Superbonus e spese condominiali

Ipotizziamo di vivere in un condominio e di aver effettuato lavori che beneficiano del cosiddetto superbonus 110; ipotizziamo, poi, che all’interno del nostro condominio vi siano condòmini non in regola con il pagamento delle loro quote di spese condominiali. In questi casi, vi sono ripercussioni per il condominio? Come deve comportarsi l’amministratore rispetto alla quota del condòmino che non paga?
La questione è stata posta all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate, la quale ha fornito definitiva risposta nella circolare n. 30/E. 
Facciamo un passo indietro: la detrazione del 110%, il così detto superbonus, matura completamente quando sono eseguiti i lavori e quando è stato effettuato il relativo pagamento. Maturato il diritto alla detrazione, è possibile per il condòmino provvedere alla cessione del credito, ossia al trasferimento a terzi del credito corrispondente alla detrazione non ancora goduta (in sostanza, il condòmino spende euro 10.000, matura una detrazione di euro 11.000, che può essere ceduta a terzi).
La questione sottoposta all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate è relativa alla possibilità, per un condòmino moroso, ossia che non paga le sue quote di spese condominiali relative ai lavori oggetto di superbonus, di cedere il credito d’imposta corrispondente alle detrazioni a lui spettanti. 
L’Agenzia delle Entrate parte dal seguente presupposto: l’amministratore di condominio deve comunicare all’Agenzia delle Entrate le cessioni dei crediti corrispondenti alle detrazioni esclusivamente per un ammontare proporzionato al rapporto tra quanto versato da ciascun condòmino entro il 31 dicembre dell’anno di riferimento della spesa e quanto dovuto dal condòmino stesso. 
Il credito che può essere ceduto deve corrispondere a una detrazione maturata; pertanto, non può esservi credito senza pagamento da parte del condòmino all’amministratore, in quanto la detrazione del 110% corrisponde alla somma versata dal condòmino all’amministratore medesimo.
Data questa premessa, la conclusione dell’Agenzia delle Entrate sul punto è stata la seguente: nel caso di condòmino moroso, l’amministratore non dovrà comunicare nessun dato riferito allo stesso, con la conseguenza che il condòmino, non avendo versato le quote condominiali, non avrà diritto ad alcuna detrazione.

Autore: Avv.to Dott. Massimo Mira

La responsabilità della scuola guida

Ipotizziamo di avere un incidente stradale e che dall’altra parte vi sia un’auto di una scuola guida con un conducente/allievo nel corso di una lezione; la scuola guida è sempre responsabile?

La risposta è no. La responsabilità della scuola guida può certamente configurarsi e può essere a titolo esclusivo o a titolo di concorso con l’allievo: risponde a titolo esclusivo dell’incidente tutte le volte in cui siano state date indicazioni errate o imprudenti all’allievo; risponde, invece, a titolo di concorso di colpa tutte le volte in cui non vi sia stato un intervento per evitare l’evento dannoso dovuto all’errore dell’allievo o quando l’intervento sia stato tardivo o inidoneo. Naturalmente il limite a questo concorso è costituito dalla concreta possibilità di agire e cioè dalla prevedibilità ed evitabilità dell’evento da parte dell’istruttore.
Il problema è, allora, accertare il grado di colpa nel caso di volta in volta affrontato. è infatti ipotizzabile anche la totale responsabilità in capo all’allievo, tutte le volte in cui l’incidente sia ascrivibile a sua totale negligenza o imprudenza o violazione di norme. Infatti, l’allievo, prima di porsi alla guida di un veicolo, ha l’obbligo di conoscere, diligentemente, tutte le norme sulla circolazione stradale; tali oneri non vengono meno per il fatto che il soggetto si stia esercitando seguito dal proprio istruttore.
è comprensibile, quindi, come eventuali giudizi di responsabilità per colpa vadano compiuti valutando tutte le circostanze concrete. I presupposti di partenza rimangono comunque che: l’allievo ha il dovere giuridico di conoscere almeno le nozioni fondamentali dei comandi del mezzo che si appresta a condurre e il loro corretto uso prima di porsi alla guida; tale obbligo non può venir meno per la semplice presenza dell’istruttore; su quest’ultimo, invece, incombono tutti gli obblighi di vigilanza e di informazione affinché la lezione possa svolgersi in modo tale che non si creino pericoli per l’incolumità d’altri e dell’allievo.

Autore: Avv.to Dott. Massimo Mira

Separazione ed eredità

Prendendo spunto dall’articolo da ultimo pubblicato, mi viene posta da un lettore la seguente domanda: in caso di separazione consensuale, in assenza di testamento, come sono regolati i rapporti ereditari con l’ex coniuge?

