Storia, leggende e misteri del Duomo di San Nicolò

9 maggio dell’anno del Signore 1087, Bari: alcuni marinai che avevano traslato i resti di san Nicola (270 / 343 d.C.), vescovo di Mira in Cilicia, oggi in Turchia, per sottrarlo alla profanazione dei musulmani lo collocano nel duomo della loro città. Il santo, che già in precedenza godeva di una ricco patrimonio di leggende popolari, diviene una delle figure più note di tutto il Medioevo. Tale fama unisce da subito i popoli del nord a quelli del sud dell’Europa. La più famosa leggenda a lui dedicata narra che egli fosse venuto a conoscenza che un uomo ricco, decaduto in povertà, voleva avviare le sue tre figlie alla prostituzione non potendo fornire loro la dote del matrimonio e non potendo più farle vivere dignitosamente. Nicolò, per tre notti di seguito, fece loro avere una ricca dote in monete d’oro avvolte in un panno.
Altre narrano che resuscitò tre bambini, uccisi dal loro padre. Per tale motivo il culto del santo venne ben presto legato a difensore dei bambini, delle ragazze in cerca di marito, ma anche degli avvocati, delle prostitute, dei mercanti e commercianti.
Nel 1220 a Merano viene edificata una prima chiesa parrocchiale in onore di tale figura santa. Ben presto questo edificio si rivela troppo piccolo per l’assidua presenza di fedeli e nel 1302 il vescovo di Coira decide di ampliarlo. I lavori di rifacimento della chiesa che la porteranno nella forma attuale richiedono quasi due secoli. La sua architettura la rende uno degli edifici più interessanti di tutto l’Alto Adige: la pianta è a tre navate negli stilemi dell’architettura gotica.
Le spese per la costruzione sono sostenute da Enrico, re di Boemia, e dalla cittadina meranese Batlina Hemelin. Gli interni si caratterizzano per una bella e particolare luminosità dovute alle ampie aperture finestrali ogivali. Ricco di cinque altari marmorei, di una pala d’altare e di due laterali dipinte da Martin Knoller, uno dei maggiori pittori tirolesi. Fra queste citiamo una Natività, una delle più belle e struggenti che siano state dipinte in tutta la storia dell’arte.
Di notevole pregio sono i portali in arenaria in stile gotico “fiammato” con struttura carenata di ispirazione catalana. Accanto a essi, l’edicola votiva con la bella statua dedicata a san Nicola del XIV secolo e l’affresco raffigurante san Cristoforo del 1400.
Il campanile alto 83 metri poggia sopra un voltone attraversato dalla strada, sotto di esso troviamo l’affresco dedicato alla Croce, attribuito a Maestro Venceslao, una delle prime rappresentazioni paesaggistiche in ambito alpino. Da ultimo, non manca un aneddoto riguardante il pittore Cristoforo Helfenriederil: egli dipinse un altare laterale, ma era anche reo di aver commesso un omicidio. Fuggì in montagna, ma poi volle tornare a Merano, dove morì di peste nel 1635. Giustizia divina o giustizia del santo protettore dei poveri e degli orfani?

In foto principale: Il Duomo di San Nicolò
Copyright: Franco Visintainer

Autore: Flavio Schimenti

La visione di Delugan per creare la Città di cura

“Dalla città delle mucche alla città di cura”, così scriveva il cronista di Merano, Bruno Pokorny negli anni ‘30, per spiegare l’evoluzione che fra il 1870 e il 1900 portò Merano a essere un centro del benessere a livello internazionale. Tale processo evolutivo non è spiegabile solo dal clima favorevole, mite, e dalla bellezza del suo territorio, ma è dovuto all’indubbia eccellenza delle sue strutture alberghiere e dei suoi imprenditori che ne favorirono la rapida ascesa.

