Per i popoli che ci hanno preceduto, il fattore religioso-magico rivestiva grande rilievo. I compiti che oggi assolvono le previsioni del tempo, le scoperte scientifiche o semplicemente Google, un tempo erano affidati alla sola forza dell’immaginazione. Ogni aspetto della vita quotidiana, dall’alimentazione agli spostamenti, dal lavoro nei campi ai rapporti con i propri simili sottostava al “favore” di qualche nume. Ciò che valeva per i singoli, a maggior ragione valeva per le comunità: i riti propiziatori e di ringraziamento erano codificati nei secoli e si svolgevano in luoghi “eletti”: con preferenza per sommità o sacre sorgenti (coma la retica Cisa del Süssenbach o rio Dolce in Pineta).
Che culti si praticavano all’epoca dei Reti (Isarci, Tridentini, Anauni) della valle dell’Adige? Quali erano le divinità predilette? E quali erano i luoghi in cui si celebravano i riti? Nonostante il pregevole lavoro degli archeologi, il territorio della Bassa Atesina rimane ancora poco esplorato. Specialmente a Laives è presumibile che molti reperti antichi (dal mesolitico ai Romani) siano ancora sepolti sotto il poderoso conoide porfirico costantemente alimentato dal rio Vallarsa. Sono comunque state rinvenute varie tracce di roghi votivi: per esempio in via Dante e Marconi o in zona Jauch. Ma manca, per esempio, un ritrovamento simile a quello straordinario, risalente all’età del Rame (epoca dell’uomo del Similaun, per intenderci), del Pigloner Kopf sopra Vadena, dove sono state scoperte asce e altri doni votivi.
I roghi votivi o Brandopferplätze sono noti in tutta l’area alpina e anche oltre. Vi venivano svolti due tipi di cerimonie, spesso accompagnate da sacrifici di animali, ricche libagioni e offerte di doni: una prettamente religiosa e consacrata alle divinità locali, una inerente i riti funerari con la combustione dei defunti e il “legame” con il mondo degli antenati. Secondo alcuni studi, questi luoghi di culto nella valle dell’Adige, dal Doss Trento alla Val d’Ega e in particolar modo in Val di Non, sono caratterizzati dalla presenza di una divinità legata all’agricoltura e alla fertilità dei suoli. Si tratta di un dio che, sotto vare spoglie, compare dal Bronzo finale fino ai Romani, i quali, mantenendo invariati i riti, lo chiamavano Saturno. Iscrizioni votive, doni in ceramica e metallo e non ultimo alcuni nomi di adepti del culto ci parlano di una tradizione tramandata nei secoli almeno fino all’epoca del vescovo Vigilio, noto per aver gettato una statuetta di questo dio nel torrente Sarca ed essere stato percosso per questo motivo dagli infuriati “pagani”.
È dunque probabile che sui due promontori o acropoli di Laives il culto celebrato fosse proprio quello di Saturno (ricordiamo che successivamente il patrono del paese divenne Dioniso, da cui la leggendaria Nisselbrunn – fonte di Dionisio – semidistrutta dal Vallarsa) e in particolare sul colle di S. Pietro, dove anche in epoche successive continuarono ritualità “propiziatorie” della pioggia note fino al XIX secolo. Sulla Gampnerknott (detta Comp/camp o Crozet) è più facile che i culti praticati riguardassero i rapporti con l’aldilà e dunque i riti funerari.
Autore: Reinhard Christanell