L’eredità del coniuge dopo la separazione è disciplinata da due articoli del codice civile: l’art. 585 secondo cui il coniuge cui non è stata addebitata la separazione ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato (pertanto, tornando alla domanda postami, ciò vale anche in caso di separazione consensuale); l’art. 548, secondo cui al coniuge responsabile della separazione spetta soltanto un assegno vitalizio se, al momento della morte, godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto.
Le stesse regole si applicano anche nel caso in cui la separazione sia stata addebitata ad entrambi i coniugi.
Il coniuge separato ha diritto alla pensione di reversibilità dell’ex defunto, anche se ha rifiutato l’eredità. Se al coniuge superstite viene addebitata la colpa della separazione, egli ha diritto alla reversibilità solo se gli è stato riconosciuto dal giudice il diritto agli alimenti a carico del coniuge deceduto. Altrimenti ne è escluso.
A differenza della separazione, con il divorzio il vincolo matrimoniale viene definitivamente sciolto e si perdono i diritti successori acquistati con il matrimonio. L’ex coniuge divorziato, quindi, esce definitivamente dall’asse ereditario del defunto, ma conserva il diritto all’assegno di divorzio anche dopo la morte del soggetto obbligato. Se il coniuge defunto, prima di morire, versava l’assegno divorzile all’ex, i suoi eredi dovranno continuare a farlo – nei limiti dell’eredità percepita – per arginare lo stato di bisogno del superstite. Se le parti sono d’accordo, la corresponsione dell’assegno può avvenire anche in un’unica soluzione. Se però il coniuge divorziato convola a nuove nozze, stipula un’unione civile o instaura una convivenza stabile, perde il diritto all’assegno divorzile.
Infine – ma solo in determinati casi – il coniuge divorziato ha diritto alla pensione di reversibilità dell’ex coniuge defunto.

Autore: Avv.to Dott. Massimo Mira

Successioni: i familiari del coniuge deceduto sono eredi?

Analizzo, in questa sede, un caso che è stato posto qualche settimana fa alla mia attenzione.
Si è rivolta al sottoscritto una signora, esponendo che la zia materna, senza figli e con genitori deceduti, ha ereditato dal defunto marito parte della casa a lui intestata. Tale zia ha una sorella ed un unico nipote, mentre il marito defunto aveva due fratelli, che hanno, pro quota, partecipato all’eredità, acquisendo parte della casa.
Il dubbio della signora è il seguente: nel caso in cui sua madre, sorella della zia, dovesse decedere prima della zia, chi partecipa alla successiva eredità in morte della zia? Anche i parenti del defunto marito?
Per rispondere al quesito si deve, innanzitutto, far riferimento all’articolo 565 del codice civile, secondo cui, in assenza di testamento, l’eredità si devolve solo in favore dei parenti del defunto (oltre che del coniuge, quando esiste) sino al sesto grado; in ultima istanza in favore dello Stato.
I parenti del coniuge (defunto) non sono parenti dell’altro coniuge (superstite), ma sono, secondo il diritto, “affini”. Ed infatti, non è parentela, ma affinità il vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge.
Pertanto, nel caso sopra descritto, alla successione della zia, in assenza di coniuge (già deceduto) e di figli, nonché di genitori o altri ascendenti, succederà esclusivamente sua sorella. Nel caso in cui la sorella non possa o non voglia accettare l’eredità, ad esempio perché già defunta, saranno chiamati alla successione i figli di lei a norma degli articoli 571 e 572 del codice civile, nonché a norma dell’articolo 467 del codice civile (che disciplina la cosiddetta “rappresentazione”, secondo cui all’ascendente che non può o non vuole accettare l’eredità, subentrano i suoi discendenti legittimi o naturali). Questi ultimi soggetti subentreranno, chiaramente, nella quota di proprietà della zia e si troveranno, pertanto, in regime di comproprietà con i parenti del marito defunto di quest’ultima.

Autore: Avv.to Dott. Massimo Mira

Vizi immobile dopo l’acquisto: che fare?

