Sono trascorsi due anni da quando il bolzanino trapiantato a Osaka Davide Burattin – in arte Dropout – ci ha consegnato un disco composto da brevi colonne sonore strumentali per cortometraggi da lui stesso realizzati: il tema del disco era la memoria di un futuro distante e la dominante musicale era l’elettronica. Il nuovo disco del creativo bolzanino è invece cantato, minimale nella struttura, tratta della fine delle cose ed è figlio dell’urgenza di Burattin di dedicarsi alla musica, prendendo corpose pause dalla famiglia (che è stata comprensiva) e dal lavoro (nello stakanovista Giappone non deve essere stato semplice).
“Il disco precedente – ci spiega Davide – è stato di gestazione lunga e piuttosto certosina, la necessità adesso era invece diametralmente opposta, buttare fuori tutto il più presto e nel modo più autentico possibile. Un po’ come la differenza tra fotografie in teatro di posa e istantanee Polaroid, ecco. Il tutto infatti nasce in modo naturale in un dialogo tra chitarra classica e voce, la domanda è stata: da che luogo della mente proviene questa musica e con che parole la si può vestire? Il resto è stato sovrainciso immediatamente dopo o suonato da altri. Non c’è stata l’egida del metronomo e in particolare ho sentito come una repulsione al beat onnipresente e portante nella musica mainstream attuale, quindi raramente nel disco sono presenti batterie. Ho trovato infatti interessante, durante la produzione, l’alternarsi tra canzoni per così dire di getto, magari registrate su nastro proprio mentre stavano uscendo dalle mie mani e canzoni più regolari, più patinate. Diciamo che alcune stavano bene così come erano nate, altre invece sembravano pretendere di essere trasposte in bella copia”.
Il risultato è Sulla fine delle cose, un disco fresco fresco per ora disponibile solo in formato digitale, in cui come l’autore ci ha detto ci sono soprattutto la sua voce e la sua chitarra acustica, ma non mancano altri interventi: c’è Petra Dotti, del progetto Giardini di Pietra, che contribuisce al ritornello della riuscita Vibrano corde, uno dei due brani del disco risalenti a prima del lockdown, c’è poi Monica Primo che Davide ha conosciuto tramite Carmelo Giacchino, c’è il synth di Piero De Siena e dà una mano anche l’amico DJ Alessandro Signore; ma l’autore ha pescato anche tra le mura domestiche, ha coinvolto il figlio Daniele, i suoi compagni d’asilo e, soprattutto la moglie Luciana Cardi in Attica. Ci doveva essere anche Monika Callegaro, ma per motivi di sovrapposizione di impegni, la collaborazione non si è concretizzata ma è stata un’importante fonte di dialogo per l’autore durante e dopo la lavorazione.
“Da circa 20 anni non cantavo e scrivevo in italiano – ci spiega Burattin riguardo ai testi –, e probabilmente la necessità di comunicare in modo più diretto nella mia lingua madre qui è stata prioritaria. I testi sono molto personali, tanto che all’inizio non pensavo alla pubblicazione, se non che quegli amici che ascoltano le cose in anteprima mi hanno fatto notare che alla fine si tratta di tematiche piuttosto universali per tutti noi, personali ma non tutte strettamente biografiche, a volte è necessaria un po’ di fiction mutuata da storie a me vicine. La particolarità dei testi è di essere scritti su una metrica più anglosassone che italiana, ovvero basati perlopiù su parole bisillabiche o trisillabiche. Un esperimento inconscio dovuto ai miei ascolti più recenti che sono piuttosto internazionali, un po’ come è successo per la generazione Z, quella che usa andare a capo spezzando mentre canta per intenderci, che utilizza più o meno il cosiddetto enjambement, che personalmente poco mi entusiasma. L’alternativa quindi all’andare a capo, per la nostra lingua che è composta da pochissime bisillabe e trisillabe. Quindi per riassumere, visto che si tratta anch’essa di musica di urgenza, ecco come suonerebbe molto probabilmente la musica di tipo Trap se fosse cantata in modo meno prolisso, senza enjambement, senza Autotune, con della melodia, e con frasi che si collegano maggiormente l’una con l’altra.”
Alla fine chi ne esce vincitore sono le canzoni, proprio per il fatto di avere una melodia, di non avere l’Autotune, di non essere prolisse, con la modernità della loro genesi e con il fascino vintage dell’uso di strumenti tradizionali. Anche se l’elettronica continua a stare dietro l’angolo: “A dire la verità – conclude Davide – ancora non so ancora quale sarà la mia prossima mossa, ma sto giocando da un po’ con un campionatore molto particolare, creando nuovi suoni Dropout, e qualche nucleo di idea lo sto già sentendo sbocciare…”
Autore: Paolo Crazy Carnevale