C’è voluto un po’ di tempo per avere tra le mani – si fa per dire, trattandosi di un disco disponibile per ora solo in formato liquido/digitale – il nuovo lavoro dei Laeds, band che si distingue, oltre che per bravura e originalità, per il fatto di avere tre fratelli tra i suoi componenti.
Si tratta del loro terzo sforzo discografico, ma è anche la seconda parte di un concept iniziato col lavoro precedente: Bone Cage, questo il titolo della recente uscita presentata a Bressanone, dove la band ha il suo quartier generale, e in forma acustica al Carambolage di Bolzano, è una gran bella conferma per il quintetto guidato da Emanuele Colombi, cantante e chitarrista. Se già con la prima parte del concept, risalente ormai al 2019, ci aveva conquistato, Bone Cage riesce ad andare oltre, innanzitutto, nonostante venga considerato dai Laeds un EP, per durata non lo è di certo, in secondo luogo pur rientrando pienamente nel genere prog rock, tende a sfuggire alle classificazioni troppo rigide, il che è sempre una buona cosa.
“Il fatto che i nostri brani siano di lunghezza mediamente alta – ci racconta Emanuele – ci impedisce di pubblicarlo con quella denominazione sulle piattaforme, ci era già successo col disco precedente (uscito anche in forma solida, n.d.r.), le piattaforme musicali hanno dei criteri per cui l’EP deve stare entro una certa durata, ma se i brani sono lunghi non ci si sta dentro… Bone Cage si aggira intorno alla mezz’ora. È stato un parto spaziale, ci abbiamo messo un sacco di tempo, in realtà buona parte del materiale era già scritto quando è uscito Homestage, ma poi siamo stati bloccati dalle limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria”.
Bone Cage è caratterizzato da un suono decisamente godibile e accurato che mette in evidenza il talento di questi cinque ragazzi: oltre a Emanuele, ci sono i suoi fratelli Lorenzo (batteria e voce) e Damiano (violino, tastiere e voce), il bassista Gabriele Gege Munini e il chitarrista Raffaele Barberio, tutti irrinunciabili per tessere le trame sonore di un concept non scontato imperniato su problematiche molto attuali, con una ridefinizione dell’idea dei sette vizi capitali.
“Chi segue il genere musicale a cui facciamo riferimento – prosegue a spiegare Colombi – sa che i testi non devono essere qualunque cosa, o c’è una storia da raccontare o c’è una sorta di missione sociale, o meglio un’ambizione. Rispetto al prog rock delle origini, nel cosiddetto neo prog a cui ci rifacciamo c’è meno Tolkien, meno medio evo. Non abbiamo pretese di lanciare messaggi che sveglino la gente, come John Lennon per intenderci, ma crediamo che già il puntare il dito su determinate piaghe sociali, dal suicidio minorile all’alcolismo, argomenti un po’ pericolosi da nominare, quasi tabù per la stampa, sia importante. Magari il nostro genere non è seguitissimo, ma siamo convinti che affrontare questi temi sia una cosa da non sottovalutare, e lo facciamo come siamo capaci, a modo nostro”.
Per realizzare Bone, i Laeds si sono affidati anche stavolta alla produzione di Mattia Mariotti che li aveva seguiti già in Homestage: “Lo abbiamo voluto tenere in squadra – conclude il cantante – perché siamo amici da sempre e ci siamo trovati bene a lavorare con lui, così come con i ragazzi del Blue Noise Studio di Mattarello. Per il missaggio invece non essendo stati del tutto convinti dal lavoro dello studio polacco che aveva fatto quello del disco precedente, ci siamo rivolti a Michele Quaini, insegnante al CPM di Milano. Il risultato è che il suono stavolta è molto più pieno, che è quello di cui avevamo bisogno essendo noi una band che pubblica su piattaforme come Spotify, dove si finisce in playlist mescolati con cose troppo differenti. Ma questo discorso è molto complesso e richiederebbe un ulteriore approfondimento”.
Autore: Paolo Crazy Carnevale