La legge prevede che il venditore di un immobile debba garantire l’acquirente da tutti i vizi che impediscano di usare l’immobile per come convenuto o che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.
Specularmente, è prevista una serie di tutele in favore dell’acquirente, finalizzate a ottenere la restituzione di una parte del prezzo pagato o, nell’ipotesi di vizi particolarmente gravi, lo scioglimento del contratto e la restituzione di tutte le somme già corrisposte.
La garanzia del venditore copre tutti i vizi dell’immobile, sia quelli cosiddetti “apparenti” (riconoscibili con l’uso della normale diligenza), sia quelli cosiddetti “occulti” (non riconoscibili a un esame immediato del bene o che sono rilevati solo dopo che ne sia iniziata l’utilizzazione, quali, ad esempio, infiltrazioni, difetto di insonorizzazione acustica, rumori provenienti da impianti di ascensore).
La garanzia del venditore non opera per i vizi che l’acquirente conosceva al momento del contratto.
Non appena scoperti i vizi, l’acquirente deve inviare al venditore la cosiddetta denuncia dei vizi: si tratta di una contestazione formale, anche se dal contenuto generico, in cui vengono indicati i difetti dell’abitazione.
Il compratore deve denunciare i vizi del bene comprato entro 8 giorni, decorrenti dal giorno in cui egli è stato in grado di esaminare l’immobile o, per i vizi occulti, dal giorno della loro scoperta.
Secondo la legge, due sono le azioni che l’acquirente può esercitare attraverso l’ausilio di un avvocato: a) chiedere la risoluzione (ossia lo scioglimento) del contratto, in presenza di vizi particolarmente gravi. Per effetto della risoluzione, l’acquirente deve restituire l’immobile, mentre il venditore deve ridare i soldi incassati. L’acquirente può, inoltre, chiedere il risarcimento delle spese sostenute e degli ulteriori danni subiti; b) chiedere la riduzione del prezzo (se ha comunque interesse a tenere l’immobile), parametrata alla riduzione del valore del bene, che viene solitamente calcolata attraverso una perizia tecnica.

Autore: Avv.to Dott. Massimo Mira

Indennità di disoccupazione

La Naspi è l’acronimo di Nuova Assicurazione Sociale Per l’Impiego ed è, a partire dal 2015, l’indennità di disoccupazione che viene erogata, con assegno mensile, dall’Inps ai lavoratori che perdono involontariamente il posto di lavoro.
Il requisito fondamentale per accedere alla Naspi è la perdita involontaria del lavoro. La legge, infatti, tutela economicamente il disoccupato solo se ha perso il lavoro contro la sua volontà.
Ci sono, tuttavia, dei casi in cui, nonostante la cessazione del rapporto sia stata determinata dalle dimissioni o dalla risoluzione consensuale del rapporto, la perdita del lavoro può essere considerata comunque involontaria. È il caso della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro determinata dal rifiuto del lavoratore al trasferimento in una sede di lavoro a oltre 50 km dalla residenza e/o raggiungibile con i mezzi pubblici in oltre 80 minuti.
Nell’ambito delle dimissioni, invece, fanno eccezione alla regola per cui non spetta la Naspi le dimissioni per giusta causa; si ravvisano quando il dipendente è, di fatto, costretto a dimettersi a causa di un comportamento datoriale scorretto, contrario ai doveri che derivano dal rapporto di lavoro, che rende non più proseguibile il rapporto, nemmeno per un momento.
I principali effetti prodotti dalle dimissioni per giusta causa sono tre: 1) il lavoratore può lasciare il posto di lavoro con effetto immediato, senza rispettare il periodo di preavviso; 2) il lavoratore ha diritto a ricevere l’indennità sostitutiva del preavviso; 3) proprio come per il licenziamento, il lavoratore che si dimette per giusta causa ha diritto alla Naspi.
Non esiste un elenco tassativo di “giuste cause”; analizzando la casistica presente nelle sentenze dei tribunali del lavoro, dimissioni per giusta causa sono state ad esempio riconosciute nei casi di mobbing, demansionamento, molestie sessuali nei luoghi di lavoro, condotta ingiuriosa del superiore gerarchico, mancato pagamento dello stipendio, trasferimento immotivato e modifica peggiorativa delle condizioni di lavoro a seguito di un trasferimento di ramo d’azienda.