Una di tali strutture alberghiere che fecero decollare la città del Passirio a livello mondiale, fu senza dubbio il Kurhotel Palace, costruito fra il 1905 e il 1906. Merano in quel periodo disponeva già di cinque strutture ricettive di grande rilievo, ma secondo il suo mentore, l’imprenditore Pietro Delugan, nato a Zanolin (un paese in val di Fiemme) nel 1854, Merano doveva pretendere di più. Nel 1893 egli si era trasferito in città, e iniziò a realizzare più di 70 edifici, grandi alberghi, il teatro cittadino, il Kursaal e l’edificio postale. Il suo obiettivo però era quello di costruire l’ albergo più grande e importante di tutto l’arco alpino, che doveva essere il più prestigioso e monumentale per eleganza e per gli arredi: doveva superare i luoghi di cura svizzeri e quelli della Riviera francese. Delugan era un uomo che da semplice capomastro, nell’arco di poco tempo divenne grande costruttore edile di successo. Si formò professionalmente a Stoccarda e poi in Svizzera, a San Gallo. Per la concezione architettonica del Kurhotel, si recò, insieme al Franz Leibl (allora direttore del Grand Hotel Meranerhof, il più grande albergo di Merano con 350 posti letto) sulla Riviera francese. Acquistò l’area dove sorgeva lo Schloss Maur e il terreno circostante, abbozzò il progetto in 24 ore e mise all’opera 340 operai. Nel giro di otto mesi l’albergo era completato. Nel 1906 era già in esercizio, e fra quell’anno e fino al 1914, Merano e il suo grande albergo, registrarono un boom di presenze turistiche che solo in tempi recenti verranno raggiunti. Gli arredi della struttura alberghiera erano davvero da sogno e il piccolo capomastro aveva realizzato in pieno il suo obiettivo, anche se non completamente, prima dello scoppio della Grande guerra.

In foto principale: (a sinistra) I concerti in riva al Passirio, 1914, (a destra) L’albergo Walser in piazza Teatro, 1850

Autore: Flavio Schimenti

Quelle tre grandi Porte che raccontano la storia del centro

Ogni città di origine medievale, nei più dei casi, ha delle porte che cingevano l’antico nucleo urbano, e Merano non fa eccezione a tale assetto urbanistico.
Le porte a difesa della città, presidiate da truppe armate, la notte venivano a serrarsi. Durante il giorno esse si aprivano allo stupore di chi proveniva dagli altri centri minori, di questi poveri “villani” che udivano, forse per la prima volta, il vociare dei mercanti, dei vari venditori di spezie e di tessuti e del battere il ferro da parte dei maniscalchi.
Merano ha ancora tre di tali porte di accesso alla città: le porte Passiria, Bolzano e Venosta. A queste bisogna aggiungere anche la Porta Ultimo, demolita nel 1858 per allargare il tessuto urbano verso Corso della Libertà. Fra tutte queste, quella considerata la più importante è la Porta Passiria: dall’aspetto severo e arcigno, collegava Merano verso nord, verso i castelli di San Zeno e Tirolo, e in essa è ancora visibile il collegamento con la cinta muraria e tracce della serranda che ne chiudeva l’apertura. In corrispondenza aessa si apriva il ponte più antico della città con il corrispettivo sentiero verso la val Passiria.
Altra porta di notevole rilevanza, era la Venosta, attualmente adiacente al convento dei Cappuccini. Controllava l’ accesso della città da ovest e sotto di essa passavano le carovane dei mercanti veneziani e svevi che si recavano verso passo Resia. Merano su tali transiti godeva di particolari “privilegi imperiali” (dazi) su tali beni di passaggio. Menzionata dal 1290 è fra tutte quelle cittadine quella meno caratteristica, frutto di rimaneggiamenti del Diciasettesimo secolo.
Utilizzata per lungo tempo come prigione, su via delle Corse una lapide ricorda che Andreas Hofer il 28 gennaio 1810 fu interrogato dal generale francese Huard.

Fra quelle meglio conservate, si erge imponente Porta Bolzano: ha la forma tipica delle classiche porte cittadine altoatesine; come a Brunico, Bressanone o Glorenza su di essa sono impressi gli affreschi con gli stemmi della Casa d’Austria e un altorilievo tardogotico.
Merano a differenza di altre città, che hanno dovuto sacrificare il proprio storico tessuto urbano alla modernità, conserva queste perle caratteristiche che raccontano la sua storia.

In foto principale: (a sinistra) Porta Ultimo, demolita nel 1858,
(a destra) Porta Bolzano – copyright: ManfredK

