È di questi giorni la notizia che in Alabama è avvenuta la prima esecuzione mediante inalazione di azoto. Una forma di tortura, secondo le Nazioni Unite. Nel 2023, nei soli Stati Uniti sono state eseguite 24 condanne a morte. Altri 55 stati, tra cui Cina, India, Cuba, Iran e Giappone, permettono la pena capitale. Insomma, oltre la metà della popolazione mondiale è ancora esposta alla legge del taglione, che presso i popoli antichi prevedeva di infliggere all’autore di una lesione personale un’uguale lesione. In alcuni stati come la Nuova Zelanda, il Canada, l’Australia, il Regno Unito, la Norvegia, la Svezia e l’Olanda si sono intrapresi percorsi diversi, volti al riconoscimento della vittima del reato e alla responsabilizzazione “morale” del reo mediante una risoluzione mediata delle questioni derivanti dal reato.
In Italia la possibilità di accedere a programmi di giustizia riparativa è stata introdotta con la legge 150/2022. Dell’esperienza italiana si è parlato la sera del 24 gennaio nella sala di rappresentanza del Comune di Bolzano. Presente, accanto ai rappresentanti del Centro regionale per la giustizia riparativa, l’ex magistrato milanese Gherardo Colombo. “Che la pena, oltre ad essere proporzionata al reato e tesa alla rieducazione del condannato, non debba essere contraria al senso di umanità lo prevede la nostra Costituzione”, ha esordito Colombo. Insomma, è la società stessa a pretendere un sistema “punitivo” che miri al reinserimento del condannato e non alla pura vendetta.
Il dibattito sulla giustizia, spesso strumentalizzato dal mondo politico per garantirsi l’impunità, dev’essere incentrato sulla relazione che intercorre tra l’autore di un reato, la sua vittima e la comunità. Se seguiamo il filo rosso dell’etimologia, scopriamo che il termine deriva da iustus, che trae origine da jus, diritto. Jus contiene la radice yu o yug, che esprime il concetto di unire, legare insieme. Dalla stessa radice derivano anche le parole jugum, giogo, e jurare, legarsi con giuramento. L’eremita non ha bisogno di giustizia, se non di quella divina. Si capisce dunque che la giustizia è il collante di ogni comunità, ciò che permette lo svolgimento di una vita civile. Per assurdo, anche una giustizia “ingiusta” o amministrata da persone “ingiuste” come spesso è accaduto nella storia, svolge la medesima funzione. Nelle società “democratiche”, la giustizia si amministra nel nome del popolo e non dei potenti.
Nelle ore precedenti l’incontro, Gherardo Colombo ha visitato il carcere di Bolzano, notoriamente inadeguato e fatiscente. “Ciononostante”, ha affermato Antonella Valer del Centro regionale per la giustizia riparativa, ”è necessario non abbandonare l’argomento e, soprattutto, gli essere umani che compongono l’universo carcerario.”
Mediante gli strumenti introdotti dalla Riforma Cartabia, che agi artt. 42-67 disciplina la giustizia riparativa, l’ordinamento italiano permette, su base volontaria e gratuita, alle vittime e agli autori di reati, assistiti da mediatori, di avviare un percorso “riconciliativo” teso non alla “negazione del male fatto” ma alla riparazione dell’offesa mediante un risarcimento simbolico o materiale.
Gherardo Colombo ha quindi raccontato l’esperienza vissuta in Belgio, un paese che applica la giustizia riparativa da molti anni, da “55 magistrati che sono rimasti per un giorno rinchiusi in un carcere per potersi rendere conto di cosa significhi la detenzione e di ciò che segue la condanna. In un altro stato come la Norvegia – ha proseguito l’ex magistrato –, la pena massima applicata è di 22 anni e le carceri prevedono spazi adeguati affinché un detenuto, al di là della privazione della libertà personale, possa condurre una vita che rispetti la sua dignità di essere umano”.
Su questo punto Colombo è stato categorico: “Il male esiste e i reati sono il male ma la società non può rispondere semplicemente con altro male”. Sempre secondo Colombo, la carcerazione, se proprio non sia possibile trovare un altro modo di “punire” chi delinque, dovrebbe comunque limitarsi al periodo di pericolosità di un soggetto. Colombo ha anche ribadito il concetto che sta alla base delle sue affermazioni: come essere umani siamo tutti uguali, “io non sono più di te, io sono degno come te”.
Riguardo a esperienze di giustizia riparativa, l’ex magistrato ha raccontato un episodio di scippo perpetrato da due giovani ai danni di una donna anziana. Accettato un percorso di mediazione su base volontaria, “gli autori del reato si sono resi conto del male reale procurato alla vittima e hanno smesso di banalizzare il loro gesto”.
La giustizia riparativa può essere applicata in ogni stato e grado del processo. Per i minori, il percorso di mediazione può addirittura portare all’esclusione della condanna, per gli autori di reati non gravi alla sostituzione della pena. In altri casi sono previste delle attenuanti che abbattono la pena di un terzo anche in sede esecutiva.
Intensa anche l’attività del Centro regionale di giustizia riparativa, che opera dal 2004, illustrata da Antonella Valer. Al centro dell’attività dei mediatori, che hanno affrontato una sessantina di casi, vi sono soprattutto programmi di dialogo. Ai percorsi proposti dal RIRE (riparare relazioni), hanno aderito una novantina di persone. Significativa al riguardo l’esperienza di un ragazzo rom bolzanino, che è intervenuto di persona per raccontare la propria storia ed esperienza di giustizia riparativa.
COS’E’ LA GIUSTIZIA RIPARATIVA?
La giustizia riparativa rappresenta un orientamento innovativo che mira a risolvere i conflitti penali attraverso la mediazione e il ripristino delle relazioni danneggiate. Questo approccio è visto come un’alternativa al sistema tradizionale, concentrato sulla punizione, e favorisce la comprensione reciproca tra autore e vittima del reato. Sebbene ci siano sfide nell’implementare questo modello, molti ritengono che contribuisca a una società più equa e centrata sulla riparazione dei danni causati piuttosto che sulla retribuzione.
Tuttavia, esistono delle limitazioni, e alcuni reati particolarmente gravi o violenti sono esclusi dal processo di mediazione penale. Inoltre, la partecipazione ai percorsi di giustizia riparativa è sempre volontaria per entrambe le parti coinvolte. Se una delle parti non è disposta a partecipare o se la mediazione non riesce a raggiungere un accordo soddisfacente, il procedimento penale tradizionale può proseguire.
Autore: Reinhard Christanell