Di recente, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è intervenuta sulla questione relativa alle modalità per calcolare i tempi di recesso da un contratto di mutuo, statuendo come esse debbano essere indicate in modo chiaro e conciso. Ha inoltre evidenziato che, per non compromettere il diritto del consumatore a recedere, non basta il rinvio alle norme generali, ma è necessaria un’informazione specifica nel contratto. L’innovativa pronuncia della Corte europea è destinata a incidere sull’articolo 125-ter del decreto legislativo n. 141/2010 con il quale è stata recepita la direttiva 2008/48 sui contratti di credito ai consumatori. La questione nasce dalla controversia tra un consumatore e un istituto di credito: il primo aveva comunicato il recesso dal proprio contratto di mutuo; recesso considerato non tempestivo da parte della Banca, che aveva sul punto richiamato le norme generali del codice civile. Un quadro non chiaro, secondo la Corte di Giustizia perché, in sostanza, il contratto rinviava a una norma (che a sua volta, nello specifico, richiamava altre disposizioni). È evidente – osservano gli eurogiudici – che in questo modo il consumatore non riceve le informazioni previste dall’articolo 10 della direttiva citata. La norma, infatti, prevede non solo l’indicazione della possibilità o dell’assenza del diritto di recesso, ma anche del periodo durante il quale può essere esercitato e le condizioni per attivarlo. Solo così il consumatore è messo nelle condizioni di conoscere i diritti e gli obblighi per sciogliersi dal contratto ed è garantito un livello “elevato ed equivalente di tutela degli interessi dei consumatori”, necessario per un “efficiente mercato interno del credito al consumo”. La catena prevista da un ordinamento interno che per le informazioni obbligatoriamente previste dall’articolo 10 della direttiva rinvia a una disposizione nazionale, la quale a sua volta richiama eventualmente un’altra norma, non è compatibile con la direttiva perché il dies a quo del termine di recesso dal contratto (informazione obbligatoria) non è contenuto nel testo e costringe il consumatore a una caccia tra diversi atti legislativi. Per la Corte questo vuol dire che il consumatore “non è in grado di determinare la portata del proprio impegno contrattuale, così come non può definire il termine dal quale decorre il diritto di recesso.”
Autore: Massimo Mira