Oltre il pubblico elegante: la classe operaia e l’immigrazione

Se il turismo aveva significato la “mobilità” delle classi elitarie ed agiate, in viaggio per le cure o per diporto, e se spontaneamente si rimane affascinati dalle mille storie di eleganti dame in cappello, guanti ed ombrellino, non si può però dimenticare che la città aveva anche un’altra anima, quella più facilmente pronta a scivolare nell’oblio della coscienza e della memoria: gli immigrati e la classe operaia.

La mobilità che da sempre aveva portato uomini e donne ad attraversare le nostre contrade, fu riattivata durante gli sconvolgimenti politici dell’età napoleonica, a cavallo fra XVIII e XIX secolo. 

Non solo, nel periodo dell’occupazione bavarese, nel primo decennio dell’Ottocento, anche i confini di stato e quelli delle diocesi subirono continui mutamenti. In questo turbinio di avvenimenti, mentre il Tirolo veniva smembrato e il confine tra Regno di Baviera e Regno d’Italia correva tra Gargazzone e Nalles, Merano divenne un fiorente centro commerciale e di contrabbando attraverso la val di Non. Per un breve periodo, dunque, fino alle nuove risoluzioni del Congresso di Vienna (1815), Merano fu la meta di un consistente numero di immigrati trentini, ma il nuovo declino che aveva reinghiottito la città determinò una battuta d’arresto nella mobilità. 

Dettata dal terrore del colera che nel 1836 dilagava da sud, ci fu una nuova e massiccia immigrazione dalle valli trentine.

Nel XIX secolo i lunghi periodi di guerra, le carestie, le epidemie abbattutesi con diversa intensità sugli stati asburgici, indussero numerosi tirolesi e trentini ad unirsi al movimento migratorio diretto oltreoceano, oppure a cercare stagionalmente, fuori dei propri confini, una qualche forma di sostentamento. 

Muratori, braccianti agricoli e artigiani lasciavano le proprie case per recarsi in Svizzera, addirittura in Sassonia, in Turingia, in Vestfalia Altri ancora si mettevano in cammino per piazzare la propria merce, generalmente minutaglia, da vendere di villaggio in villaggio.

L’attività del venditore ambulante era particolarmente esercitata dagli abitanti delle valli Gardena e Stubai, che giravano l’Europa vendendo oggetti anche di loro stessa produzione come tappeti, guanti, cappelli, sculture lignee, utensili e casalinghi. Simile destino era riservato ai braccianti delle valli trentine: i paroloti si mettevano in cammino per vendere e riparare paioli, i moleta per arrotare coltelli e lame, mentre i venditori di stampe del Tesino, ad esempio, facevano sognare ed arricchivano l’immaginario delle genti che incontravano. 

Le povere condizioni di vita in molte valli determinarono il particolare destino di una parte della popolazione venostana o meglio di uno specifico gruppo marginale di quella zona e dell’Alta Valle dell’Inn, che potremo indicare come girovaghi costretti dalla povertà a questo stile di vita: il fenomeno dei Karrner o Karrenzieher, trascinatori di carri. 

Autrice: Rosanna Pruccoli

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