Sulle tracce dei primi insediamenti nella Val d’Adige – da Castel Firmiano al Monte di Mezzo, da Castelfeder a Salorno – abbiamo scoperto che già nell’VIII millennio a.C., all’epoca dei cacciatori-raccoglitori dell’era postglaciale, la loro ubicazione doveva rispondere a precisi criteri “naturali” quali la sicurezza, la vicinanza a fonti idriche, l’accessibilità, l’esistenza di ripari e di particolari materiali (soprattutto litici). Non veniva trascurata neppure la bellezza dei luoghi e, potremmo ipotizzare, la loro prossimità alla sfera “magica” dell’uomo di quel tempo.
Per quanto riguarda la conca di Bolzano, i “villaggi” primordiali, stabili o stagionali, furono realizzati sulle soleggiate colline e sui terrazzamenti affacciati sul fondovalle dominato dai tre fiumi Adige, Isarco e Talvera. I gruppi che vi fecero capolino erano di provenienza trentino-veneta, in particolare del veronese e arrivarono in valle su due fronti: la catena della Mendola e la Val di Cembra. Non è del tutto chiaro invece se nella stagione fredda facessero ritorno ai luoghi di origine o stabilissero i propri campi nelle zone più temperate del territorio.
Uno sguardo dall’alto ci avrebbe mostrato un territorio fluviale-boschivo e in parte di prateria paludosa dall’imbocco della Val Sarentina e della Val d’Isarco lungo tutto l’asse dei fiumi Adige e Isarco fino a Salorno. Certamente quest’area si prestava, oltre alla tradizionale pesca al luccio ampiamente documentata, soprattutto ai bivacchi invernali. I dossi di Castel Firmiano, Guncina e Virgolo fino a Castelfeder e Favogna erano sicuramente punti di sosta per questi cacciatori preistorici. Ma in particolar luogo ha destato l’interesse degli studiosi il sito di S. Giacomo tra Bolzano e Laives, uno dei primi siti mesolitici rimasto attivo anche in epoca neolitica e, pare, perfino nella prima età del Rame (quella di Ötzi, per intendersi). Insomma, possiamo dire che sopra la chiesetta di San Giacomo fosse sorto il primo – o uno dei primissimi – insediamenti stabili della valle dell’Adige, dove i ritrovamenti documentano anche la transizione epocale e culturale dal tardo mesolitico al primo neolitico.
Se il mesolitico è caratterizzato dall’attività venatoria in altura, il neolitico porta con sé la rivoluzione agricola (coltivazione di orzo e grano, domesticazione di capre, pecore, suini e bovini) e, soprattutto, la comparsa della ceramica. La forma di insediamento si trasformò da campo in villaggio e per la prima volta nella sua storia l’uomo incominciò ad identificarsi con il territorio in cui viveva – e a difenderlo dagli estranei nelle forme che conosciamo.
Se oggi osserviamo la collina su cui si erge la chiesetta di S. Giacomo, non ci è facile cogliere il motivo di questa scelta. Una terreno impervio, dominato dalle impressionanti pareti rocciose di porfido rossastro. Probabilmente fu determinante la sua vicinanza al fondovalle, dove venivano praticate la pesca, la raccolta di frutti selvatici e la caccia ad animali come la lepre, il cinghiale, il tasso e il castoro. Nello stesso tempo, i siti di caccia in altura sotto il Corno Bianco e il Latemar erano raggiungibili in poche ore di cammino. Interessante è anche il fatto che questo sito appartato è stato utilizzato per moltissimo tempo e che diverse culture vi abbiano convissuto fino a fondersi l’una nell’altra.
Il sito si trova poco a nord della chiesa nei pressi di una fonte idrica. Gli scavi hanno portato alla luce, oltre a moltissime schegge di selce di epoca castelnoviana e sauveterriana, grattatoi, lame, troncature e microbulini. Le molte punte di frecce e una particolare resina utilizzata per incollare le punte alle frecce documentano l’intensa attività venatoria. Oltre ai frammenti di ceramica che già ci parlano dell’epoca agricola, di particolare interesse una pietra da macinazione color giallo ocra: utilizzata, si pensa, per la decorazione dei recipienti di argilla.
Autore: Reinhard Christanell