Quando parliamo dei secoli successivi alla caduta dell’impero romano d’occidente (476) e della Völkerwanderung germanica (invasione barbarica), dobbiamo tenere conto che la documentazione riguardante la nostra regione è davvero scarsissima.
Gli archivi trentini sul periodo precedente l’anno 1000 sono praticamente vuoti e pochissime sono anche le testimonianze dirette, se si esclude quella di Paolo Diacono e della sua Historia Longobardorum basata sui racconti di Secondo di Non.
Non a caso si parla di un periodo “grigio”.
Eppure, la presenza di Longobardi e Bavari, di Goti e di Franchi ha lasciato segni profondi nella nostra terra: segni che però sono difficili da leggere e da interpretare.
Il territorio longobardo, compreso in un ducato con sede a Trento (guidato dallo storico dux Evin), ricalcava più o meno quello dell’antico municipium trentino di stampo romano, che a nord aveva il suo confine “naturale” alle porte della località di Bolzano.
Laives, che si trovava proprio sulla linea di quella frontiera – a volte di qua, a volte di là – in epoca romana dev’essere stata poca cosa se non, come molti altri paesi “retici” devastati nel 15 a.C. da Druso, come avamposto militare a presidio della strada e soprattutto dei vicini confini.
I Longobardi, saliti fino a Trento e poi a Salorno, da dove tentarono ripetute sortite in tutta la valle dell’Adige fino a Merano, subentrarono a pieno titolo nell’organizzazione territoriale romana, e ciò anche per quel che concerne le strutture militari di confine.
Ora è evidente che se l’ipotetico confine correva – certo non in modo lineare, perché gli antichi confini erano quanto di più contorto e a volte incoerente si potesse immaginare – tra il Virgolo, San Giacomo (Unterau) e lo stesso paese di Laives sulla sponda sinistra dell’Adige, per poi attraversare la vallata (Kaiserau) in direzione di Castel Firmiano/Formigar, vi devono essere tracce di vecchie postazioni militari di confine risalebtu a quell’epoca.
Infatti nelle campagne tra San Giacomo e Laives esiste una vecchia torre di guardia sull’antico tracciato della strada pedemontana, la cosiddetta torre nella Dinzelleiten.
Si tratta a tutta evidenza di una torre appartenente ad un sistema di difesa militare e di presidio del confine.
E proprio lungo i sentieri che da San Giacomo e il Virgolo conducono al Colle e quindi a Nova (non ancora divisa in Ponente e Levante, ma certamente compresa in territorio longobardo, come dimostra il toponimo Manee che contraddistingue un quartiere del paese) deve essersi trovato il vecchio confine tra ducato di Trento e contea di Bolzano.
E sopra l’abitato Seit è la toponomastica a indicarci un posto di confine molto importante presso la Schneiderwiese.
Il nome suona assai singolare, in quanto è evidente che nessun sarto/Schneider si sia mai trovato in quel luogo disperso tra i boschi.
Sembra invece che esso derivi dal termine longobardo “snaida”, che equivale a “segno di confine nel bosco”. Ciò è abbastanza certo, in quanto nel famoso editto di Rotari (una sorta di codice legislativo), si dice espressamente “signa nova id est ticlatura aut snaida in silva”. Snaida è poi stato tedeschizzato in Schneide e come tale appare in molti toponimi nel vecchio territorio longobardo, mentre è del tutto sconosciuto in quello bavaro.
D’altronde anche Signato sul Renon deriva da snaida, essendo signaida la forma romanizzata di snaida.
Lo stesso nome del paese di Seit potrebbe essere una deformazione del termine longobardo Waita, che significa posto di guardia.
A Laives, in località Reif, all’imbocco della Vallarsa, potrebbe essersi trovato un altro posto di guardia romano-longobardo: infatti il nome “Reif”, nel periodo medievale attribuito soprattutto ai depositi di legname, potrebbe derivare da ripuarius, posto di guardia sulla riva del rio o a presidio di un ponte.
Autore: Reinhard Christanell