Autore: Flavio Schimenti

Uno scrigno di segreti nella chiesa di Maia Bassa

MERANO A vederla dell’ esterno, la chiesa parrocchiale di San Vigilio a Maia Bassa in via Trogmann, non ci dice molto. La costruzione ci appare relativamente moderna con una facciata rielaborata in stile romanico dall’architetto Clemens Holzmeister nel 1936, ma in realtà è uno degli edifici religiosi più antichi di Merano.
Dedicata al santo martire trentino, vescovo di Trento (Roma 355 – Val Rendena 405), evangelizzatore della valle dell’ Adige e patrono delle diocesi di Trento e Bolzano-Bressanone, racchiude entro sé diversi stili e relativi secoli di storia.
Dell’ antica costruzione romanica rimane ben poco, un altorilievo del XII secolo e la base della torre campanaria rimaneggiata nel 1501. Tornando all’altorilievo romanico, compare un’immagine singolare, forse unica in regione: sono rappresentati la Luna e il Sole in maniera antropomorfica, di gusto tipicamente espressionista. Simboleggiano il “ femminile” , la Luna, e il “maschile” , il Sole. Quest’ultimo assurge all’ immagine di un leone. Accanto a essi, due catene intrecciate di matrice tipicamente celtica, antichi simboli cosmici di interazione fra gli opposti.
La chiesa, modificata una prima volta nel 1401 nelle forme del gotico, racchiude affreschi del XV secolo, pale d’altare del 1600 dedicate a San Vigilio (Melchior Stoelzl) e a Maria (Christoph Helfenrieder). Mentre gli affreschi della nuova chiesa, rivoluzionata da Holzmeister, saranno eseguiti dal pittore bolzanino Rudolf Stolz, con opere del 1936-1938. Fra essi, l’artista dipingerà una pregevole Crocifissione all’interno del catino absidale, che ricorda da vicino le opere di Matisse e di Chagall.

Copyright fotos: ManfredK

Autore: Flavio Schimenti

Una “Città Giardino” frutto del sogno di due illuminati

C’è una differenza sostanziale che caratterizza Merano dalle altre città dell’Alto Adige: la grande quantità di verde, anche all’interno dei propri spazi urbani. Per rendersene conto, oltre che godere dei propri viali alberati, parchi e giardini pubblici o privati, basta osservare anche solo distrattamente una immagine della città dall’alto. Ma tutto ciò non è frutto del caso: durante la progettazione dell’evoluzione di Merano come meta turistica, venne chiamato dall’allora sindaco l’urbanista Theodor Fischer, che venne incaricato di elaborare un progetto – impervio compito – e di collegare l’antico centro storico con la nuova stazione ferroviaria. Fischer guardò all’Inghilterra e alle “città giardino”, sull’impronta degli architetti utopisti, che stavano sorgendo in quel periodo. L’idea di base era quella di creare quartieri isolati circondati da “cinture verdi”, entro i quali porre gli edifici. Nel caso di Merano si trattava dei grandi alberghi, le ville, le residenze e gli edifici di servizio.

Così facendo, i grandi complessi alberghieri come il Bellevue, Europa, Excelsior, Metropol ed altri, potevano godere di ampi e vasti giardini. Fischer tracciò l’asse viario dell’Hasburgerstrasse (oggi Corso Libertà), e su questo dipanò una trama, una griglia, con viali alberati ,entro i quali porre le costruzioni. Mentre lungo le sponde del Passirio vennero collocati gli edifici di servizio ai turisti e alla cittadinanza. Il teatro civico, il Kursaal, le passeggiate del Lungopassirio, quelle d’Estate, d’Inverno, Gilf, Tappeiner, i ponti della Posta e del Teatro. Fu proprio grazie a questa intuizione urbanistica che Merano assurse a metà del turismo internazionale. Parlavamo dei viali alberati,i quali ancora sono presenti a Merano: la pianta scelta fu il platano. Albero sacro ai Greci, rappresentava la Dea Madre ed era sempre vicino ai loro templi. Socrate faceva lezione all’ombra dei platani. Diffusa nel Rinascimento e cara a Napoleone (che la diffuse in tutta Europa) e anche alla Casa d’Asburgo che ne fece simbolo imperiale.
Merano quindi “Città Giardino” frutto di un sogno, realizzato, di un illuminato sindaco e un creativo urbanista, Theodor Fischer.

Copyright: IDM Alto Adige / Stefan Stefan Schütz

Autore: Flavio Schimenti

Nel centro storico di Merano svetta il cuore dell’Impero

MERANO Forse non molti sanno che, a pochi passi dai Portici, esiste una residenza che è stata per secoli rifugio e dimora sicura per principi e imperatori. Essa è nota col nome di Castello Principesco, costruito per volere del duca Sigismondo il Danaroso,conte di Tirolo nel 1450 “a ridosso e al di fuori delle mura”, come residenza meranese.
La corte era ormai da tempo a Innsbruck, ma il legame con Merano era imprescindibile. Sigismondo fece costruire la residenza con tutte le comodità dell’epoca e ogni dettaglio stilistico reca l’impronta di quel tempo: dagli affreschi ai rivestimenti lignei delle stanze, dagli arredi agli stemmi araldici, ai ferri battuti, ai pavimenti e alle stupende stufe in maiolica.
Di notevole interesse sono la cappella Palatina, con tutti gli elementi di arredo risalenti al 1450 e con una meravigliosa grata lignea in stile gotico, e la “ stanza dell’imperatore”.


