Marco Delladio e Matteo Rossetto recentemente hanno dato alle stampe un EP solido di puro rock venato di blues, il cui titolo è Underwater Blues.
Per molti il rock’n’roll (in senso lato) è un genere musicale alla frutta, senza nulla da dire; basti pensare che Sting già nel 1990 o giù di lì lo aveva dichiarato definitivamente morto. Il DJ trentino Agostino Carollo, nello stesso periodo andava predicando che il nuovo rock era diventato la techno. Sono trascorsi trent’anni, eppure il rock’n’roll non accenna a spirare. Altre correnti musicali hanno smesso di esistere e – se non sono proprio morte – sono senz’altro cadute nel dimenticatoio, perdendo smalto e credibilità. Il rock’n’roll no, perché per lì è una questione di spirito; finché ci saranno ragazzi che avranno voglia di imbracciare una chitarra elettrica e rullare sui tamburi, il rock continuerà ad esserci. Chiaramente mancherà lo spirito di ribellione che era stato alla base della sua nascita, ma quello probabilmente si era affievolito già quando Elvis Presley finì sotto le sgrinfie del pessimo colonnello Parker, firmando il contratto con la major RCA.
Due che se ne infischiano totalmente delle dichiarazioni sulla presunta morte del rock’n’roll sono sicuramente Marco Delladio e Matteo Rossetto, distanti anagraficamente circa una generazione, ma vicini nella scelta della musica da suonare. Devoto al verbo rock il primo, fin da quando coi fratelli e altri tre amici aveva dato vita a una cover band dei Rolling Stones, rivelatosi poi talentuoso autore di canzoni pop-rock in anni recenti, più vicino alle sonorità del rock sudista il secondo. I due hanno dato alle stampe nelle scorse settimane un EP solido di puro rock venato di blues. Il sodalizio tra Rossetto e Delladio è di lunga data, Matteo aveva suonato nei due dischi solisti di Marco, fungendo anche da direttore artistico, ora per la prima volta Rossetto diventa primattore o quantomeno appare in copertina alla pari dell’amico e socio. “Non è stato semplice – ci racconta Marco Delladio –, Matteo ha sempre preferito fare il comprimario ed ho dovuto faticare per convincerlo a entrare in prima persona nella nuova denominazione. Ora siamo la Delladio & Rossetto Band, a tutti gli effetti. Lui preferiva stare in secondo piano, così gli ho detto che ero stufo di essere solo io a figurare in cartellone o sulle copertine. È un musicista conosciuto ed apprezzato, era giusto che avesse il meritato riconoscimento: il fatto di stare sempre nelle retrovie era un po’ un autogol. Poi lui è determinante nella fase di arrangiamento delle canzoni. Prendi questo disco, è composto di cinque brani, tre dei quali erano già apparsi nei miei due dischi da solo, ma la veste è cambiata, il blues ha preso il posto del pop-rock originale, il suono si è fatto più americano, e di questo va reso merito a Matteo”.
Ed effettivamente, ascoltando Underwater Blues – questo il titolo dell’EP – la cosa si avverte pienamente. Il brano più riconoscibile è Take Me To The Station, nonostante il ritmo più rallentato: probabilmente i Rolling Stones venderebbero nuovamente l’anima al diavolo per avere un riff ed una canzone così. In altre parti del disco, come l’iniziale You Are Clearly Not A Saint e soprattutto l’unico inedito del disco, We Left Our Troubles Behind, il rock-blues assume caratteristiche degne della miglior scuola sudista. L’unica cover del disco è un brano tradizionale mutuato, guarda caso, dalla versione che ne facevano i Rolling Stones ad inizio carriera. “Per registralo ci siamo recati in uno studio veronese – prosegue Delladio – la band doveva essere quella con cui suoniamo dal vivo, Andreas Marmsoler al basso e Federico Groff alla batteria. Il giorno prima però Andreas ha avuto un imprevisto e, con lo studio prenotato non potevamo permetterci di annullare tutto, così per l’occasione gli è subentrato Flavio Zanon, che ha fatto un ottimo lavoro. Quello che ci interessava era fare un disco live, in studio certo, ma suonato come fosse dal vivo. Avevamo prenotato solo due giornate, e la mattinata della prima è andata via solo per sistemare gli strumenti e fare i suoni, poi abbiamo registrato i cinque brani uno dopo l’altro. Il secondo giorno io ho sovrainciso le parti vocali e Matteo quelle di chitarra solista. Ti assicuro che per fare cinque brani con questa tempistica bisogna davvero pedalare. Doveva essere quasi sempre buona la prima take. E il risultato è quello che alla fine volevamo, una cosa immediata, diretta, senza fronzoli”.
Autore: Paolo Crazy Carnevale