La chiesetta di San Pietro

Simbolo della città, tanto da apparire nello stemma comunale, la chiesetta di San Pietro – chiamata da tutti semplicemente “chiesetta” o “ceseta” – rappresenta un punto fermo non solo del paesaggio di Laives ma dell’identità stessa di generazioni di suoi abitanti. Uno dei pochi, verrebbe da dire – ma soltanto perché molte delle piccole e grandi ricchezza storiche e archeologiche di questo territorio spesso sottovalutato sono ampiamente sconosciute o note soltanto agli specialisti: e, per fare soltanto alcuni esempi, pensiamo a Enzbirg, alle “case” retiche, al tesoretto e agli orti e campi cinti da muri a secco.
Al di là della sua posizione dominante, la chiesetta colpisce la fantasia e la curiosità dell’osservatore per una certa sua “vicinanza al cielo”, per una sua “disposizione” per così dire misericordiosa nello spazio severo che la circonda. Inoltre, certe giornate lievemente uggiose le conferiscono anche un che di atemporale: un luogo vicino e allo stesso tempo irraggiungibile, noto e allo stesso tempo radicato in un passato avvolto dal mistero. Guardandola da basso, come quasi sempre succede, non si può fare a meno di porsi alcune domande: perché proprio qui, su questo colle all’apparenza così fragile? E da quando? E prima dell’aggraziata costruzione in muratura, c’era forse un altro luogo di culto “pagano”? La costruzione oggi visibile dovrebbe risalire all’XI secolo (con una sostanziosa ristrutturazione nel 1500) e con ciò precedere il castello dei Liechtenstein completamente distrutto. Ciò – insieme ai ritrovamenti archeologici e a certe tradizioni religiose a metà strada tra paganesimo e prima cristianità – confermerebbe l’ipotesi che qui un luogo sacro dedicato a una divinità collegata forse alla fertilità sia esistito dalla notte dei tempi. Anche la dedica a San Pietro è alquanto significativa: il nome del primo apostolo veniva spesso utilizzato per “scalzare” vecchie tradizioni blasfeme.
È abbastanza plausibile che la chiesetta sia stata incorporata – pur restando esterna alle mura per un motivo di accessibilità – nella fortezza costruita successivamente. Insomma ne faceva parte e nello stesso tempo non perse mai la propria indipendenza. Lo stesso Mainardo II la risparmiò in occasione della distruzione del castello – fatto peraltro singolare giacché il conte del Tirolo era abituato a radere al suolo ciò che si opponeva ai suoi intendimenti. 
La chiesa, come è stato appurato, è eretta su una roccia che probabilmente ha dato il nome al luogo: “der lichte Stein”, scritto in vari modi in tempi diversi. Nella sostanza, una roccia esposta e ben visibile da lontano, insomma una pietra “chiara” che soccorre i bisognosi.

Immagine principale: David Kruk

Autore: Reinhard Christanell

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