Sì, perché Massimiliano I (1493-1519), imperatore, qui vi soggiornò a lungo, preferendola alla sua sede di Vienna. Dopo di lui vi soggiornò anche l’imperatore Ferdinando I nel 1564, in fuga da Innsbruck con tutta la famiglia, dopo che una grave epidemia aveva infestato l’intera valle dell’ Inn. Anche l’ Arciduca Massimiliano (1602 – 1618) vi soggiornò a lungo. Poi, a poco a poco, i membri della casa d’Asburgo se ne disinteressarono, lasciando andare il castello in progressiva rovina. Nel 1806 i conti Thurn von Taxis lo ricevettero in dono dall’allora governo bavarese, come “regalia postale per il Tirolo”.
Acquistato dal Comune di Merano nel 1875, fu restaurato ripristinando la struttura alla sua parte originaria, eliminando le successive superfetazioni. Trasformato in museo a partire dal 1880, in esso hanno trovato dimora diverse suppellettili di interesse storico e artistico.

Copyright foto principale: IDM/Azienda di soggiorno di Merano/Alex Filz

Autore: Flavio Schimenti

Genesi e significato della stazione

MERANO Due fattori principali si devono al decollo turistico di Merano nel corso di due e passa secoli. Il primo ha un nome, l’allora sindaco di Merano Valentin Haller, che fra il 1867, all’apertura della ferrovia del Brennero, e nel 1881 con l’apertura della linea Bolzano-Merano, intravide un’occasione irrinunciabile per lanciare il capoluogo del Passirio alla fama del turismo internazionale. Quindi da un lato Haller ebbe l’intraprendenza di favorire la costruzione di tutte quelle strutture che potevano attrarre i turisti e dall’altro il mezzo fisico della ferrovia avrebbe potuto portare a Merano migliaia di turisti da tutta Europa, cosa prima di allora impensabile. Venne chiamato in città l’urbanista di fama internazionale Theodor
Fischer provvide a collegare il vecchio nucleo storico con tutta l’area che si espandeva verso la stazione ferroviaria. A progettare il nuovo complesso fu nominato l’ingegnere del Ministero dei Trasporti austriaco, Chabert. Fra il 1905 e il 1906 egli realizzò un piccolo gioiello della scuola architettonica viennese. Il manufatto architettonico in base ai criteri della ferrovia austriaca doveva essere: bello, funzionale, confortevole per i passeggeri e degno del turismo internazionale. Chabert progettò un grande padiglione arcuato per la sala viaggiatori, perfettamente speculare sui due fronti, verso i treni e verso la città, illuminato da una grande e palladiana “finestra termale”.
L’edificio risulta praticamente identico alla stazione ferroviaria di Vienna di Karlsplatz progettata dal grande architetto viennese Otto Wagner. Due ali parallele, anch’esse speculari, di servizio ai viaggiatori affiancavano il corpo centrale della stazione.
Il primo treno della tratta Bolzano-Merano arrivò alla vecchia stazione già nell’agosto del 1881. Architetti di Vienna, Monaco e Berlino progettarono i grandi alberghi monumentali nei pressi della stazione: Bellevue, Europa, Metropol, Excelsior, Savoy, Emma, Windsor e altri. I complessi alberghieri immersi nel verde e collegati da grandi viali alberati faranno di Merano una sorta di città-giardino che, oggi come allora, cittadini e turisti apprezzano molto. I servizi alla città e ai turisti vennero collocati lungo il Passirio: il teatro civico, il Kursaal e le passeggiate d’Estate e d’Inverno con un disegno unico nell’estetica e nell’arredo urbano, Quello che oggi chiameremmo: immagine coordinata.

