Verde pubblico e verde privato

Com’è noto i patrimoni naturali più importanti di cui godiamo nel nostro territorio alpino sono due: l’acqua e il verde. 

In merito alla gestione idrica abbiamo fatto già in passato alcune riflessioni, domandandoci come ci dovremo muovere negli anni venturi per poter disporre, ancora, dell’acqua a noi necessaria per i consumi potabili, l’irrigazione in agricoltura e – dulcis in fundo – il tentativo di preservare la neve per il turismo invernale. Si tratta di un tema di strettissima attualità, visto che stiamo vivendo ormai come normalità in febbraio minime di temperatura nettamente al di sopra lo zero non solo nei fondovalle ma pure a 1500 metri di quota. Per non dire delle massime che ormai superano tranquillamente i 20 gradi a Bolzano, nella Valle dell’Adige e in Bassa Atesina, ma si tengono sopra i 10 gradi con continuità anche in prossimità delle stazioni a valle degli impianti di risalita. 

Del fabbisogno idrico con ogni probabilità torneremo a parlarne, vista l’imminenza della stagione più calda che quest’anno rischierà ancora una volta di superare i record finora registrati. 

In merito alla gestione del verde a mio avviso però un altro è il ragionamento che andrebbe fatto, e una volta per tutte. Siamo infatti stati abituati, finora, a pensare inesauribile il nostro patrimonio, anche se recentemente la tempesta Vaia e la piaga del bostrico sono valsi come come un campanello d’allarme. Forse allora è il momento che ci si fermi tutti a riflettere sull’importanza di cominciare a ripensare il nostro atteggiamento nei confronti del patrimonio boschivo, smettendo di ampliare ulteriormente gli attuali impianti di risalita viste le previsioni di cambiamento del clima che metteranno in difficoltà lo sci alpino negli anni venturi per lo meno fino ai 2.500 metri di quota.

Com’è noto, poi, il verde viene usualmente classificato anche come, pubblico, privato ed agricolo. 

Ecco: a mio avviso andrebbero organizzati quanto prima degli stati generali perché forse non ci possiamo più permettere di avere nei fondovalle un verde in larghissima parte monopolizzato da monocolture intensive, tra l’altro molto restie limitare l’uso dei persticidi, non solo a ridosso ma addirittura “nei” centri urbani. Insomma: non solo nel capoluogo ma specialmente in esso, urge ripensare al verde agricolo convertendone per lo meno una parte in verde pubblico e spazi per uno sviluppo urbano che dia prospettiva e respiro allo sviluppo complessivo e ordinato delle nostre comunità.

Autore: Luca Sticcotti

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