Quando pensiamo al penitenziario di Bolzano la prima cosa che ci viene in mente è il degrado della struttura, vera e propria vergogna per una provincia che da sempre si trova ai primi posti nelle classifiche della qualità della vita. Sta di fatto che, però, la casa circondariale del capoluogo si distingue per essere in Italia una delle strutture in cui ai detenuti viene riservata la maggiore attenzione, nell’ottica del reinserimento sociale. Lo dimostra il progetto innovativo Art of Freedom che coinvolge numerose realtà culturali del territorio e diversi volontari.
Il progetto Art of Freedom parte dalla difficoltà di fondo che vivono gli ex detenuti nel tentativo di abituarsi alla vita oltre le sbarre, poiché spesso durante la detenzione perdono ogni tipo di contatto con il mondo esterno, oltre che la propria capacità di interazione sociale e lavorativa.
Chi vuole provare a ricostruirsi un futuro deve inoltre fare i conti con uno stigma sociale difficilmente cancellabile.
Mauro di Vieste della Biblioteca Culture del Mondo spiega: “Il partner principale con il quale condividiamo questo percorso è Alpha Beta, che lavora principalmente con il carcere. La nostra biblioteca invece lavora soprattutto con Odós, il progetto per il reinserimento sociale di detenuti ed ex-detenuti della Caritas. Odós dà sicurezza a molti ragazzi che escono dal carcere, evita loro di finire per strada, dà loro un tetto e dei pasti, la possibilità di lavarsi, di formarsi, di mandare curriculum, e per loro piano piano riparte la vita.”
Che tipo di supporto date attraverso Art of Freedom?
L’idea di fondo è stata quella di avere un approccio prevalentemente culturale per il reinserimento di queste persone che presentano una fragilità sociale oggettiva. È così che, oltre alle esperienze su come si coltiva un orto o come si lavora in una ciclo officina, noi li accompagniamo in questo percorso, favorendo la loro partecipazione a spettacoli teatrali o a concerti di musica classica, ma anche a workshop che fanno loro capire le professioni tecniche che stanno dietro allo spettacolo dal vivo.”
Per loro non deve essere facile farsi accettare..
Molta della nostra attività si basa sulla mediazione culturale ultra decennale svolta sia in carcere che fuori. Grazie a questo lavoro – svolto in parte da Erjon Zeqo, in parte da altri colleghi – siamo riusciti ad abbattere questo muro iniziale di diffidenza, non ultimo attraverso la musica popolare suonata, che spesso è in grado di aprire porte e creare dialogo. Non va dimenticato infatti che ci presentiamo a persone che non ci conoscono e che vivono una situazione pesante.”
Come vede il ruolo della biblioteca in questo progetto?
Mi piace l’idea della biblioteca come luogo con più funzioni, in cui si realizzano relazioni che altrove non sarebbero possibili. L’idea che sta dietro ad Art of Freedom è quella di una biblioteca che collabora sia con il mondo della cultura che con il sistema della giustizia… Non è una cosa banale.
Per capire come funzionano i progetti teatrali dentro al carcere, abbiamo intervistato anche l’attrice Chiara Visca.
Qual è il suo ruolo all’interno di Art of Freedom?
Da gennaio tengo un laboratorio teatrale all’interno della casa circondariale di Bolzano. Ma ho anche avuto la fortuna di accompagnare i detenuti che si sono iscritti ai vari corsi offerti in collaborazione con il Teatro Stabile di Bolzano e quindi anche al laboratorio teatrale tenuto da Babilonia Teatri e a un corso di illuminotecnica tenuto da Denis Frisanco. Ero anche presente agli incontri significativi e importanti che i detenuti hanno avuto con attori famosi quali Stefano Accorsi e Rocco Papaleo.
Quali sono i vantaggi che ha un detenuto se partecipa a dei laboratori teatrali?
Il teatro aiuta sempre a esprimersi meglio, a conoscersi, a capire quali sono i propri punti di forza e le proprie debolezze e quindi a migliorare in termini di comunicazione. Può e deve anche divenire una sfida a lavorare in gruppo ascoltando gli altri, che è una cosa che forse in carcere non è così facile da provare tutti i giorni, nonostante la “pesante vicinanza” con altre persone. Grazie al teatro ognuno può scoprire un proprio talento a cui non ha mai dato peso, perché la vita di tutti i giorni non ci fa vedere queste piccole luci che abbiamo dentro, e invece il palcoscenico è un luogo giusto per farle brillare.
Che cosa si prova a lavorare nella casa circondariale?
Di recente sono state aperte delle aule in cui si può lavorare e in cui chi fa parte del corso viene accompagnato e poi la porta si chiude. Nel periodo precedente abbiamo invece lavorato nella chiesa, che si trova nella sezione delle celle, per cui succedeva che anche altri detenuti venivano a buttare un occhio, a salutare e anche a osservare quello che facevano i compagni.
Quando tu entri, accedi un po’ nell’intimità dei detenuti, perché quando percorri il corridoio, passi davanti alle celle che spesso sono aperte, ed è lì dove tutti trascorrono gran parte del loro tempo. Per cui secondo me ci vuole attenzione, rispetto, forse il sorriso e comunque la voglia di portar dentro qualcosa di diverso, di pulito e di bello. C’è anche la possibilità di stare ad ascoltare, ma chiaramente è un ambiente chiuso in cui i problemi pesano moltissimo sull’umore di tutti ed è facilissimo… contagiarsi. A volte si cambia l’energia, proponendo qualcosa di totalmente diverso che può essere una canzone o una lettura. Insomma: uno spunto ad andare per un momento, chiudendo gli occhi, da… un’altra parte.
Se la sente di tracciare un bilancio di quella che è stata la sua esperienza? Pensa che il progetto proseguirà?
Lo spero caldamente. Anzi spero che oltre a un seguito ci sia anche una crescita in questa direzione, perché per me è stato molto arricchente e ho visto veramente alcune cose cambiare. Ho ricevuto tanto nell’ascoltare solo alcune frasi o nel leggere quello che è stato scritto nei corsi di scrittura creativa come commento ad alcune cose che sono successe. Quello che è entrato in carcere quest’anno è stato un seme che potrebbe portare veramente a una grande crescita o un grande cambiamento nella vita delle persone.
Autore: Till Antonio Mola