“Papà, sembra estate!” Esclamava una bambina appena imboccato il Tappeinerweg, domenica scorsa. La mole del monte San Viglio soggiogava il sole e dipingeva già il tramonto sulla città del Passirio. Mentre camminavo ormai dal primo pomeriggio avevo la stessa sensazione: fa troppo caldo per essere appena la seconda decade di gennaio. Tanto piacevole goderselo, fare il pieno di vitamina D tra muretti, vigne, capre, polvere e profumi di fieno quanto assistere ad una primavera sontuosa che mostra i muscoli e una mancanza di timidezza quasi surreale. In cielo neanche una nuvola. La qualità dell’aria con quegli strati densi di smog, perennemente ammantati e ben visibili da ogni dove non mi hanno mai fatto così tanto apprezzare la mascherina. Perché chissà cosa c’è lì dentro, in quell’aria di polveri sottili, di fumi di comignoli, di gas di scarico: se a Seul e nelle più grandi metropoli planetarie questo scenario si ripete spesso durante l’anno, in cui ogni cittadino dimostra l’apprezzabile senso civico di indossarla, qui da noi fra le conche, le pareti e i dolci declivi non lo è affatto; a quando il prossimo cambio di circolazione per poter ritornare a respirare l’inverno? Nei boschi arsi, esposti a sud ovest, habitat di pini silvestre, cipressi, edera e dove i bozzi di processionaria iniziano a svilupparsi, in cui il bambù piantato da qualche proprietario sprovveduto ha oramai colonizzato l’equilibrio arborio di alcune fasce si sentono rumori tra le foglie secche del sottobosco: è un gatto bianco, sporcato di qualche macchia nerastra nella sua livrea, che va appostandosi sopra un lungo tronco caduto in cerca di una preda, un’arvicola probabilmente. In cielo volteggiano due poiane a cerchi concentrici fino a scomparire dietro Castel Tirolo.
In questo quadretto vi racconto la battaglia che ha messo a dura prova la mia pazienza e l’ordine nel BalconORTO. Ogni mattina trovavo sempre il balcone tutto sporco di terra; pensavo al favonio che le correnti settentrionali portano con sé, ma dopo il ripetersi di questa situazione, l’assenza notturna di forti raffiche e le deiezioni sulle piastrelle ho capito che si trattava di un merlo che aveva preso di mira il mio balcone. È iniziato l’appostamento, per dare un volto a questo volatile dispettoso: sicuramente un maschio visto il disordine che si trascinava dietro, bello panciuto e tozzo, nero come la pece e con un becco dal colore inusuale, più rossastro rispetto al vivido arancione: l’ho chiamato Rutilio. Dopo una accurata pulizia, ho coperto i vasi col tnt, in altri ho infilato degli stecchi di legno a mo’ di spuntoni e per ora, pare, che la tregua regga.
Autore: Donatello Vallotta