciliare il suo spirito economista con quello umanista?
Quando uno ha una passione, alla fine riesce a trovare il tempo per tutto, perché è giusto seguirla. Mi ritengo fortunato: una passione mi permette di vivere, l’altra di seguire i miei interessi per la scrittura, per la mistica e per la mitologia.

Una mitologia che, leggendo i suoi libri, pare frutto della sua fantasia…
Alla fine sì, ma credo che sia una sorta di rielaborazione di tutto quello che ho letto; qualcosa rimane sempre nel cervello, sia a livello conscio che a livello inconscio. E poi c’è lo studio: per “Voodoo”, per esempio, mi sono informato, ho studiato i vari rituali di questa religione e li ho descritti.

Quanti libri ha pubblicato?
Ho iniziato dieci anni fa autopubblicando le mie opere: avevo scritto la mia prima trilogia, “Mondo 1”, e ho messo in internet il primo libro gratis, a disposizione di tutti. Ho notato che in tanti lo hanno letto, così ho messo in vendita il secondo, a un prezzo simbolico di 1 euro e 99, e anche in quel caso ho visto che c’era pubblico. Così ho proposto la seconda trilogia, “Mondo 2”, con la stessa modalità.   

E come è passato alle case editrici?
Ho iniziato a pensare che sarebbe stato meglio cambiare, anche per avere un marchio dietro che garantisse un minimo di qualità. Ho mandato allora un mio scritto alla Delos digital, la casa editrice di Franco Forte, un autore blasonato che scrive dei romanzi storici ed è anche un grande  appassionato di fantascienza. A lui il libro è piaciuto, così è iniziata la mia avventura nella carta stampata. Poi sono approdato alla casa editrice Plesio Editore, specializzata proprio in fantasy, con la quale ho pubblicato “Dracophobia”. E infine ho pubblicato “Voodoo” con la Dark Zone, una grossa casa editrice di Roma. 

Ha altri libri nel cassetto?
Il prossimo mese con la Dark zone uscirà un weird western che mi ha davvero soddisfatto scrivere. Doveva uscire al Salone del libro di Torino, ma purtoppo la kermesse è stata annullata a causa della pandemia. E poi ho un altro romanzo che avevo scritto qualche tempo fa, si intitola “Il mesmerista” e dovrebbe uscire entro il prossimo trimestre con la Mezzelane editore.

Autore: Luca Masiello

A piedi a Roma in compagnia di tre lama

Tre uomini, tre lama, 1075 chilometri. Sono questi i protagonisti di “A piedi a Roma con tre lama”, il libro di Thomas Mohr pubblicato quest’anno da Athesia Verlag. Un lungo pellegrinaggio che, partendo da Soprabolzano e percorrendo l’antica Via Romea Germanica, porterà i camminatori a Roma. Un’avventura estrema, che richiede un enorme impegno fisico e ancor più mentale, nella quale il protagonista viene coinvolto dagli amici Thomas Burger e Walter Mair. 
Quando il cammino inizia, a Thomas Mohr è stato diagnosticato da tre anni un carcinoma per il quale ha subito due interventi chirurgici e due cicli di radioterapia. “Con l’avvicinarsi del Natale sono nel pieno della terza fase del trattamento e non mi sento né guarito, né tranquillo, bensì solo messo di fronte a un ineluttabile destino. Non godo di buona salute e verso in cattive condizioni fisiche, ad appena cinquantun anni. Ora devo e voglio dare una svolta alla mia vita”, scrive. Ecco dunque l’occasione che cercava: quasi due mesi di marcia al fianco di buoni amici, simpatici animali e compagni di viaggio incontrati lungo il percorso. E il desiderio di allontanare i pensieri, le responsabilità e i doveri per concentrarsi sul momento presente. L’impresa si rivela più difficile del previsto; il fisico accusa i chilometri e il freddo, e disincagliare la mente dalle contingenze non è certo semplice e immediato. Il ritmo dettato dallo stress e dalla frenesia della vita quotidiana rischia di inficiare quello del cammino. A proposito di uno dei suoi compagni di viaggio, Mohr scrive: “Poco prima del pellegrinaggio, Tom aveva portato a termine un ambizioso progetto aziendale in tempi di realizzazione ristretti. Per un pelo, ma ce l’ha fatta. Poi si è tirato fuori dal ritmo frenetico scandito dalle necessità lavorative ed è partito con noi. Se avesse mantenuto quel ritmo, sarebbe arrivato a Roma praticamente di corsa. (…) E probabilmente ci avrebbe messo la metà del tempo a coprire i 1000 chilometri di cammino. E il tempo guadagnato avrebbe potuto usarlo per un’altra avventura… ma, a che pro?”. E continua: “Tutti e tre abbiamo un’età in cui sappiamo cosa è inutile, in cui ci rendiamo conto, il più delle volte in breve tempo, che ci lasciamo influenzare da persone il cui comportamento e modo di pensare non corrispondono ai nostri. È importante diventare selettivi, prendere decisioni. (…) Io so che in passato molto spesso mi sono dedicato a cose completamente inutili e spesso anche a persone che prendevano solo senza darmi nulla in cambio. Va da sé che questo, a lungo andare, ti priva di tutte le energie. Proteggere sé stessi non ha nulla a che vedere con l’egoismo. Si tratta di trovare il giusto equilibrio e decidere cosa sia giusto. Mi chiedo come le persone intorno a me affronteranno il mio nuovo atteggiamento interiore”. Ma questa è solo una delle riflessioni che si trovano nelle pagine del libro. Al diario di viaggio, infatti, si alternano riflessioni sulla vita, sull’amicizia e sulla fede che si fanno più dense via via che i tre si mettono strada alle spalle, fino alla tappa conclusiva di un viaggio che non si conclude certo con l’ultimo chilometro percorso. 