Autore: Flavio Schimenti

Quell’affresco “siciliano” a S. Maria del Conforto di Maia Bassa

Siamo nell’anno 1273 quando la chiesa di S. Maria del Conforto di Maia Bassa viene ceduta all’abbazia cistercense di Stams nel Tirolo austriaco. Non ne conosciamo il motivo, ma allora era usuale donare ai conventi le chiese più preziose presenti nel territorio, una sorta di dote nuziale fatta dai regnanti di allora. Quando l’edificio viene ceduto esso viene citato come “antico”, quindi si presume che risalga all’epoca della prima evangelizzazione del nostro territorio.
Il nucleo originario del complesso, infatti risale al periodo del protoromantico, una pianta di forma quadrata ad aula unica con una sola abside. Accanto ad esso viene innalzato il bel campanile romanico lombardo con bifore e trifore, manomesso in epoca successiva. Nella parte più antica della chiesa troviamo il ciclo di affreschi più antico e unico nella regione. O meglio, quello che ne rimane dopo l’alluvione del Passirio del 1347, che portò via gran parte degli affreschi.
Nell’arco trionfale sulla parete a sinistra troviamo la “ dormitio della Vergine”. E qui ci troviamo di fronte ad un mistero: cosa ci fa un affresco bizantino uguale a quello che troviamo a Palermo nella chiesa della Martorana, con lo stesso soggetto, la stessa composizione iconografica e gli stessi colori?
Quello di Palermo risale al 1143 – 48, quello di Merano è del 1150 circa. Gli apostoli vegliano sul sepolcro il corpo della Madonna, e Cristo sorregge in braccio il corpo neonato della Vergine, citazione di “figlia del tuo stesso figlio”. È da presumere che chi lo abbia dipinto fosse un pittore girovago, come accadeva in epoca medievale, oppure qualche cavaliere lo abbia visto in Sicilia, per recarsi in Terra Santa o lo abbia commissionato per la chiesa di Merano. Tale soggetto avrà un’impronta dirompente per tutta la pittura dell’epoca e tutti gli affreschi di quel periodo si ispireranno a esso.
La chiesa subirà modifiche a partire dal 1342, con nuovi cicli di affreschi e nuove strutture, fino ad assumere la forma attuale.

Autore: Flavio Schimenti

Le origini della città dalla “statio maiensis” alla Zecca

Sin dalle origini la conca di Merano era un importante snodo di smercio commerciale e di interscambio, che metteva in comunicazione la Val Padana con i bacini del Reno e del Danubio, tramite la via Claudia Augusta, attraverso la Val d’Adige, la Venosta e i passi Resia e Giovo. All’imbocco della Venosta a Tell era situata la “statio maiensis”, una vera e propria dogana al confine fra la Provincia romana della Rezia e la X Regio Italica di Venetia et Histria. L’allora popolazione, che non abitava il fondovalle della conca meranese, iniziò a insediarsi presso le strade di grande traffico, con la costruzione di qualche piccolo insediamento fra Maia Alta e Maia Bassa.
In tarda età romana viene citato un “Castrum maiensinsis” da Aribone nella “Vita sancti Corbiniani”. Il castrum è identificabile col castel San Zeno, dove dimorò San Valentino nel V se. d.C. e successivamente nel VIII d.C. San Corbiniano, vescovo di Frisinga. Aribone, meranese di nascita, che divenne poi vescovo di Frisinga, è il primo vero e proprio scrittore in lingua tedesca e il successore di Corbiniano in quella sede vescovile. Si presume quindi, che l’Humus religioso, civile e culturale della città di Merano abbiano avuto luogo il quel luogo fortificato.
Nel 857 troviamo la prima e vera citazione di Merano col nome “Mairania”.
Da prima, feudo del principe vescovo di Trento, dal XIII secolo diventa capitale del territorio governato dai conti di Tirolo. Nel 1237 lungo il Passirio, si era creato un nuovo centro urbano citato come “Forum Mairaini”, nel 1260 “Burgum Merani” e nel 1317 “Civitas Merani”.
L’antico borgo si riduceva all’attuale rione Steinach, tra il Duomo e la porta Passiria. Con l’epoca di Mainardo II viene aggiunta via dei Portici.
La città viene cinta da mura ed è di forma quadrangolare, sulla quale si aprono quattro porte-torri: la Venosta, la Passiria, la Ultimo e la Bolzano. I Portici – sui quali si affacciavano le botteghe con le corti interne e dove sul retro vi erano gli orti fino alla cinta muraria – posti a Nord venivano chiamati “a monte”, quelli a Sud “ad acqua”. Nel 1317 i meranesi ottengono il privilegio di essere chiamati “cittadini”, di avere una propria zecca, che batte moneta pregiata per tutta la contea del Tirolo, di essere sede Giudiziaria e Corte di Appello, di essere una delle più importanti città mercantili in epoca medievale, in ambito europeo, e soprattutto di rivaleggiare e competere, da sempre con Bolzano, in questo importante ruolo.

Autore: Flavio Schimenti