Sono trascorsi ormai trentacinque anni dalla gloriosa epopea dei Liqid, una delle formazioni locali che ai suoi tempi fece parlare molto di sé ed era vista come “the next big thing in town”, per dirla come l’avrebbero definita gli inglesi, tradizionalmente sempre un passo avanti per quanto riguarda le novità in campo musicale. Per entrare nell’universo Liqid è necessario immedesimarsi in un tempo ormai lontano in cui a Bolzano e provincia erano in pochi davvero a cercare di fare qualcosa di diverso, più nell’ottica di certa new wave di matrice anglosassone che non in ambito prog, blues, hard rock (e a seguire heavy metal), generi che da noi sono sempre stati più seguiti e suonati.
Certo, c’erano in circolazione almeno un altro paio di band che in quegli facevano un discorso musicale differente, pensiamo ai Gegia Miranda e ad Anna e i Dentici, molto apprezzati ma sicuramente più underground. I Liqid erano nati dall’unione di alcuni personaggi che si erano già distinti abbondantemente nella prima metà del decennio: il chitarrista Gigi Mongelli che proveniva dai mitici Zot in cui nell’ultimo periodo aveva militato anche il batterista Mariano Keller (già con Hard Time Blues Band, Rockeller, Fraiso e molto altro), il cantante Luca Calò (Noisegate) e, entrambi già nei Trackl, Marco Dalle Luche (tastiere) e Mauro Cabassa (bassista).
“Mariano aveva una sala prove sotto la Speckstube in via Goethe – è Cabassa a raccontarci la storia del gruppo – e lì è iniziato tutto, solo dopo ci siamo trasferiti nella sala di via Zara. Il progetto ha richiesto molto tempo di assestamento prima che riuscissimo a presentarci in pubblico. Erano anni in cui a livello di strumentazione si sperimentava molto, si usavano tastiere, i primi strumenti midi, sequencer”.
La prima uscita in pubblico, secondo i ricordi del bassista (ma anche responsabile della parte elettronica insieme a Dalle Luche), dovrebbe essere stata il 23 marzo del 1988, quando i Liqid si esibirono come spalla dei Neon, band fiorentina di new wave in salsa italiana abbastanza in voga in quegli anni.
“Nel nostro DNA musicale – prosegue Cabassa – c’era un po’ tutto quello che girava in quegli anni a livello di new wave, dai Police ai Simple Minds, senza dimenticare i Japan. Naturalmente ognuno di noi ci aggiungeva poi le proprie influenze personali. La cosa funzionava bene perché comunque, dovunque andassimo a suonare c’era interesse da parte del pubblico”.
Le cose sembravano dover andare a gonfie vele per la formazione bolzanina, tanto che dopo lunghe selezioni i Liqid si assicurarono l’accesso alla finale italiana di un’importante concorso musicale indetto dalla Yamaha. Purtroppo ci mise lo zampino il destino e la chiamata alle armi del cantante portò sul palco milanese un gruppo monco, tutt’altro che la formazione che si era aggiudicata l’accesso a una finale che con ogni probabilità in altre circostanze avrebbe vinto. Questo portò ad una prima implosione dovuta ad una serie di intemperanze giovanili che solo il tempo ha parzialmente lenito.
“Per un po’ – aggiunge il bassista – abbiamo provato a ricompattarci. L’interesse per i Liqid era rimasto. I locali ci chiamavano ancora per suonare e la formazione fu completata col cantante trentino Franco Depedri. Non durò molto, ma nel 1989 partecipammo ad una rassegna importante organizzata dal Boston Bar di Trento, locale storico di quegli anni. La manifestazione si chiamava Festivalpub e nonostante non fossimo più i Liqid degli esordi, ci siamo aggiudicati la vittoria che consisteva nella registrazione di un vinile, un dodici pollici a quarantacinque giri. Ne venne fuori una cosa molto spartana, senza distribuzione, senza copertina. Noi eravamo comunque ancora provati dall’abbandono di Luca, per di più il tizio dello studio ci aveva detto che in un pomeriggio avremmo dovuto concludere, così abbiamo preparato tutto a casa, siamo andati in studio coi suoni midi e col sequencer, praticamente non abbiamo suonato nulla lì. Per non dire che era la prima volta che lavoravamo con tecnologie digitali, così il risultato è stato quel che è stato”.
Il disco fu stampato nudo e crudo. Oltre alla voce di Depedri, c’era quella di Monica Merz che tutto sommato creava un bell’effetto nell’alternarsi con quella maschile molto debitrice al David Bowie berlinese (Depedri è ancora in circolazione in Trentino e ha perseguito come cantante la sua passione per il Duca Bianco). Il disco finì sepolto in cantina e nessuno dei Liqid lo riascoltò più.
Autore: Paolo Crazy Carnevale