Autore: Alex Piovan

Storia e mito nelle tavole di G. Trevisan

Hanno visto la luce la scorsa estate, per i tipi di Curcu&Genovese, due interessanti volumi illustrati dedicati rispettivamente alle leggende delle Dolomiti e alla storia della nostra provincia: “Dolomiti: il paesaggio nella leggenda” e “La terra fra i monti”.
Il principale motivo d’interesse risiede nel fatto che tutte le illustrazioni di entrambi i libri (curati per quanto riguarda la parte scritta da Carlo Romeo e Osvaldo Pallozzi) sono state realizzate da Giorgio Trevisan, illustratore e pittore noto soprattutto in ambito fumettistico. Trevisan, nato tra l’altro a Merano, ha cominciato a collaborare fin dagli anni sessanta con quella che è oggi la casa editrice Bonelli e con le edizioni britanniche Fleetway (specializzate in storie di guerra), ma le sue illustrazioni hanno affascinato generazioni di lettori del “Corriere dei piccoli”, “Il Giornalino”, “Il Messaggero dei ragazzi”, fino ad approdare su testi di giganti come Gino D’Antonio e Giancarlo Berardi e gli albi de “La storia del West”, “Ken Parker”, “Julia”. Su soggetto di Berardi, è autore di una riuscita riduzione a fumetti delle avventure di Sherlock Holmes.
La genesi dei due volumi risale a un trimestrale intitolato “Pagine di ecologia”, pubblicato per conto dell’ufficio cultura provinciale: dal 1982 fino al 1991, con cadenza irregolare. Sulla rivista furono pubblicate le undici leggende dolomitiche che Trevisan ha illustrato basandosi sui testi di Karl Felix Wolff. A seguito dell’interesse e del successo riscosso dall’iniziativa, la rivista propose a Trevisan di dedicarsi, dopo la mitologia, alla storia della provincia.
Fino al 1995 – quando la Provincia, decidendo di chiudere i rubinetti ad alcune testate ritenute superflue, sancì anche la fine di “Pagine di ecologia” – vi trovarono spazio le tavole di Trevisan dedicate alla “nostra” storia, partendo dall’uomo del Similaun, passando per Druso, l’imperatore Massimiliano d’Austria, Michael Gaismair, Andreas Hofer, fino ai giorni nostri. Il risultato, a livello testuale, risulta un po’ meno riuscito del precedente volume: le didascalie fitte stritolano un po’ troppo le illustrazioni che necessiterebbero di un respiro più ampio: nella prima parte, inoltre, che cerca di incastonare la poca storia locale nella più ampia storia generale, il discorso si perde, a discapito di una successiva compattazione del periodo più recente (ma abbiamo il sospetto che l’imminente chiusura del giornale abbia costretto gli autori a diversi tagli): in particolare le opzioni, l’occupazione nazista, l’irredentismo, argomenti peraltro recenti e scottanti.
Il volume resta comunque di interesse e stimolo per chi volesse approfondire altrimenti la storia di questa terra.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

“Una breve storia delle donne”

