Bolzano, con tutta l’offerta musicale e culturale che le si rovescia addosso ogni anno, non è propriamente una città “friendly” nei confronti della musica giovane: gli operatori del settore (Musica Blu, Pippo.Stage, fino alla rinata Liederszene 2.0) si inventano situazioni al limite del possibile per offrire iniziative appetibili e valide, ma quello che è sempre mancato e continua a mancare sono degli spazi dedicati.
Da parte delle amministrazioni sembra non esserci alcun interesse in questo senso, pensiamo a strutture come il defunto Ku.Bo, pensiamo all’Ex Novo Masetti, letteralmente ucciso dalla Provincia per dare spazio ad una nuova struttura che non è mai decollata come avrebbe dovuto.
La colpa però non va del tutto attribuita alla politica. Anche il pubblico ha le sue belle responsabilità. Ma non è sempre stato così, per quanto riguarda gli spettatori.
Vorremmo qui concentrarci in particolare sulla musica giovane, quella suonata e fruita da ragazzi tra i sedici e i trent’anni, età fatidica, secondo un adagio dei ragazzi degli anni sessanta, oltre la quale non si era più credibili o affidabili agli occhi dei più giovani.
Negli anni sessanta le band bolzanine potevano contare su un pubblico di coetanei e coetanee davvero robusto, i complessini avevano la loro tifoseria e venivano portati in palmo di mano, sia che si esibissero ad un cosiddetto tè danzante, sia che fosse un concerto propriamente detto.
Negli anni settanta le band avevano cominciato ad essere un po’ manager di sé stesse, anche in virtù del fatto che la fame di eventi era sempre più forte: i gruppi stranieri disertavano l’Italia perché imperversavano gli autoriduttori, di artisti nazionali a Bolzano ne arrivavano davvero pochi, il che lasciava spazio all’inventiva delle band che si organizzavano veri e propri eventi. Un concerto organizzato a Termeno dall’associazione Admiral in un lunedì di Pasqua riuscì a convogliare presso la sala parrocchiale del paese quattro gruppi: Artificial Joy, Anonym, Mad Company e Temple Caravan. Si aspettavano un pubblico di duecento persone, invece ne arrivarono seicento! Ed erano ragazzi che proponevano musica originale. Negli anni ottanta ci sono state kermesse come l’Altrockio e nei novanta i concorsi come Primo Palco, ma oggi?
Numeri del genere le band se li sognano: ma ciò non vale per chi fa musica altrui, che si tratti di generiche cover band, di gruppi specializzati in repertori anni ’80 o di tributi ad un solo musicista.
Ci sono però i “like” di facebook, youtube, instagram: la musica dei ragazzi arriva a molte più persone, è vero, ma quanto valgono?
Non molto secondo noi. Cantautori e band postano un video, nel giro di poco hanno centinaia, a volte migliaia di “mi piace”, ma chi ascolta le canzoni fino in fondo? E quelli che mettono il pollice in su o il cuoricino vicino al post, dove sono quando i ragazzi si esibiscono dal vivo davanti ad un pubblico sparuto?
Probabilmente sono davanti al monitor del PC o peggio, davanti allo schermo dell’i-phone a mettere distrattamente altri cuoricini a canzoni ascoltate forse fino a metà.
Il discorso ovviamente non vale per tutti, ci sono band come la Homeless e gli Shanti Powa che il seguito ce l’hanno davvero, ma è anche vero che loro non sono più tanto ragazzini.
Le scuole di musica sfornano ogni anno giovani talenti, molto preparati, molto tecnici, molto bravi. La paura è che un giorno tutto questo talento rimanga lì ad appannaggio di pochi o di nessuno, fine a sé stesso, senza un pubblico che ne possa fruire. Uno spreco dunque.
Che merita una riflessione, sia da parte dei giovani musicisti, che dei loro coetanei, che delle amministrazioni.
Autore: Paolo Crazy Carnevale