“Le guerre non scoppiano all’improvviso”

Per molti lo scoppio della guerra in Ucraina è stato un fulmine a ciel sereno, ovvero un doversi confrontare, ancora una volta, con morte e distruzione provocate da uomini contro uomini, stati contro stati. Per cercare di capire quello che sta succedendo abbiamo intervistato il prof. Stefano Petrungaro, un bolzanino che insegna all’Università di Venezia e che da sempre si occupa a livello storico dell’Est Europa e delle sue inquietudini geopolitiche, su cui ha scritto diversi libri.

Lei insegna storia dell’Europa Orientale. Si è occupato di rivolte contadine asburgiche, di marginali sociali, ma soprattutto dei numerosi conflitti e nazionalismi che caratterizzano i Balcani e l’Est Europa. Che idea si è fatta dei motivi che hanno portato all’invasione russa in Ucraina? Molti si sono detti sorpresi, ma è davvero così?
Le guerre non scoppiano mai dal giorno alla notte, perché richiedono lunghi e attenti preparativi, a partire dalla predisposizione degli armamenti e dell’opinione pubblica. È questo anche il caso del conflitto in corso: sono anni che Putin lancia segnali in tal senso, a parole, come nei fatti. Il progetto è quello di autocelebrarsi come colui che ha riparato il torto subito dalla Russia al momento della dissoluzione dell’Unione sovietica, quando perse il controllo sugli ampi territori di alcuni ex paesi satelliti. L’Ucraina, poi, occupa tradizionalmente un posto particolare nel pensiero nazionalista russo.
Ciononostante, che Putin si sarebbe deciso a portare un attacco militare proprio con queste modalità, non era scontato. Così come non lo era l’andamento del conflitto. D’altronde, la conoscenza del contesto aiuta senz’altro a capire, ma non deve portare a un approccio deterministico, che spiega tutto come conseguenze automatiche delle premesse. Occorre piuttosto lasciar spazio alle congiunture, all’imprevisto, al caso, e anche alle sorprese. E chissà quali ci riserverà il prossimo futuro.

Quando dall’Italia pensiamo all’Europa dell’Est facciamo ancora fatica a definirne i contorni. Le divisioni che hanno caratterizzato la guerra fredda pesano ancora, evidentemente. Specie per quanto riguarda il confine orientale, che è sempre apparso “mobile”. Storicamente qual è il vero rapporto dell’Ucraina con l’Europa?
L’Ucraina è parte integrante di quello spazio che si usa definire europeo. Che sia difficile tracciarne i confini, come giustamente notava, è del tutto inevitabile, perché quei confini non esistono in natura, non vanno semplicemente individuati e riconosciuti, ma sono mere costruzioni sociali. È per questo che i confini, quello europeo-orientale incluso, sono “mobili”: perché dipendono dai mutevoli rapporti di forza politici, nonché dalle mappe mentali e culturali che alimentano e legittimano quei rapporti. Da un punto di vista storico, non è particolarmente originale far presente che i legami culturali, commerciali, economici di lungo periodo delle regioni ucraine sono strettissimi non solo con l’impero zarista, ma anche con quello ottomano, asburgico, con il mondo mediterraneo e oltre. Forse è più interessante ragionare sul piano delle rappresentazioni e dei discorsi: gli ucraini vengono percepiti come europei, la guerra che lì ha luogo è avvertita come qualcosa che ci riguarda, e non solo a causa di una prossimità geografica e nemmeno solo per via della possibilità (quanto realistica, sarebbe da discutere) di un allargamento del conflitto. In gioco ci sono proprio quelle mappe mentali che costituiscono le identità collettive, un “noi” che include gli ucraini, e che sta determinando anche i modi della reazione al conflitto e dell’accoglienza ai profughi, dimostrando ancora una volta l’eurocentrismo e il razzismo che connota gli atteggiamenti delle società europee nei riguardi di altri conflitti e flussi di profughi.

Quando gli analisti cercano di spiegarci quanto sta avvenendo in Ucraina, un elemento chiave è sempre rappresentato dai nazionalismi. è un meccanismo che in Alto Adige conosciamo, ma in un grande paese come l’Ucraina naturalmente la situazione anche da questo punto di vista è molto più complessa. è possibile spiegare, in poche parole, in cosa differiscono i nazionalismi dell’Europa dell’Est da quelli “nostri”, ovvero italiano e sudtirolese?
In poche parole: in nulla. Ma la domanda è importante, perché rimanda a una tradizione di pensiero che individua una presunta dicotomia tra i nazionalismi europeo-occidentali e quelli europeo-orientali, “civici” (ossia democratici, inclusivi e in una parola: “buoni”) gli uni, “etnici” (e violenti e intolleranti; in una parola: “cattivi”) gli altri. Ma non è così. Uno sguardo attento e privo di pregiudizi noterà elementi “civici” ed “etnici” in ogni forma di patriottismo e nazionalismo.

La Russia è un macrocosmo con il quale negli ultimi tre decenni l’Europa e l’Occidente hanno avviato un dialogo e una collaborazione, che in gran parte ha anche dato frutti positivi, soprattutto dal punto di vista economico. In che misura e a quali condizioni secondo lei la Russia nel prossimo futuro troverà il modo di relazionarsi con la propria parte di anima intrinsecamente e storicamente europea?
Effettivamente, prima di parlare russo l’aristocrazia dell’Impero zarista parlava francese. Successivamente, nel corso dell’Ottocento, sono sorti dei filoni di pensiero contrapposti rispetto al rapporto che la Russia moderna avrebbe dovuto intrattenere con l’Europa occidentale: secondo gli uni, detti “occidentalisti”, ci si poteva e doveva ispirare a certi sviluppi sociali e politici occidentali, mentre altri, detti “slavofili”, erano piuttosto rivolti al recupero dell’“originaria” anima e cultura russa. Arricchisce il quadro il fatto che già l’impero zarista, poi anche l’URSS e oggi la Russia post-sovietica, contemplino amplissimi territori asiatici, e non è un caso se si sia sviluppato un ulteriore filone di pensiero, identitario e politico-economico, detto “eurasiatico”, che complica il quadro dei rapporti tra Russia e paesi occidentali. Cosa succederà di preciso in futuro non lo sappiamo, ma la società russa, le sue istituzioni culturali e quelle economiche, non vogliono e non possono isolarsi dall’Europa. Anche per questo è necessario porre fine al conflitto e ragionare in termini radicalmente diversi, ossia nei termini del rispetto reciproco e della convivenza. L’alternativa è quella della distruzione reciproca, come drammaticamente testimoniano le immagini delle rovine, del passato come quelle attuali.

Autore: Luca Sticcotti

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