Unterland, territorio di confine tra due grandi aree linguistico-culturali, è da molto tempo sinonimo di “mescolanza” etnica o Mischkultur che dir si voglia. Se fino al XV secolo nella Bassa Atesina romanica e nella attigua zona di Mezzocorona e Lavis furono poste le basi per l’espansione dei coloni germanofoni, a partire dal XVI e XVII secolo la situazione si evolse in tutt’altra direzione. Dapprima prese il sopravvento la presenza di famiglie italiane nella fetta di Welschtirol a sud di Salorno, poi aumentò significativamente l’insediamento di persone originarie dalle valli trentine (asburgiche) anche in Bassa Atesina e Oltradige.
Ovviamente nei due territori la situazione presentò aspetti differenti che permangono fino ai giorni nostri. Le vecchie sedi giudiziarie di Appiano, Caldaro, Termeno e Cortaccia subirono l’aumento repentino della presenza italiana soprattutto grazie all’arrivo dei braccianti richiesti dal settore agricolo. Essi provenivano in gran parte dalla vicina Val di Non, all’epoca ricca di bocche da sfamare ma povera di risorse. Il fenomeno che si potrebbe definire la “discesa dei Nonesi” era noto in misura ridotta già qualche secolo prima, quando i contadini della Bassa accolsero a braccia aperte questa manodopera a basso costo.
Singolare il fatto che i laboriosi immigrati nel giro di una o due generazioni divennero essi stessi affittuari e liberi contadini, facendo di tutto per essere assimilati dalla comunità di lingua tedesca. Perciò a livello statistico la minoranza italiana nei comuni tra Appiano e Magrè era composta sempre e solo da coloro che erano appena arrivati in quei paesi, mentre tutti gli altri si erano perfettamente integrati nell’ambiente tedesco.
Nel 1835 Staffler parla di “sangue misto” a proposito degli abitanti della sede giudiziaria di Caldaro, come del resto testimoniato dai moltissimi cognomi italiani presenti ancora oggi nella comunità. Il censimento del 1880 e 1910 evidenziò una presenza italiana nei comuni dell’Oltradige che oscillava tra il 4 e l’8 per cento, dovuta soprattutto alla rapida assimilazione della manodopera nonesa impiegata in agricoltura. Tra il 1880 e il 1890 si registrò una vera e propria ondata di arrivi: ad Appiano i nuovi italiani passarono da 16 a 342, a Caldaro da 57 a 234.
Diversa la situazione a Vadena, dove Staffler parla di una comunità “totalmente italiana”. Ciò benché in origine Vadena fosse stato un comune prevalentemente tedesco. Dalla fine del XVIII secolo aumentò la presenza dei latifondisti e coloni trentini e, in misura minore, veneti. A quanto pare, fu il curato Pamheri di Baselga a “chiamare” a Vadena molti trentini nel periodo tra il 1817 e il 1839.
Nei comuni tra Bolzano e Salorno nel 1600 non si registra una grossa presenza di persone di madrelingua italiana. Tuttavia Martin Zeiller scrive nel 1629 che tra Trento e Bolzano “non è raro incontrare persone di lingua italiana”. Anche nei comuni della Bassa la causa della forte immigrazione trentina fu la carenza di manodopera in agricoltura. I braccianti provenivano in gran parte dalla Val di Fiemme e di Non ma anche da altri comuni trentini. A metà del XVIII secolo molti masi di Egna e Pochi erano già di proprietà dei coloni trentini. Bronzolo attirò a sua volta molti immigrati trentini grazie all’attività di navigazione sull’Adige e alle cave di porfido. A Laives la manodopera italiana fu inizialmente impiegata nelle nuove risaie e nel campo della produzione della seta.
È dunque certo che nei paesi dell’Unterland nel XVII e XVIII secolo esistesse una reale situazione di pacifica convivenza tra italiani e tedeschi, con i primi che tendevano ad essere assimilati rapidamente e i secondi che erano padroni della lingua italiana. Molte famiglie dal cognome italiano si servivano diffusamente della lingua tedesca e i matrimoni misti contribuirono ulteriormente a creare quel mix di popolazione caratteristico dell’Unterland. Poi, agli albori del XX secolo, nacquero i primi movimenti politici impregnati di nazionalismo che tentarono in tutti i modi di avvelenare il clima di reciproco rispetto.
Autore: Reinhard Christanell