Insieme all’avvocato Josef Noldin di Salorno, la maestra Angela Nikoletti “incarnò” la resistenza più tenace e irremovibile al regime fascista in Bassa Atesina. Una resistenza personale, quasi fisica, distante da quella prettamente politica. Il suo caparbio “no”, fedele ad un ideale in quel momento storico irrealizzabile, le costò la vita. Innamorata del vecchio Tirolo unito, uscito irrimediabilmente sconfitto e dilaniato dalla prima guerra mondiale, Angela Nikoletti condusse una strenua battaglia per l’insegnamento nella propria madrelingua fino alla morte, che sopravvenne la sera del 30 ottobre 1930.
Aveva 25 anni, essendo nata il 31 maggio 1905 a Magrè. Il padre, bracciante, a stento riusciva a mantenere la propria famiglia. Angela finì per trasferirsi nella casa dell’anziano nonno a Cortaccia, che divenne il “suo” paese. Nel 1921 si trasferì per breve tempo a Terlano per sostenere nel lavoro domestico una zia. Poi nel 1922 superò l’esame di ammissione alla scuola magistrale di Zams in Tirolo. Il primo anno trascorse serenamente, poi, dopo la vacanza “più bella della mia vita” a Favogna di Sopra, iniziarono i problemi. Le fu ritirato il passaporto, e Zams divenne una meta irraggiungibile. Scrive nel suo diario: “Nessuno può oltrepassare il confine del Brennero per motivi di studio; devo rimanere a casa e la mia disperazione è grande”.
Dopo un anno di attesa, riuscì a completare gli studi a Zams e nel 1926 ottenne il diploma di maturità. Le fu offerto un posto di educatrice in una famiglia benestante ma, annota nel diario, “con gioia mi sono impegnata ad impartire lezioni di tedesco ai bambini poveri del paese”. Per quasi un anno proseguì in questa attività clandestina e certi giorni anche 30 bambini si ritrovarono nella cucina di casa sua.
L’11 maggio 1927 le fu ordinato di presentarsi al podestà che senza giri di parole le intimò di interrompere immediatamente le sue lezioni private. Chiese il motivo del divieto e le fu risposto che la sua attività era considerata una manifestazione sediziosa che comportava la pena dell’arresto. Angela era fuori di se, anche perché il podestà Ernesto De Varda era stato un ufficiale dei Kaiserjäger passato ai fascisti dopo la guerra. De Varda non era neppure il suo vero cognome, in realtà la famiglia si chiamava Varda von Warthof. Sua sorella Roma de Varda era insegnante di italiano a Bolzano e amava farsi chiamare “madre dei fascisti”. La discussione tra i due fu virulenta e il podestà la concluse con le parole “con lei bisogna farla finita”. E così fu.
Angela non si lasciò intimidire dal “traditore a cui non porto nessun rispetto” e continuò a impartire le sue lezioni private fino al 14 maggio. Una sera stava accompagnando a casa un gruppetto di bambini quado sopraggiunse una carrozza. Alcuni carabinieri la scaraventarono a terra e quindi la costrinsero a seguirli. Il podestà osservò divertito la cattura della sua “nemica”. La portarono a Termeno dove trascorse la prima notte in guardina. Aveva 22 anni. Il giorno seguente la trasferirono a Egna, dove rimase dal 15 al 19 maggio. Pane e acqua erano il suo cibo. Il 19 maggio Angela Nikoletti fu condannata a 30 giorni di arresto, 5 anni di sorveglianza e allontanamento forzato dal comune di Cortaccia.
Iniziò una vita semiclandestina, spostandosi da un paese all’altro. Il podestà continuò a seguirla e perseguitarla e in breve tempo la giovane maestra si ammalò gravemente ai polmoni. Rientrò a Cortaccia di nascosto e spesso si rifugiava nei boschi sopra il paese. Il podestà la trovò e la ricondusse in paese intimandole di allontanarsi immediatamente dal territorio comunale. Solo grazie all’intervento del maresciallo dei carabinieri, che da quel momento entrò in conflitto con il podestà, le fu permesso di soggiornare presso una zia fino alla guarigione. In realtà le sue condizioni di salute peggiorarono repentinamente e nell’ottobre 1927 fu ricoverata all’ospedale di Bolzano. Vi rimase fino al 14 febbraio 1928. La sua convalescenza durò fino al 1930 quando il 30 ottobre non sopportò più le pene della malattia e si lasciò morire. “Piano piano la rassegnazione si è impadronita di me”, scrive nel suo diario pochi giorni prima di morire. “Aspetto e aspetto – ma non la salute e la felicità: la morte”.
Autore: Reinhard Christanell