Venticinque anni fa (3 luglio 1995) se ne andava Alexander Langer, un uomo che con la sua vita, la sua ricerca, le sue fatiche e la sua solitudine contribuì a dare dignità alla politica, che è l’arte della costruzione del bene comune e non un’attività di lotta per il potere e la spartizione delle risorse. Guardava a un cambiamento culturale.
“Sono convinto”, scrisse sul settimanale “Il Segno” nel marzo 1995, “che ormai il tempo sia più che maturo perché ci si occupi non solo e non tanto della definizione dei ‘diritti etnici’ (o nazionali, o confessionali, ecc.), ma della ricerca di criteri per costruire un ordinamento della convivenza pluri-culturale, che ovviamente non potrà essere in primo luogo concepito come un insieme di norme e di statuizioni legali, ma soprattutto di valori e di pratiche della mutua tolleranza, conoscenza e frequentazione.”
Vedeva con la passione del profeta la necessità di una correzione di rotta in campo politico, ecologico, economico nei rapporti tra gruppi etnico-religiosi (era in corso la guerra nei Balcani).
Negli ultimi mesi della sua vita fece appello a una “decisa rifondazione culturale e sociale di ciò che in una società o in una comunità si consideri desiderabile”.
Espresse questa esigenza in un discorso memorabile. “Sinora si è agito all’insegna del motto olimpico ‘citius, altius, fortius’ (più veloce, più alto, più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza dello spirito della nostra civiltà, dove l’agonismo e la competizione non sono la nobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensì la norma quotidiana e onnipervadente. Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in ‘lentius, profundius, suavius’ (più lento, più profondo, più dolce), e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso.”
Autore: Paolo Bill Valente