Uno alla settimana ogni domenica, a partire dal 7 marzo, vengono progressivamente pubblicati online su YouTube i quattro video che costituiscono il progetto “Una breve storia delle donne”, ideato da Sandra Passarello. Il progetto nasce dall’idea per un reading teatrale, sui temi legati alla donna, diviso per tematiche e seguendo un filo temporale di “tradizioni” e costumi legati al ruolo della donna in momenti storici differenti. Una successiva ri-ideazione del progetto ha quindi portato a realizzarne una versione in video che vede coinvolte sei attrici e tre cantanti bolzanine (oltre a due musicisti ad accompagnarle con chitarra e piano). La pluralità di voci e stili crea un ritmo sonoro mai noioso e sempre accattivante, anche quando la clip si presenta in realtà come un video teatrale a tutti gli effetti.
I quattro capitoli realizzati, seppure volutamente senza titolo, potrebbero così riassumersi in 4 fili tematici BRAVE, BELLE, SEXY e FELICI, passando da una concezione tradizionalista e antiquata della donna per arrivare all’espressione della sua forza interiore più grande, l’amore per la vita.
Ogni tema affrontato è proposto tramite una variegata gamma di brani letterari, passando da autrici classiche e famose a testi più contemporanei o di nicchia, ma seguendo sempre un filo narrativo che le accomuna sotto lo stesso tema.
Drammaticità e ironia (ma soprattutto ironia), accompagnano tutte le clip, soprattutto grazie alla scelta di diversi brani musicali, selezionati con accuratezza per sostenere e sottolineare le atmosfere create dai brani letterari.
Nei vari video si possono vedere all’opera Sandra Passarello, Flora Sarrubbo, Maria Pia Zanetti, Chiara Visca, Diletta La Rosa, Consuelo Serraino per le letture e Sandra Montagnana, Monika Callegaro e Greta Marcolongo per le canzoni, accompagnate al pianoforte da Joe Chiericati e alla chitarra da Mattia Mariotti.

Un gattino per comprendere i bimbi

Nella loro quotidianità si occupano di studiare e aiutare i più giovani nella loro formazione, e dunque i genitori nell’affrontare il mestiere più bello e più difficile al mondo. Sono due psicoterapeuti dell’età evolutiva, quindi chi più adatto di loro a scrivere un libro per bambini? Giuseppe Pino Maiolo e Giuliana Franchini sono due nome noti anche nel campo letterario, e per questa stagione hanno ben pensato di proporre in versione rinnovata il più recente capitolo delle avventure di un gattino che negli ultimi anni ha saputo conquistare le simpatie di bambini e genitori.

Giuliana Franchini
Giuseppe Maiolo

Con “Ciripò in un mare di emozioni” (ed. Erickson, 92 pagine) il piccolo felino antropomorfo, pigro e fifone, entra di diritto nel filone dei personaggi delle fiabe moderne, divertendo ed educando sia i grandi che i piccini. Già, perché se da un parte le splendide illustrazioni di Raffaella Bolaffio (che con la sua delicata matita riesce a donare una vita propria ai vari personaggi) e il font utilizzato per la pubblicazione rendono il volume fruibile anche ai lettori ai primi passi, i cinque capitoli rendono il meglio se letti a voce alta da mamme e papà. In cinque diverse avventure, il protagonista affronta dei plot che lo portano a confrontarsi con diverse situazioni difficili, e i nemici da combattere si rivelano essere quelle piccole emozioni che affondano l’animo dei piccoli umani: dalla svogliatezza che può portare all’apatia, al timore di non essere accettati dagli amici, dalla paura del buio alla difficoltà di tenere fede alle promesse fatte o di badare i fratelli più piccoli.
Le storie si diramano in maniera semplice e divertente, intrattenendo i piccoli ma allo stesso tempo istruendoli, e lasciando scoprire ai genitori – anche nell’osservare le reazioni dei figli – che quel mondo spensierato dei propri bambini, troppe volte così spensierato non è.

Luca Masiello

In un libro la Merano degli anni Venti

MERANO Il 3 aprile 1920 Franz Kafka scese dal treno alla stazione di Merano. L’“impiegato di Praga” era gravemente malato, soffriva di tubercolosi. Il suo soggiorno in riva al Passirio durò quasi tre mesi e avvenne in un momento storico di “transizione”: la belle époque della località di soggiorni curativi era irrimediabilmente giunta al termine e il Tirolo a sud del Brennero, da regione dell’Impero austro – ungarico, al termine della Grande Guerra si ritrovava a essere parte integrante del Regno d’Italia.
A Merano Kafka scrisse lettere struggenti indirizzate a Milena Jesenská, la sua traduttrice ceca. Ciò che era iniziato come una corrispondenza per motivi professionali, divenne un dramma epistolare noto in tutto il mondo.
Il libro dal titolo “Kafka a Merano. Cultura e politica intorno al 1920” (Edition Raetia, 2020) punta i riflettori sulla presenza di Kafka in riva al Passirio e sulle metamorfosi politiche e culturali di una piccola città di cura. Il volume a cura di Patrick Rina e Veronika Rieder contiene interventi di Guido Massino e Reiner Stach, studiosi di Kafka e delle sue opere, e un saggio di Helena Janeczek, vincitrice del Premio Strega 2018. Inoltre il libro offre contributi di Ferruccio Delle Cave, Patrick Gasser, Hans Heiss, Ulrike Kindl, Hannes Obermair, Rosanna Pruccoli, Tiziano Rosani e Antonella Tiburzi.
Nel corso di un incontro virtuale l’Accademia di Merano presenta la nuova monografia dedicata a Kafka e alla Merano del 1920, visibile su Youtube (sulla pagina “Accademia Merano”) e su Facebook (sulla pagina “Accademia di Merano – Akademie Meran”), moderata da Veronika Rieder presso la stessa Accademia di Merano e con contributi registrati dei relatori. Guido Massino, già professore di Letteratura tedesca all’Università del Piemonte Orientale, nel suo intervento illustra il soggiorno meranese di Kafka e la “nascita” delle famose Lettere a Milena. Questo epistolario rivela la frequentazione delle Mémoire di Casanova e del Purgatorio di Dante.
Lo stato di incertezza in cui versava il Sudtirolo nel 1920 è paragonabile a un purgatorio dominato dalla preoccupazione per il futuro e il rimpianto di un passato che si dilegua, tra un pathos hoferiano e la retorica del nazionalismo tricolore. Ne parla lo storico Hannes Obermair nel suo contributo digitale.
Lo studioso della storia del turismo Patrick Gasser nella sua relazione analizza la miracolosa rinascita del settore turistico meranese dopo la fine della Prima guerra mondiale.

