La storia la scrivono i vincitori e i veri protagonisti raramente hanno la possibilità di dire la loro. Non è questo il caso di un cittadino di Laives, Giovanni Fratini, che ha raccolto in un breve diario le sue terribili esperienze di guerra e di prigionia.
Giovanni Fratini nacque a Civitella d’Agliano (VT) nel 1922. Orfano di entrambi i genitori, nel 1933 raggiunse a Laives la sorella Lina, sposata con Quinto Dallapiazza, bracciante presso la tenuta agricola dei Campofranco.
Il ragazzo trovò impiego presso il negozio di generi alimentari delle sorelle Conci di San Giacomo ma nel 1942 venne arruolato come aviere a La Spezia. Rifiutatosi di aderire alla Repubblica di Salò, il 10 settembre 1943 venne fatto prigioniero e internato in Germania.
Rientrò a Laives solo dopo tre anni per riprendere il suo lavoro in bottega. Nel 1953 sposò la maestra Livia Joris, insegnante di italiano a Laives e Seit (che doveva raggiungere a piedi). Morì a San Giacomo nel 2009.
Il manoscritto porta il titolo “Piccolo Diario e Appunti su quella che fu la mia movimentata vita militare e conseguente prigionia di guerra”.
Inizia l’11 giugno 1942: “Nelle ore antimeridiane mi presentai al centro affluenza dell’aeroporto di Bolzano, ove verso sera abbiamo avuto in consegna il corredo”. Il giorno seguente la compagnia raggiunge La Spezia. I due mesi di addestramento sono segnati dalla nostalgia di casa “sopportata con rassegnazione”. Manca il cibo, la debolezza inizia a farsi sentire. Il 20 luglio “Giuramento, giorno di festa (povera festa però)”.
Il 6 Agosto si parte per Bologna, aeroporto di Borgo Panigale. Il servizio consiste nelle “ronde attorno al campo di aviazione”. Finalmente il 25 agosto arriva il primo permesso di due giorni. Verso la fine di ottobre cambia il servizio: “Si monta di sentinella agli apparecchi decentrati”. Con l’arrivo dell’inverno, il servizio si fa duro. La nebbia e il gelo segnano le notti. Dopo un periodo di malattia e convalescenza, Giovanni trascorre un mese a casa (“che sogno”). il 16 luglio Bologna viene bombardata, la paura è tanta.
Il 24 luglio nuovo bombardamento, poi continui allarmi per tutta la prima metà del mese di settembre.
“8 settembre: alle 8 di sera ci giunge la notizia della resa da parte italiana; riceviamo immediatamente l’ordine di smontare dal servizio e riunirci per far fronte a qualunque forza estranea tentasse di entrare nel campo. Il 9 settembre alle 6.10 carri armati tedeschi penetrano in varie parti del campo. Breve sparatoria”.
Si depongono le armi, qualcuno tenta la fuga in campagna. “Incolonnati e scortati raggiungiamo la città.” Inizia la lunga, terribile prigionia. Verso la fine di luglio e nel mese di agosto le incursioni anglo-americane si susseguono giorno e notte. Il 10 settembre Giovanni scrive: “Questa notte si ha dormito così così… fuori, qualche raffica di mitra e vari colpi di altre armi da fuoco”.
Il 15 settembre si parte da Bologna: “destinazione ignota”. “È questo uno dei momenti più dolorosi – scrive commosso Giovanni – quanto strazio nel nostro cuore”.
Saliti sui vagoni merci in 40-50 per vagone, inizia “quel viaggio triste… la popolazione accorre al nostro passaggio facendoci dono di cose preziose come pane, salame e uova.” Il 16 settembre si arriva in Germania, la sete si fa sentire e si beve l’acqua “che scola dal tetto del nostro vagone: sporca, sabbiosa ma comunque buona”.
Il viaggio prosegue fino al 18 quando si raggiunge un campo di concentramento a 60 chilometri da Hannover. La vita è durissima, mancano i viveri. Poi il trasferimento a Barum, a 18 chilometri da Braunschweig. Si lavora in una fabbrica di zucchero. “I giorni eternamente lunghi passano lentamente senza poter vedere alcuna via d’uscita”, si dispera Giovanni. Scrive diverse lettere ai familiari e rimane in attesa della risposta. Cambiano le mansioni, ci sono da sgomberare le macerie di una fabbrica bombardata o levare le tegole da un tetto. Da casa arriva un primo pacco, la gioia è grande. I bombardamenti si fanno sempre più intensi, si cerca di procurarsi quale tozzo di pane lavorando negli orti delle famiglie del paese. Le mansioni dei prigionieri cambiano continuamente, il cibo non è mai sufficiente. “Solo la fede ci sorregge ancora”, scrive Giovanni mentre inizia il secondo inverno di prigionia. Il 15 gennaio si registra “un violento bombardamento”. Poi la nota più attesa: “Giovedì Santo, siamo alla stazione in attesa di rientrare in Italia: la prova più dura alla quale sono stato sottoposto sta per terminare con un bombardamento degli alleati che causa diversi feriti”. Nel 1966 Giovanni Fratini sarà insignito della “Croce al Merito di Guerra per l’internamento in Germania”.
Autore: Reinhard Christanell