All’anagrafe si chiama Othmar Schönafinger, ma da diversi anni si è creato un seguito nel settore della musica online con lo pseudonimo The Shea (ogni riferimento allo stadio newyorchese in cui si esibirono i Beatles è tutt’altro che casuale), dapprima con degli interessanti singoli sempre accompagnati da belle copertine, perché nella vita The Shea fa il grafico, poi con un LP uscito nel 2018 per l’etichetta viennese Konkord. Tutto rigorosamente fatto in casa, nel suo studio in cui ha assemblato programmi e strumentazione d’epoca per ricostruire le sonorità che stanno alla base del nuovo lavoro, Disappear, uscito lo scorso 30 luglio.
“Si tratta di un disco che in realtà era già pronto quando la Konkord ha dato alle stampe quello precedente – ci racconta l’artista –, doveva anzi essere questo il disco previsto per il 2018, poi alla casa discografica mi hanno detto che a loro piacevano molto i brani che avevo messo in rete negli anni passati e così questo Disappear è stato messo in lista d’attesa. Un anno fa mi hanno detto che avevano deciso di non proseguire la collaborazione, erano contenti di come il disco era andato ma che avevano altri progetti. All’inizio di quest’anno però mi hanno ricontattato dicendo che avevano riascoltato il materiale è che si erano dimenticati che fosse così buono e che volevano a tutti i costi pubblicarlo. Non solo, stavolta lo hanno fatto in più formati: il vinile nero col CD allegato, il download digitale, l’edizione limitata in vinile colorato color marmo, il CD, il vinile colorato con allegato il 45 giri a tiratura limitata. Io non me lo aspettavo, ero comunque contento dell’esperienza fatta col primo disco, ma devo ammettere che essere stato ricontattato da loro, per il mio ego è stata una cosa davvero appagante”.
Rispetto al disco precedente Disappear vira più verso il sound degli anni settanta, con la scelta di usare strumenti ben precisi: The Shea conosce i suoni che vuole e quelli a cui si rifà, si suona tutte le parti strumentali e cura tutte le voci; stavolta però si è avvalso dell’aiuto di Alex Eschgfäller (già cantante dei John’s Revolution, precedente creatura di Othmar), che in un paio di canzoni suona la batteria. Inoltre, il nostro ha voluto provare l’ebbrezza di andare a registrare almeno un brano del disco, Murder Serenade, in uno studio professionale londinese, quello di Gilles Barrett che in questo brano si occupa anche del basso: tutto il resto è farina del sacco e delle mani di The Shea.
“Ero curioso – ci dice The Shea a questo proposito – di vedere e sentire come sarebbe suonata una mia canzone registrata con le orecchie di un inglese che conosce a menadito questi suoni. Nel mio DNA musicale c’è il pop inglese, dai Beatles ai Libertines e ai Babyshambles, e un tecnico inglese come Gilles sa come questa musica deve suonare, inoltre al Soup Studio vi sono chitarre Gretsch, batteria Ludwig, microfoni Neumann, tutti strumenti originali d’epoca. Poi in tutti i brani c’è la tastiera Eko Tiger che ho avuto in regalo da un amico che l’avrebbe buttata, io l’ho messa a posto e ora il suo sound è parte integrale della mia musica”.
Nel complesso il nuovo disco è un passo avanti rispetto ai già importanti risultati del suo predecessore, innanzitutto può contare su due accattivanti singoli usciti come video realizzati sempre in proprio e intitolati Liar (molto immediata e con un video che è un omaggio dichiarato a Elvis Presley) e Pumping In Your Chest (che in qualche modo richiama anche il periodo bubble gum di Giorgio Moroder, ben prima di Donna Summer e del successo interplanetario).
In Liar poi, c’è, ben inserita tra le pieghe del tessuto musicale, una chitarra che suona molto George Harrison.
“I Beatles – continua The Shea – sono un punto fermo. Anche se non cerco di fare musica beatlesiana, in qualche modo la loro lezione fa sempre capolino”.
Il sound del gruppo spunta anche nell’ultima canzone del disco, Got To Get To, l’esplicita The Bombs è invece un atto d’accusa alla politica di Trump, mentre nel brano che chiude il lato A, Sundance, è evidente la passione dell’artista per il cinema western e per le colonne sonore di Ennio Morricone: fin dalle prime note è perfettamente intuibile la sensazione dell’andatura stanca del cavallo che va incontro al sole che tramonta.
Unico rammarico l’impossibilità di eseguire il disco dal vivo: “Suonando tutto da solo – conclude Othmar – avrei bisogno di una band, ma per questa musica ci vogliono musicisti che siano appieno dentro il mood di questo suono, a partire dal suono per arrivare al look!”.
Autore: Paolo Crazy Carnevale