Alto Adige, storia in sintesi

Alberto Pasquali, avvocato e appassionato di storia fin dall’infanzia, ha recentemente pubblicato “Breve storia dell’Alto Adige”, edito da Curcu & Genovese. Ecco la nostra recesione.

L’attenzione del grande pubblico e il lavoro di molti giornalisti e scrittori sono stati rivolti, nel tempo, soprattutto alla storia più recente della Provincia di Bolzano, lasciando in secondo piano quella più antica. Eppure, come scrive l’autore nell’introduzione, questa storia è di particolare interesse, in quanto non è “solo tedesca, solo italiana, solo ladina, ma è storia autenticamente europea, perché ben poche terre – per la loro posizione geografica ed orografica – hanno avuto radicali alternarsi di popolazioni e fusioni di etnie e di lingua”.

Alberto Pasquali


In poco più di sessanta pagine, il libro di Alberto Pasquali ripercorre questa storia, dai primi riferimenti storici attendibili fino alla caduta del fascismo, con un breve epilogo dedicato al presente. Il testo, agile e accessibile a chiunque, è accompagnato da molte fotografie, illustrazioni e cartine.
In passato si faceva risalire il principio della “storia dell’Alto Adige” al “castrum Drusi” (poi Bauzanum), ma il rinvenimento di Ötzi ha costretto a spostare questa data a 5000 anni fa. Ad ogni modo, è l’insediamento dei romani a dare il via a quei processi storici e culturali di cui rimane traccia ancora oggi. La fusione delle genti romane con le popolazioni locali, per esempio, diede origine alle lingue ladine che, benché ovviamente mutate, sopravvivono tuttora in alcune valli. Con la caduta dell’Impero romano si ebbero le invasioni di Visigoti e Ostrogoti e la successiva penetrazione dei Baiuvari nel territorio, fino all’odierna Salorno.

A sinistra Walther von der Vogelweide, a destra Oswald von Wolkenstein

A partire da queste prime informazioni, Pasquali ripercorre, attraverso brevi capitoli, la storia della Provincia, concentrandosi su alcuni aneddoti e biografie di personaggi particolarmente rilevanti. Si incontrano così Walther von der Vogelweide, la mitizzata figura di Margarete Maultasch, la dinastia dei conti Mainardi, la cui epopea – scrive l’autore – coincide con il periodo più glorioso del Tirolo, e Oswald von Wolkenstein. L’autore affronta poi “il crollo dell’impianto feudale e l’ascesa al potere dei ricchi mercanti laici” e il periodo della caccia alle streghe. Vengono raccontate le storie del ribelle Michael Gaismair, che si oppose “[al]l’ignobile sfruttamento del lavoro dei contadini tirolesi”, morendo giovanissimo e passando alla storia come primo sindacalista, e di Claudia de’ Medici, fino ad arrivare alla nascita degli Schützen. Dopo quelli dedicati ad Andreas Hofer e al periodo della Restaurazione, i capitoli conclusivi attraversano le guerre mondiali, il fascismo, lo Statuto d’autonomia e si concludono con un breve scorcio sul presente.

Michael Gaismair visto da Karl Plattner


“Breve storia dell’Alto Adige” non si rivolge agli esperti di storia in cerca di informazioni inedite o di approfondimenti specialistici, ma potrebbe rispondere ad alcune curiosità di chi, volenteroso di scoprire qualcosa in più sulla storia del territorio, è alla ricerca di un testo leggero e di facile consultazione.