S.R.F.: affari di famiglia sul pentagramma

Dire che si tratta di un caso esclusivo non possiamo, nella nostra regione il primato spetta ancora agli Still Blind, storica formazione metal attiva tra anni ottanta e novanta, i cui componenti erano tre fratelli, cosa che li ha consacrati come prima band a conduzione familiare della regione. Il caso del trio S.R.F. però è altrettanto degno di nota, visto che a comporlo sono un padre e due figli. La sigla S.R.F. indica le iniziali dei loro nomi: Francesco, Ricky, Stefano. Il cognome è Gobbo, ma per quanto riguarda il padre, bisogna dire che per le sue produzioni artistiche ha sempre usato nomi d’arte, dal Ricky Strehler dei suoi esordi come cantautore al Chris Taylor della fase pop dance.

Dire che si tratta di un caso esclusivo non possiamo perchè nella nostra regione il primato spetta ancora agli Still Blind, storica formazione metal attiva tra gli anni ottanta e novanta, i cui componenti erano tre fratelli, cosa che li ha consacrati come prima band a conduzione familiare della regione. Il caso del trio S.R.F. però è altrettanto degno di nota, visto che a comporlo sono un padre e due figli.
La sigla S.R.F. indica le iniziali dei loro nomi: Francesco, Ricky, Stefano.
Il cognome è Gobbo, ma per quanto riguarda il padre, bisogna dire che per le sue produzioni artistiche ha sempre usato nomi d’arte, dal Ricky Strehler dei suoi esordi come cantautore al Chris Taylor della fase pop dance.
“Questa nuova, emozionante avventura musicale – è papà Ricky a parlare – è cominciata poco più di un anno fa quando mio figlio Francesco, che è batterista, ma anche compositore, mi ha spedito una traccia su cui stava lavorando per chiedermi di aiutarlo a completarla. Mi ha spiegato che tipo di cosa voleva realizzare e così ci ho messo mano e poi gliel’ho rimandato in Toscana, dove lui abita. Francesco mi ha risposto che avevo perfettamente capito dove desiderava che portassi la sua idea di partenza. Ora il titolo finale del brano è Haus der Kraut ed è diventato un misto tra elettronica e techno; in realtà non mi piace definire la musica, ma è per rendere l’idea… Siccome il risultato non era male ho cominciato a covare di farlo diventare qualcosa di più che non una sola composizione, abbiamo così coinvolto anche Stefano, l’altro mio figlio, che ha studiato chitarra e pianoforte”.
A questo punto però, forte dei suoi contatti presso le case discografiche specializzate che Ricky aveva bazzicato sia come artista che come addetto ai lavori, decide di fare ascoltare il lavoro fatto con Francesco, suscitando l’interesse di più d’una label milanese, con il verdetto che se a quel pezzo fossero stati capaci di aggiungerne altri nove se ne sarebbe potuto fare un disco. Ovviamente a questo punto c’è stata una riunione di famiglia per decidere se fosse il caso di continuare a battere questa pista.
“Francesco e Stefano – prosegue Gobbo – si sono dichiarati possibilisti, senza montarsi alla testa. Mi hanno detto: ma sì papà, perché non provarci, se sono rose fioriranno. Io a questo punto ho scritto il secondo brano e l’ho mandato a loro, ciascuno ci ha messo del suo e Stefano nel frattempo ha mandato una terza composizione e siamo andati avanti così, ciascuna canzone è partita da un singolo, ma poi è diventata un lavoro di gruppo che andava a completarsi coi suggerimenti e le idee degli altri. Quando però siamo arrivati al brano intitolato Corto circuito, ho avuto l’idea che ci sarebbe stato bene un sax ed ho coinvolto Sandro Miori, un vecchio amico bolzanino che da tempo sta a Vienna e fa il musicista di professione”.
Così il disco si è andato arricchendo di piccoli cameo importanti: Miori, oltre ad aver fatto parte per breve tempo, in anni pionieristici, della mitica Statale 17, ha suonato con artisti internazionali del calibro di Lee Konitz. La cosa ha preso mano e Miori ha finito per suonare anche in altri brani del disco dei Gobbo, sia col sax che col flauto traverso. Un altro importante bolzanino che appare nel disco è Diego Ruvidotti, storico componente della Stanza, che ora lavora a Milano e che ha prestato al progetto la sua tromba.
“Il disco è andato avanti pian piano – è sempre Ricky a parlare – rispettando i tempi e gli impegni di ciascuno, ci è voluto un anno per finire tutto, anche perché siamo tutti e tre un po’ schizzinosi e perfettini, certi brani li abbiamo ripresi in mano sei o sette volte in fase di missaggio… Tira un po’ più su questo, tira giù quello, per essere d’accordo tutti e tre. Non è tutto perfetto, qualche sbavatura c’è, ma era un peccato rinunciare a dei contributi esterni suonati dal vivo, come quelli del batterista trentino Alessandro Motta, e quindi abbiamo deciso di tenercele queste piccole imperfezioni. In fin dei conti volevamo che suonasse come un disco umano e non come una cosa artefatta”.
Il risultato ha varie sfaccettature, alcune più ardite, altre più facilmente assimilabili, come quando Ricky ripercorre – con gli adeguati aggiornamenti – le orme già battute negli anni ottanta, con atmosfere talvolta psichedeliche e spaziali, tal altra fortemente dance, tanto che il disco, in uscita in formato digitale il 18 febbraio (ma entro l’estate è atteso il CD fisico) col titolo di The Flame Is Burning, sulla piattaforma Juno Download è stato inserito nella categoria Experimental/Electronic.
E come ulteriore chicca, diremo che per la grafica di copertina del prodotto, il trio si è affidato a Damir Jellici, un altro bolzanino, ora di stanza a Verona e grafico professionista, che negli anni ottanta ha militato negli eclettici Gegia Miranda.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

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