Autore: Avv.to Dott. Massimo Mira

Un recupero sicuro del proprio credito

Aspetto fondamentale, quando si vuole recuperare un proprio credito, è capire se il debitore ha beni “aggredibili”, ossia se possiede un patrimonio di beni mobili, immobili o crediti che possano garantire il credito stesso.
Per tale ragione è necessario rivolgersi a un avvocato, il quale può fornire una valutazione sulla consistenza patrimoniale del debitore e sulla convenienza dell’azione.
Il nostro ordinamento prevede che, a tutela del proprio credito, il creditore possa promuovere tre tipi di pignoramento, denominati mobiliare, immobiliare e presso terzi.
Conoscendo il codice fiscale o la partita IVA del proprio debitore, si potrà innanzitutto verificare se vi sono proprietà immobiliari.
La ricerca dei beni immobili è finalizzata a promuovere un pignoramento immobiliare, ossia a “bloccare” un immobile. Tale procedimento ha, però, tempi lunghi e costi alti, che devono essere anticipati dal creditore, salvo poi essere recuperati all’esito della procedura.
Meno costosi e più rapidi sono il pignoramento presso terzi (ossia presso soggetti che devono a loro volta denaro al proprio debitore) e il pignoramento mobiliare (ossia di beni che non siano immobili).
Per individuare i beni da sottoporre a pignoramento mobiliare oppure i soggetti terzi da pignorare, in assenza di altre informazioni al riguardo, il creditore può ottenere, attraverso il suo legale, la cosiddetta autorizzazione alla “ricerca con modalità telematiche” ex art. 492 bis c.p.c.
Come si procede? Vi sono due fasi:
1) presentare un’istanza al Presidente del Tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede per ottenere l’autorizzazione ad avviare la ricerca telematica. Tale istanza deve essere preceduta dall’ottenimento, attraverso un legale, di un decreto ingiuntivo, ossia di un ordine di pagamento pronunciato da un Giudice.
2) Inoltrare ai gestori delle banche dati pubbliche (Agenzia delle Entrate, Anagrafe tributaria, Enti previdenziali, ecc.) una richiesta di accesso alle informazioni rilevanti.
La richiesta è diretta a individuare cose e crediti da sottoporre a esecuzione forzata, compresi quelli relativi ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti.
Ottenute tali informazioni, si procederà concretamente al pignoramento.

Autore: Avv.to Dott. Massimo Mira

Ecco il Super ecobonus 110%

ll Decreto Rilancio, tra le misure fiscali a sostegno di imprese e cittadini, prevede il super ecobonus 110%. La possibilità di ottenerlo è scattata dal 1° luglio 2020. L’obiettivo, da una parte, è alleggerire i costi di ristrutturazione, adeguamento energetico e sismico dei proprietari di abitazioni; dall’altro favorire la ripartenza dei cantieri. Il 16 luglio la misura è stata confermata con la legge di conversione, che ha previsto l’estensione del super ecobonus 110% fino al 2022 anche per l’edilizia popolare, oltre a permettere ai contribuenti di fruire della misura per due abitazioni. La novità è di notevole portata: il bonus è valido sia per le seconde case, anche unifamiliari, che per le parti comuni degli edifici. Esclusi dalla possibilità di fruire dell’agevolazione, però, le categorie catastali A/1, ossia abitazioni di tipo signorile e A/8, abitazioni in ville. Le detrazioni riguardano le spese fatte dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021.
Ecco, a seguire, gli interventi per cui si può beneficiare del super ecobonus 110%.

  • Isolamento termico. Secondo la norma, gli interventi devono riguardare oltre il 25% della superficie d’intonaco, con tetto di spesa massimo di 60.000 euro, riferita a ogni singola unità immobiliare. Riguardo all’isolamento termico delle singole unità immobiliari condominiali, un emendamento presentato ha previsto la distinzione tra i palazzi da due a otto unità per cui il tetto è di 40.000,00 euro, mentre per strutture uni o plurifamiliari con ingresso autonomo dall’esterno la soglia è fissata a 50.000,00 euro per ogni unità.
  • Sostituzione degli impianti di climatizzazione invernali nelle parti comuni dei condomini. L’efficienza dei nuovi impianti deve essere almeno di classe A. Il tetto di spesa è fissato in 30.000,00 euro per ogni unità immobiliare.
  • Sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale con impianti a pompa di calore in abitazioni unifamiliari (quindi, non appartamenti in un condominio, ma case singole). Il tetto massimo è fissato in 30.000,00 euro.
    Il Decreto Rilancio prevede infine la possibilità di accedere al bonus anche per interventi di efficientamento energetico abbinati almeno a uno dei tre interventi precedentemente descritti. Per usufruire della detrazione al 110%, non basta, quindi, svolgere interventi come la sostituzione e posa di infissi, adottare schermature solari o sostituire impianti di climatizzazione con caldaie a condensazione con efficienza almeno di classe A, ma questi lavori devono essere svolti in congiunzione con quelli di cui ai tre punti precedenti.

