Per garantire ai curati, parroci e cappellani impegnati nelle parrocchie dell’impero austro-ungarico un “minimo vitale”, a partire dal XVIII secolo e precisamente con la riforma di Giuseppe II fu introdotta la cosiddetta “Kongrua”, chiamata anche “portio canonica”.
Con legge del 28 aprile 1724 si stabilì che le nuove parrocchie fossero dotate di una portio canonica o kongrua a carico dell’erario. Insomma, i sacerdoti che non disponevano di un reddito minimo annuo avevano diritto a vedersi integrato lo stesso dall’amministrazione pubblica. Il minimo vitale fu inizialmente fissato in 300 Gulden. Ovviamente si discusse molto sui cespiti che dovevano essere considerati reddito e quali no: ma questo non riguarda la nostra storia. Particolarmente dibattuti erano i cosiddetti diritti di stola bianca o nera, ossia le somme spettanti al prete per la celebrazione di matrimoni, battesimi e funerali. In quanto introiti incerti erano inizialmente esclusi dal computo della congrua.
Altro tema rilevante era ovviamente l’ammontare della congrua spettante al prete. I parroci e curati “autonomi” (selbständig) avevano diritto ad un importo maggiore, gli ausiliari, dipendenti da un’altra curazia o parrocchia, ad uno minore. Giuseppe II ritenne il mantenimento del clero un compito dello stato, per cui istituì un apposito fondo religioso che doveva elargire agli aventi diritto le somme spettanti. Nel 1840 si stabilì che gli introiti da stola dovevano essere computati solo se superiori ai 50 fiorini, mentre gli “Inzerten” come offerte e lasciti vari non venivano conteggiati.
Un caso curioso che destò un certo scandalo fu quello del curato e cittadino onorario di Laives Thaddäus von Elzenbaum, che nel 1892 intentò causa al Ministero del culto e della pubblica istruzione per vederrsi riconosciuti arretrati di “kongrua” per un ammontare complessivo di 738 fiorini. Il curato fu difeso dall’avvocato viennese Viktor von Fuchs, il Ministero dal cavaliere Johann von Spaur. Gli anni oggetto della contestazione andavano dal 1887 al 1892 e oltre all’importo il curato chiese gli interessi del 5%. Il tribunale accolse la sua richiesta e il Ministero fu costretto a pagare.
Secondo la difesa del curato, egli aveva diritto all’integrazione del minimo vitale in quanto le prebende a suo favore esistenti nella parrocchia di Laives ammontavano complessivamente a 441 fiorini annui. Il Ministero, al contrario, ritenne che l’integrazione non gli spettasse in quanto il suo atto di nomina lo qualificava come ausiliario della parrocchia madre di Bolzano e la stessa curazia di Laives era stata istituita nel 1710 come “sede distaccata” della parrocchia bolzanina.
Il curato contestò in toto l’esposizione del rappresentante del Ministero. Sostenne infatti che il proprio decreto di nomina prevedeva l’esercizio delle sue funzioni in piena autonomia, come confermato anche dalla nota del principe-vescovo di Trento. In altre parole, egli era autorizzato a celebrare battesimi, matrimoni e funerali e teneva sotto la propria esclusiva responsabilità i registri delle nascite, morti e matrimoni. Inoltre il curato curava personalmente la corrispondenza con tutte le istituzioni statali e ecclesiali e il fatto che fosse tenuto a osservare obbedienza al parroco di Bolzano non era da considerare una limitazione delle sue funzioni.
La sentenza, come detto, accolse in toto la tesi del curato von Elzenbaum e gli riconobbe, secondo la legge del 1885, una kongrua di 600 fiorini annui, l’equivalente di 9288 € attuali.
Autore: Reinhard Christanell