È il fascino delle tradizioni, la sacralità delle processioni e la leggenda di tre vergini dai nomi esotici, Aubet, Cubet e Quere, a portarci a 1410 metri su un altipiano panoramico affacciato sulla val Pusteria ove sorge la chiesa di San Giacomo di Maranza. L’edificio, riconsacrato nel 1780, poggia su una preesistente chiesa medievale ed è il risultato dell’ingrandimento della chiesa tardogotica consacrata nel 1472. È a pianta longitudinale e a navata unica.
Già i pellegrini e i viaggiatori del passato vi facevano meta e le loro firme, graffiate sull’intonaco dell’imponente san Cristoforo affrescato sulla parete meridionale del campanile, ne sono vivida testimonianza. L’affresco, che risale alla fine del XV secolo, presenta un’iconografia particolarmente interessante: l’uomo di Cananea, Cristoforo, appare «gigantesco e terribile in volto», proprio come riporta la Legenda Aurea; si muove lento sotto il pesante fardello: «sulle tue spalle tutto il mondo e il suo creatore», appoggiandosi con forza al suo bastone, mentre le acque si ingrossano sempre più. All’estremità del bastone sono visibili le radici che preludono alla prova che Gesù volle dare di sé a Cristoforo: «Per convincerti che io ti ho detto il vero, pianta il tuo bastone davanti alla tua capanna e domani vedrai che avrà fatto fiori e frutti». Il mantello scarlatto al vento ne ingrandisce ulteriormente la figura; la veste è raccolta in vita da una cintura dalla quale pendono, come per i pellegrini, una bisaccia contenente una bella pagnotta e un coltello. Le gambe massicce del santo affondano nelle acque gremite di strane creature marine con corpi di pesce e volti umani, oppure di pesci dalla conformazione fisica più stravagante. Fra tutti spicca la bella sirenetta dalla raffinata testolina coronata, simbolo però del male e della malizia sessuale, e quella del mostro marino dal volto aguzzo e barbuto con lo sguardo furbetto e la dentatura feroce.
Ma c’è dell’altro. Sul fondo dell’affresco fra le numerose firme e date spicca quella di un certo: Luzio Pacinelli da Bergamo 1596. Chi era? E dove era diretto? Infine è da notare che al posto dell’alluce del santo ora è ben visibile un buco dovuto al secolare grattare delle donne gravide che, secondo la credenza locale, da quei granelli di malta “sacra” avrebbero tratto la forza necessaria al parto.
All’interno della chiesa l’occhio è rapito dalla ridondanza delle forme rococò ideate, nella seconda metà del XVIII secolo, dall’architetto enipontano Josef Abenthung, dai ricchi decori a stucco, dai vistosi altari policromi e dagli eleganti affreschi delle cupole, opera del pittore Johann Mitterwurzer.
Ma è all’altare di destra, alle tre statue lignee di Aubet, Cubet e Quere, che volgiamo l’attenzione. Delle tre Vergini di Maranza si narra che siano vissute al tempo in cui Attila, re degli Unni, che metteva a ferro e fuoco tutta Europa distruggendo tutto ciò che incontrava e ammazzando tutti coloro che non si piegavano al suo volere. Da secoli le tre martiri sono oggetto di venerazione, il loro culto, forse in qualche misura collegato con quello di divinità femminili pagane di origine celtica, si diffuse soprattutto nelle terre germanofone. La prima menzione della devozione per le tre Vergini a Maranza risale al 1382 e, per quanto attiene ai pellegrinaggi, esiste un’indulgenza pontificia datata 30 marzo 1500.