La transumanza in Bassa Atesina

Nel Basso Medioevo, che equivale un po’ alla nostra infanzia storica, l’odierno Alto Adige-Südtirol, non ancora contea del Tirolo, era chiamato “Land an der Etsch und im Gebirge”, Terra all’Adige e nei monti. L’Adige rappresentava un elemento geografico ed economico – soprattutto come primaria via di comunicazione – determinante di questo territorio incuneato tra Pianura Padana e Alpi. 

Ma se un giorno ci svegliassimo nell’XI o XII secolo, faremmo fatica a riconoscere la valle dell’Adige. Non solo il grande fiume seguiva un altro corso ma anche l’ambiente circostante era completamente diverso. A seconda della stagione, l’intero fondovalle era inondato. Una fitta foresta fluviale, paludi, laghi e isole (insulae e ischie, il cui ricordo è conservato in numerosi microtoponimi) si susseguivano tra il basso Trentino e la conca di Bolzano. Il paese di Cortina sorge ancora su una di queste isole in mezzo al vecchio letto del fiume e un tempo, nei periodi di piena, poteva essere raggiunto solo in barca. Nel 1786 il geografo francese Albanis Beaumont descrive un paesaggio fluviale in cui il “confine tra la terraferma e l’acqua è impreciso e il tratto dominante sono le zone umide, le paludi, gli acquitrini, i terreni stagionalmente alluvionati e i canneti”. 

I terreni adibiti alla coltivazione di cereali o legumi erano pochi e perciò molto preziosi. Inoltre, l’intera valle era da secoli proprietà “collettiva” vescovile destinata prevalentemente a pascolo. Grazie alle prime bonifiche effettuate a partire dal XIII secolo e alle successive lottizzazioni, molti terreni passarono in mano privata. Erano soprattutto gli aristocratici e gli enti religiosi ad accaparrarsi quelli migliori per poi cederli in affitto ai contadini e coloni. 

Da molto tempo i terreni incolti erano tradizionalmente occupati, soprattutto in inverno e primavera, dalle greggi di ovini provenienti dalle valli di Fiemme e Fassa, che vantavano su di essi antichi diritti d’uso e privilegi. La popolazione del fondovalle non vedeva di buon occhio questa transumanza di centinaia di pecore ma questa veniva tollerata poiché portava anche un po’ di benessere. La tassa che i “pegorari” dovevano pagare al vescovo o agli altri eventi diritto si chiamava herbaticum. 

In verità i fiemmesi e i fassani facevano risalire il loro diritto di pascolo e di passaggio a tempi antichissimi, e precisamente all’epoca di San Vigilio. Ancora un atto notarile del XII secolo stabilì che i pastori “antiquitus habebant et noviter acquisierant” il diritto. L’herbaticum riguardava ogni “pegora que venit ad erbaticum”.

Numerosi furono i conflitti e le controversie giudiziarie tra i proprietari dei terreni e i pastori fiemmesi e fassani. Già nel 1247 il comune di Caldaro intentò causa ai “pegorari” ma dovette soccombere completamente: il giudice stabilì che i pastori avevano il diritto di pascolare da Natale a S. Giorgio (23 aprile) nei terreni “tam in comuni quan in diviso” (pubblici e privati), successivamente fino a San Pancrazio (12 maggio) solo sui terreni pubblici. Nel XIV secolo, il conte del Tirolo Enrico rinnovò tale diritto e successivamente vi furono altri pronunciamenti che concedettero il diritto d’uso ai fiemmesi per terreni nei comuni di Caldaro, Termeno, Ora, Egna, Bronzolo e Cortaccia, Terlano. Settequerce, Castelfirmiano e Gries erano in uso ai fassani. Questi ultimi si videro contestare il diritto di passaggio dai comuni di Nova Levante, Collepietra e Cardano ma anche in questo caso ottennero ragione. Nel 1462 il comune di Trento emanò un decreto che stabiliva che “nessun pegoraro” andasse “per prati ne champi con pegore” al di fuori dei periodi stabiliti. Per i contravventori, la pena era di 25 lire “de bona moneda”.

Dopo la regolazione dell’Adige, le controversie tra proprietari dei terreni e pastori divennero sempre più frequenti. Le pecore devastavano i campi coltivati e danneggiavano seriamente le colture, in particolare le vigne. Nel 1886 fu istituita un’apposita commissione governativa per risolvere l’annosa questione e “riacquistare” dai pastori di Fiemme e Fassa i vecchi privilegi. In effetti, tutti comuni interessati, con l’eccezione di Ora e Bronzolo, riuscirono ad accordarsi con i pastori e li indennizzarono con un Gulden per ogni “Starland”, ossia 720 metri quadri. Invece i terreni di Ora e Bronzolo rimasero “in mano” alle pecore nel periodo dal 27 marzo al 5 maggio di ogni anno, pascolando 5 giorni a Ora e due a Bronzolo. Di notte dovevano essere condotte nelle stalle di Ora. Le pratiche per abolire la servitù vennero riprese anche da questi due comuni nel 1912 ma solo nel 1927 il Tribunale di Trento sancì la definitiva “espulsione” dei pastori fiemmesi e fassani dai terreni della Bassa Atesina contro un corrispettivo di 66,60 Lire ogni Starland. 

Venne così a cessare l’antichissima usanza della transumanza invernale dei pastori nella valle dell’Adige ed iniziò lo sfruttamento “moderno” dei terreni bonificati con impianti sempre più intensi di alberi da frutto. Anche il paesaggio mutò profondamente e l’idilliaca valle si trasformò in un corridoio di transito tra l’Europa settentrionale e quella meridionale.

Autore: Reinhard Christanell

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