Autore: Avv.to Dott. Massimo Mira

Covid19 e mancata esecuzione contratti

Il diffondersi del Coronavirus ha comportato – e tuttora comporta − la difficoltà, per molti privati e imprese, di adempiere alle obbligazioni derivanti da contratti già sottoscritti. Nel nostro ordinamento giuridico, si deve far riferimento agli articoli 1256 e 1467 del codice civile, che regolano i rapporti contrattuali nei casi di inadempimento per impossibilità sopravvenuta o eccessiva onerosità. Solo nei casi previsti da questi due articoli la parte è sollevata da responsabilità, può non adempiere e può chiedere la risoluzione del contratto, a causa di avvenimenti straordinari e imprevedibili, dandone comunicazione alla controparte.
Non vi è responsabilità per l’inadempimento se e quando:

  • esso è estraneo all’evento straordinario che ha generato l’inadempimento;
  • l’evento stesso era imprevedibile;
  • l’inadempimento è insormontabile;
  • in alternativa, l’inadempimento sarebbe astrattamente possibile, ma si configura la cosiddetta “eccessiva onerosità sopravvenuta”, intesa come un aggravio patrimoniale che alteri, sostanzialmente, l’originario rapporto di equivalenza, incidendo sul valore di una prestazione rispetto all’altra, ovvero facendo diminuire o cessare l’utilità della controprestazione; e ciò per un fatto straordinario e imprevedibile.

Alla luce del complesso quadro fattuale e legislativo in continuo divenire, non è semplice stabilire se il Coronavirus e/o le misure adottate dall’Autorità possano costituire valida causa di impossibilità o di sopravvenuta onerosità delle prestazioni contrattuali assunte dalle imprese o dai privati. Peraltro, già il Decreto Cura Italia del 17.3.2020 prevedeva espressamente che il rispetto delle misure di contenimento emanate è sempre valutato ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi versamenti. Gli effetti giuridici del COVID-19 sui negozi stipulati, in sintesi, dovranno essere scrupolosamente valutati ed esaminati caso per caso, tenendo conto di una pluralità di fattori quali, a titolo meramente esemplificativo, i fatti portati a sostegno del ritardo e/o dell’inadempimento contrattuale, l’incidenza specifica degli stessi sulla prestazione, l’assenza di soluzioni alternative per l’adempimento, la portata del testo contrattuale e, non da ultimo, l’applicabilità della legge italiana alla fattispecie contrattuale.

Autore: Avv.to Dott. Massimo Mira

Il patrimonio del defunto e l’eredità

Di fondamentale importanza, al decesso di una persona, è la ricostruzione dell’asse ereditario, ovvero la determinazione del complesso dei beni appartenenti alla persona defunta, che si trasferiscono agli eredi. Possono fare parte di esso beni immobili come fabbricati e terreni, e anche aziende e quote societarie, beni mobili, quadri, titoli, valori mobiliari e denaro. Il valore dell’asse ereditario non deve essere necessariamente positivo, trattandosi di un insieme di attività e passività. L’ammontare dello stesso viene definito all’apertura della successione. Stabilire il valore dell’asse ereditario è fondamentale per la divisione dello stesso e per stabilire le quote di legittimità (ossia, le quote che per legge spettano ad alcuni soggetti, ascendenti, coniuge e figli, a prescindere da eventuali contrarie disposizioni contenute nel testamento). Nel definire la composizione dei beni facenti parte dell’asse ereditario bisogna considerare anche i beni che il defunto ha in vita donato in via diretta e/o indiretta. Tra le donazioni da considerare vi sono anche quelle di somme di denaro (purché tracciabili), versate dal defunto a favore, ad esempio, di un figlio, rispetto a un altro. Campanello d’allarme è l’eventuale presenza di donazioni a persone terze, ossia non chiamate all’eredità. Anche tali donazioni devono essere considerate per la ricostruzione dell’asse ereditario, ma l’erede la cui quota di legittima sia violata (ossia che riceve meno di quanto dalla legge previsto) potrà agire per il recupero del bene contro i beneficiari di tali donazioni solo nel caso in cui egli abbia accettato l’eredità con il cosiddetto “beneficio di inventario”, una procedura che prevede la redazione di un inventario. Considerando che ogni azione di disposizione del patrimonio del defunto (ad esempio, pagare le spese funerarie dal suo conto) costituisce accettazione pura e semplice dell’eredità e comporta l’impossibilità di accettare con beneficio di inventario, si comprende come si debba prestare massima attenzione. Per tale ragione, anche se nei giorni successivi alla morte spesso si ha comprensibilmente altro cui pensare, è fondamentale rivolgersi sempre a un avvocato, per essere tutelati al meglio.

Autore: Avv.to Dott. Massimo Mira